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Il diritto alla salute sulla carta, l’attesa infinita nella realtà: fino a due anni per curarsi nel Servizio sanitario nazionale

Dai Rapporti di Cittadinanzattiva emerge un sistema ancora diseguale, con tempi incompatibili con i bisogni e forti divari territoriali

Il diritto alla salute

Il diritto alla salute sulla carta, l’attesa infinita nella realtà: fino a due anni per curarsi nel Servizio sanitario nazionale

Il diritto alla salute resta formalmente garantito, ma nella pratica continua a essere messo a dura prova da liste d’attesa interminabili, carenza di personale e disuguaglianze territoriali che incidono in modo diretto sulla possibilità di accedere alle cure. È il quadro che emerge con chiarezza dai due Rapporti presentati da Cittadinanzattiva – il Rapporto Civico sulla salute 2025 e il Rapporto sulle politiche della cronicità – illustrati nel corso dell’evento al ministero della Salute dal titolo “L’incomprimibile diritto alla salute. Riforme in corso, bisogni in attesa”. Un titolo che, già di per sé, restituisce la distanza tra le riforme annunciate e la realtà vissuta quotidianamente dai cittadini.

Il punto di partenza dell’analisi è rappresentato da 16.854 segnalazioni raccolte nel corso del 2024. Non si tratta di percezioni astratte, ma di richieste di aiuto, reclami e denunce che fotografano un disagio diffuso. Il dato più rilevante è che quasi una segnalazione su due, il 47,8%, riguarda le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, con le liste d’attesa indicate come la criticità più grave dell’attuale Servizio sanitario nazionale. Un problema che non riguarda solo le prestazioni differibili, ma che investe anche quelle considerate urgenti.

I numeri parlano chiaro. Secondo l’analisi di Cittadinanzattiva, in molte realtà si arriva ad attendere fino a 360 giorni per una Tac, 720 giorni per una colonscopia e oltre 500 giorni per una prima visita specialistica. Tempi che, di fatto, svuotano di significato il principio della tempestività delle cure, trasformando il diritto alla salute in un percorso a ostacoli, spesso incompatibile con le condizioni cliniche dei pazienti.

Ancora più preoccupanti sono i dati elaborati su base Agenas 2025, che mettono in luce come le criticità non risparmino neppure le prestazioni inserite nella fascia di priorità urgente. Per la colonscopia, ad esempio, un paziente su quattro supera i 105 giorni di attesa, a fronte di un limite previsto di 72 ore. Una distanza abissale tra norma e realtà, che rende evidente come le classificazioni di priorità, in molti casi, restino sulla carta.

Nelle prestazioni inserite nella fascia D – Differibile, che dovrebbero essere garantite entro 60 giorni, i tempi massimi risultano ampiamente sforati. Si arriva a 147 giorni per una mammografia e a 177 giorni per una visita dermatologica. Ritardi che non sono meri disagi organizzativi, ma che possono avere un impatto diretto sugli esiti di salute, soprattutto quando si parla di diagnosi precoce e prevenzione.

Il problema non è soltanto quantitativo, ma anche sistemico. Cittadinanzattiva ha cercato di verificare l’applicazione della legge 107/2024, varata con l’obiettivo di ridurre le liste d’attesa, chiedendo informazioni alle Regioni. Il risultato è tutt’altro che rassicurante. Solo otto Regioni hanno fornito risposte complete, cinque non hanno risposto affatto, mentre le altre hanno trasmesso dati parziali o incompleti. Un comportamento che conferma una disomogeneità profonda nella gestione del sistema sanitario e una trasparenza ancora insufficiente.

Dalle risposte pervenute emergono criticità strutturali. In molti casi manca una raccolta sistematica dei dati, spesso giustificata con il passaggio alla piattaforma Agenas, ma senza che ciò si traduca in un monitoraggio efficace. In altri casi risultano assenti indicatori chiave per valutare l’andamento delle liste d’attesa e l’efficacia delle misure correttive. Anche i Percorsi di Tutela per i cittadini che non riescono ad accedere alle prestazioni nei tempi previsti appaiono profondamente diversi da Regione a Regione.

