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16 Dicembre 2025 - 14:22
Torino cambia volto: gli stranieri crescono, gli italiani calano e la città invecchia (foto di repertorio)
Torino sta cambiando pelle, lentamente ma in modo strutturale. I numeri dell’Osservatorio interistituzionale sulle persone straniere 2024 restituiscono una fotografia che non lascia spazio a interpretazioni ideologiche: la città cresce grazie agli stranieri, mentre la popolazione italiana continua a diminuire. Ma dentro questa dinamica si muovono contraddizioni profonde, che riguardano demografia, lavoro, impresa, invecchiamento e tenuta sociale.
Oggi, sotto la Mole, il 16,1% dei residenti è di cittadinanza straniera. In termini assoluti significa 139.344 persone, la presenza più alta registrata nell’ultimo decennio. Nello stesso periodo, la popolazione italiana è calata di 1.565 unità, mentre quella straniera è aumentata di 3.591. Il saldo complessivo della città, dunque, tiene solo grazie all’immigrazione.
Il fenomeno non riguarda soltanto il capoluogo. Nell’intera città metropolitana di Torino, la popolazione non italiana residente è stimata in circa 230mila persone, pari al 10,4% del totale. Un dato che colloca il territorio torinese tra quelli con la maggiore incidenza di stranieri in Italia, confermando un ruolo storico di polo attrattivo, prima industriale e oggi sempre più legato ai servizi, alla logistica e al lavoro a bassa qualificazione.
La Romania resta il primo Paese di provenienza, seguita da Marocco, Perù, Cina, Egitto, Nigeria, Albania, Iran, Filippine e Bangladesh. Una composizione eterogenea, stratificata nel tempo, che racconta flussi migratori diversi: dall’immigrazione storica legata alla fabbrica a quella più recente connessa ai servizi, all’assistenza familiare, al commercio e alla ristorazione.
Dal punto di vista territoriale, la presenza straniera è più concentrata nelle circoscrizioni 6, 3 e 5, aree già segnate da fragilità sociali, edilizia popolare e una maggiore disponibilità di alloggi a basso costo. Un dato che chiama in causa direttamente le politiche urbane: senza interventi mirati, il rischio è che la distribuzione demografica alimenti ulteriori disuguaglianze territoriali.
Per anni si è detto che l’immigrazione fosse l’antidoto all’inverno demografico. Oggi i dati smentiscono anche questa convinzione. La natalità cala anche tra gli stranieri. Nell’area metropolitana torinese il tasso è sceso da 22 a 8 per mille, un crollo che segue dinamiche simili a quelle della popolazione italiana.
La popolazione straniera resta più giovane, ma sta invecchiando. Gli over 65 sono passati da 22 a 33 ogni 100 under 15, con un aumento dell’età media di circa un anno e mezzo. È un dato cruciale, perché segnala che anche le comunità migranti stanno entrando in una fase di stabilizzazione e maturazione, con effetti diretti sul welfare, sulla sanità e sui servizi sociali.
Nonostante questo, il 77,7% della popolazione straniera è in età attiva, un capitale umano fondamentale per il funzionamento della città. I minori stranieri rappresentano il 19,4% della popolazione straniera e addirittura il 23,3% di tutti i residenti tra 0 e 17 anni a Torino. In altre parole, quasi un bambino su quattro in città ha cittadinanza non italiana.
Se la demografia racconta una città che si regge sull’immigrazione, il mercato del lavoro ne mostra il lato più fragile. Nel 2024 le assunzioni di persone straniere sono state 80.313, pari al 19,4% del totale. Un dato rilevante, che però nasconde una realtà nota: alta concentrazione in lavori scarsamente qualificati, poco retribuiti e ad alto sforzo fisico.
Si tratta di occupazioni essenziali ma spesso invisibili: logistica, edilizia, pulizie, assistenza domiciliare, agricoltura, ristorazione. Settori in cui la stabilità contrattuale è debole e la mobilità sociale limitata. Una condizione che rischia di cristallizzare la popolazione straniera in una fascia strutturalmente fragile, pur essendo indispensabile al sistema economico locale.
Sul fronte economico, però, emerge anche un altro dato chiave. Il 21% delle imprese torinesi è a titolarità straniera, contro il 16% dell’area metropolitana e una media nazionale del 12%. È un fenomeno che fa di Torino una delle città più dinamiche sotto questo profilo.
Come sottolinea il presidente della Camera di Commercio, Massimiliano Cipolletta, si tratta in larga parte di ditte individuali, spesso legate al commercio di vicinato, all’artigianato e ai servizi. Un tessuto imprenditoriale che tiene vivi quartieri altrimenti destinati alla desertificazione, ma che necessita di accompagnamento, formazione e accesso al credito per evitare precarietà cronica e marginalità economica.
Crescono anche i numeri delle regolarizzazioni. A fine 2024, nella provincia di Torino, le persone straniere con titolo di soggiorno valido erano 143.534, con un aumento del 5,8%. Le autorizzazioni al soggiorno rilasciate sono state 64.156, contro le 44.517 del 2023.
Significativo anche il dato sulle richieste di protezione internazionale: 3.273 domande, con un aumento del 59% rispetto al 2022. Sono stati rilasciati 1.458 permessi per asilo, 945 per protezione sussidiaria e 1.364 per protezione speciale. Numeri che confermano Torino come uno dei principali punti di arrivo e stabilizzazione per chi fugge da guerre, persecuzioni e crisi ambientali.
Il prefetto Donato Cafagna ha parlato di una città con “grande attenzione e capacità di approfondire un tema così centrale”, sottolineando come il rapporto fotografi una realtà complessa che richiede risposte articolate.
Il quadro che emerge è netto: Torino senza gli stranieri perderebbe abitanti, forza lavoro, imprese e futuro. Ma allo stesso tempo, l’immigrazione da sola non basta a invertire le grandi tendenze: calo delle nascite, invecchiamento, lavoro povero, disuguaglianze territoriali.
La sfida non è più numerica, ma politica e sociale. Governare questa trasformazione significa investire su integrazione reale, qualità del lavoro, scuola, casa e mobilità sociale. Senza questi strumenti, il rischio è una città che cresce solo nei numeri, ma si indebolisce nelle sue fondamenta.
Torino è già cambiata. La domanda, ora, è se sarà capace di reggere il cambiamento.
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