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La ferita invisibile del Covid: l’Italia lascia sola la salute mentale, ma il disagio cresce

Il Rapporto Osservasalute denuncia un debito di cura pesantissimo: solo il 3,5% della spesa sanitaria ai disturbi psichici, tra le percentuali più basse d’Europa

La ferita invisibile del Covid: l’Italia lascia sola la salute mentale, ma il disagio cresce

La ferita invisibile del Covid: l’Italia lascia sola la salute mentale, ma il disagio cresce (immagine di repertorio)

La pandemia è finita, ma non è mai davvero passata. Ha lasciato strascichi silenziosi, meno visibili delle terapie intensive e delle bare allineate, ma non meno profondi. Uno di questi è la salute mentale, oggi fotografata come una delle grandi rimosse del sistema sanitario italiano. A certificarlo è la XXII edizione del Rapporto Osservasalute 2025, presentata a Roma, che parla senza mezzi termini di un vero e proprio “debito di cura” accumulato dopo il Covid.

Il dato più emblematico non riguarda ciò che si vede, ma ciò che manca. Durante la pandemia i ricoveri ospedalieri per disturbi psichiatrici sono crollati. Non perché il disagio sia diminuito, ma perché è sparito dai radar del sistema sanitario. Tra il 2015 e il 2019 si registravano mediamente 26-27 ricoveri ogni 10 mila uomini e 24-25 ogni 10 mila donne. Nel 2020, l’anno dello shock pandemico, si è scesi bruscamente a 20 ricoveri ogni 10 mila uomini e a 18 ogni 10 mila donne. Negli anni successivi i numeri hanno ricominciato a salire, ma senza mai tornare ai livelli pre-Covid.

È una dinamica che dice molto più di quanto sembri. Perché mentre i ricoveri diminuivano, il disagio psichico aumentava. Ansia, depressione, disturbi dell’umore e del comportamento alimentare hanno colpito in modo particolare giovani e giovanissimi, già fragili per definizione e travolti da isolamento, incertezza e rottura delle relazioni. Il Rapporto Osservasalute parla apertamente di una sofferenza mentale diffusa che non viene intercettata dai servizi sanitari. Persone che stanno male, ma che non entrano nei percorsi di cura. Non perché non ne abbiano bisogno, ma perché il sistema non le prende in carico.

Il problema, però, non è solo organizzativo. È strutturale. E ha un nome preciso: sottofinanziamento. In Italia la spesa destinata alla salute mentale si ferma intorno al 3,5% della spesa sanitaria complessiva, una quota che colloca il Paese agli ultimi posti in Europa. Un dato che pesa come una condanna, perché la salute mentale non è un capitolo accessorio, ma una componente essenziale della salute pubblica.

Leonardo Villani, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale per la Salute come Bene Comune, lo dice chiaramente: questa scelta di spesa incide direttamente sulla capacità di garantire i Livelli essenziali di assistenza. Dove le risorse sono poche, i servizi diventano disomogenei, frammentati, inaccessibili. Il risultato è un’Italia spaccata in due, con un divario Nord-Sud che si allarga e famiglie sempre più sole a sostenere i costi economici e psicologici della cura.

Il Rapporto non parla di emergenza improvvisa, ma di un processo lungo, accelerato dal Covid. La pandemia ha funzionato come un moltiplicatore di fragilità, mettendo in luce ciò che già non funzionava. I servizi territoriali di salute mentale, già sotto pressione, non hanno retto l’urto. La risposta è stata spesso la chiusura, la riduzione dell’accesso, il rinvio delle prese in carico. Una scelta che oggi presenta il conto.

Dietro i numeri ci sono storie che raramente finiscono in prima pagina. Ragazzi che smettono di mangiare, adulti che convivono con l’ansia senza supporto, famiglie che pagano psicologi privati perché il pubblico non risponde o ha liste d’attesa incompatibili con l’urgenza del disagio. È qui che il “debito di cura” diventa qualcosa di concreto, misurabile nella rinuncia alle cure e nel peggioramento delle condizioni di vita.

Il Rapporto Osservasalute lancia un messaggio che è difficile ignorare: continuare a investire così poco sulla salute mentale significa accettare che una parte crescente della popolazione resti fuori dal sistema di tutela. Significa trasformare il disagio psichico in un problema individuale, anziché riconoscerlo come una questione sanitaria, sociale e collettiva.

Il Covid ha mostrato quanto la salute sia un bene fragile e interdipendente. Ma sulla salute mentale l’Italia sembra aver scelto di voltarsi dall’altra parte. La pandemia è finita nelle statistiche, non nelle vite delle persone. E finché il debito di cura resterà aperto, quella ferita invisibile continuerà a sanguinare, lontano dai riflettori, ma non dalle conseguenze.

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