Alcune amministrazioni garantiscono una presa in carico attiva, accompagnando il cittadino nella ricerca di una soluzione alternativa, anche attraverso il ricorso alla intramoenia o a strutture convenzionate. In altre realtà, invece, tutto viene demandato alla burocrazia, con indicazioni frammentarie o, in alcuni casi, del tutto assenti. Ne deriva un sistema in cui l’accesso alle cure dipende ancora in larga misura dalla Regione di residenza, in aperto contrasto con il principio di universalità su cui si fonda il Ssn.

Il divario territoriale resta uno degli elementi più evidenti. Nel complesso, i Rapporti segnalano un netto squilibrio Nord-Sud, con maggiore trasparenza, capacità organizzativa ed efficacia nel Centro-Nord, e carenze significative nel Sud, dove i tempi di attesa risultano spesso più lunghi e i percorsi di tutela meno strutturati. Una frattura che alimenta la migrazione sanitaria, costringendo migliaia di cittadini a spostarsi per ottenere prestazioni che, sulla carta, dovrebbero essere garantite ovunque.

A questo scenario si aggiunge la carenza di personale sanitario, un fattore che incide in modo trasversale su tutte le criticità emerse. Medici, infermieri e operatori sociosanitari insufficienti rendono difficile ampliare l’offerta di prestazioni, anche quando le strutture e le tecnologie sarebbero disponibili. Il risultato è un sistema che fatica a reggere la domanda, soprattutto in un contesto di invecchiamento della popolazione e aumento delle patologie croniche.

Non a caso, uno dei due Rapporti presentati è dedicato proprio alle politiche della cronicità, un ambito in cui le inefficienze del sistema emergono con particolare forza. Le persone affette da patologie croniche necessitano di continuità assistenziale, monitoraggi regolari e accesso rapido alle prestazioni. Le liste d’attesa e la frammentazione territoriale rischiano invece di interrompere i percorsi di cura, con conseguenze sia sulla qualità della vita dei pazienti sia sulla sostenibilità complessiva del sistema.

Di fronte a questo quadro, Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, lancia un appello che va oltre la denuncia. «Serve un nuovo Piano Sanitario Nazionale e l’attuazione piena delle riforme», afferma, chiedendo a istituzioni e professionisti di «ritornare a un dibattito unitario in cui privilegiare la partecipazione, le interconnessioni e la sinergia per ridare nuovo ossigeno a un concetto di salute basata sulle persone, siano essi professionisti che cittadini». Parole che chiamano in causa una visione complessiva, capace di superare interventi frammentari e risposte emergenziali.

Il tema delle liste d’attesa, sottolinea Cittadinanzattiva, non può essere affrontato come una questione isolata. È il sintomo di un sistema che necessita di programmazione, investimenti mirati e governance condivisa. Senza un rafforzamento strutturale del Ssn, il rischio è che le misure adottate restino inefficaci o producano effetti limitati nel tempo, lasciando irrisolti i nodi di fondo.

I Rapporti presentati oggi restituiscono quindi l’immagine di un Servizio sanitario nazionale ancora capace di garantire eccellenze, ma attraversato da criticità profonde che minano l’equità e l’universalità delle cure. La distanza tra diritti riconosciuti e diritti effettivamente esercitabili continua a essere ampia, e a pagarne il prezzo sono soprattutto i cittadini più fragili, meno informati o con minori possibilità economiche.

La sfida che emerge dai dati non è solo tecnica, ma politica e culturale. Ridurre le liste d’attesa significa ripensare l’organizzazione delle cure, investire sulle persone che lavorano nel sistema sanitario e garantire trasparenza e responsabilità a tutti i livelli istituzionali. In gioco non c’è soltanto l’efficienza del Ssn, ma la credibilità stessa di un diritto che la Costituzione definisce fondamentale e che, oggi più che mai, chiede di essere reso davvero incomprimibile.

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