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20 Dicembre 2025 - 16:02
Askatasuna non si tocca: in migliaia in piazza contro lo sgombero
Oltre duemila persone in strada, famiglie comprese, bandiere, slogan e un messaggio che gli organizzatori definiscono inequivocabile: questa non è una fine, ma un inizio. Torino torna a riempirsi di cortei dopo lo sgombero del centro sociale Askatasuna, e lo fa partendo da Palazzo Nuovo, sede storica delle facoltà umanistiche, luogo simbolico per una mobilitazione che intreccia politica, territorio e identità collettiva.
Il corteo prende il via tra cori e interventi al microfono. «Andiamo avanti fino alla vittoria sempre dalla parte di Askatasuna» e «È il momento di mandare un segnale chiaro a questo governo che ha paura di noi» sono le parole che aprono la manifestazione, scandita dagli slogan «Askatasuna vuol dire libertà, nessuno ci fermerà» e «Guai a chi ci tocca». A sfilare non sono soltanto attivisti: ci sono residenti del quartiere Vanchiglia, famiglie con bambini, alcuni dei quali tengono uno striscione con le impronte delle loro mani e la scritta «Askatasuna non si tocca». Un’immagine che i promotori rivendicano come risposta all’idea di un centro sociale isolato dal contesto urbano.
Le presenze arrivano anche da fuori città: delegazioni da Milano, Genova e dal Nord Est. In mezzo al corteo sventolano bandiere No Tav e palestinesi, a sottolineare il legame politico che gli organizzatori rivendicano apertamente. Presente anche Alice Ravinale, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra in Consiglio regionale.
Prima della partenza, diversi interventi ricordano le conseguenze dello sgombero sul quartiere. Un rappresentante dei genitori del Comitato di Vanchiglia sottolinea come, durante l’operazione delle forze dell’ordine, le scuole siano state chiuse, con disagi per famiglie e residenti. Non a caso l’obiettivo dichiarato del corteo è raggiungere proprio la zona di Vanchiglia, dove sorgeva la palazzina sgomberata.
A parlare è anche Stefano, portavoce di Askatasuna, che chiarisce la linea politica della mobilitazione: «Oggi non è una data di fine ma un inizio. Ci sarà un’assemblea cittadina il 17 gennaio e un corteo nazionale il 31 gennaio». E aggiunge: «L’attacco non è a un centro sociale di quartiere, ma al movimento in generale. Bisogna ripartire da qui, dai movimenti contro il genocidio in Palestina». Parole che si intrecciano con il racconto di giorni definiti «importanti», segnati da messaggi di solidarietà arrivati da tutta Italia e anche dall’estero, compresi i Paesi Baschi, richiamati dal significato stesso del nome Askatasuna, che in lingua basca significa libertà.
Il clima è teso anche sul piano dell’ordine pubblico. Le forze dell’ordine sono presenti in modo massiccio, con controlli alle stazioni ferroviarie per l’arrivo dei manifestanti da fuori città e deviazioni dei mezzi pubblici nell’area interessata dal corteo. «Il quartiere è inattraversabile, per residenti e lavoratori», denuncia ancora Stefano, paragonando la situazione a quella della Val di Susa per il livello di dispiegamento delle forze.
Nel frattempo, nel quartiere Vanchiglia compaiono anche scritte sui muri. «Marrone datte fuoco» è la frase rivolta all’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), accompagnata da un altro slogan, «Aska vive». Episodi che segnalano come la tensione resti alta anche fuori dal perimetro del corteo.
In piazza c’è anche Paolo Ferrero, segretario provinciale di Rifondazione Comunista, che lega lo sgombero a un quadro politico più ampio. «Il governo vuole affossare il movimento contro il genocidio a Gaza, trasformando tutto in un problema di ordine pubblico», afferma. Ferrero ricorda le mobilitazioni degli ultimi mesi a Torino e l’arresto dell’imam Mohamed Shahin, definito un tentativo fallito di bloccare il movimento: «Non riuscendo a vincere sul piano politico, il governo cerca lo scontro per ridurre la partecipazione e isolare le mobilitazioni. Per questo oggi siamo in piazza, a mani nude e non violenti come sempre».
Il corteo avanza lentamente, tra cori, bandiere e famiglie che camminano insieme agli attivisti. Sullo sfondo resta una città blindata e una vertenza che, nelle parole dei promotori, è destinata a non chiudersi con lo sgombero. Insomma, per Askatasuna e per chi oggi è sceso in strada, la partita è appena cominciata.
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