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15 Dicembre 2025 - 19:55
PalaCeresole. Italia nostra chiede un accesso agli atti ma il Comune fa il "pesce nel barile"
Quando Italia Nostra Piemonte entra in una vicenda, di solito significa che il livello della discussione è già cambiato. Non siamo più nel campo delle opinioni, delle petizioni emotive o delle assemblee infuocate in cui ci si accusa a vicenda di essere “contro lo sviluppo” o “contro il progresso”. Siamo nel campo delle carte, delle norme, dei piani paesaggistici, delle varianti urbanistiche e delle responsabilità istituzionali. È esattamente quello che sta accadendo con il progetto del PalaCeresole, la nuova struttura polifunzionale che il Comune di Ceresole Reale intende realizzare in località Pian della Balma, a due passi dal lago, in uno dei luoghi più iconici e riconoscibili dell’intero arco alpino piemontese.
Dopo mesi di polemiche, dopo la raccolta delle 516 firme depositate in Comune, dopo gli articoli, le prese di posizione e le rassicurazioni dell’amministrazione, Italia Nostra ha fatto ciò che fa sempre quando ritiene che un intervento pubblico possa compromettere un contesto di valore: ha chiesto l’accesso agli atti, ha studiato la documentazione e ha depositato un esposto formale indirizzato a una lunga lista di enti, dal Comune alla Regione, dalla Soprintendenza alla Corte dei Conti, fino agli enti parco.
Ed è qui che la narrazione cambia. Perché l’esposto non è una dichiarazione di principio, ma un testo tecnico, scritto con un linguaggio misurato e istituzionale, che però solleva questioni molto precise. Italia Nostra parte da un dato di fatto difficilmente contestabile: l’area scelta per il PalaCeresole è un luogo “sostanzialmente incontaminato”, apprezzato da residenti e turisti per la sua valenza paesaggistica e per la prossimità alle sponde del lago. Un prato che, prima ancora di essere un lotto, è una percezione consolidata, una cartolina reale e simbolica di Ceresole Reale.
L’associazione per bocca della presidente regionale Adriana Elena My non nega che il progetto abbia ottenuto pareri favorevoli. Al contrario, li elenca con precisione: autorizzazione paesaggistica, parere della Commissione Locale per il Paesaggio, prescrizioni della Soprintendenza, approvazione del progetto da parte della Giunta comunale. Ma è proprio entrando nel merito di questi pareri che emergono i primi punti critici. In particolare, Italia Nostra si sofferma sulle prescrizioni ambientali, definite “veramente singolari” per il loro carattere vago e non vincolante. Di fronte a una presumibile riduzione di zona boscata, infatti, la mitigazione dell’impatto viene demandata a una futura ripiantumazione descritta come eventuale, possibile, probabile o semplicemente opportuna. Tradotto: oggi si autorizza l’intervento, domani – forse – si vedrà come rimediare.
Non è un dettaglio. Perché il contesto in cui dovrebbe sorgere il PalaCeresole non è un’area qualunque. Anche se formalmente fuori dal perimetro del Parco Nazionale del Gran Paradiso, l’ambito è regolato dagli articoli 15 e 30 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Paesaggistico Regionale. Questo significa che non basta verificare altezze, distanze e volumetrie: occorre valutare l’impatto complessivo dell’opera sulla percezione del paesaggio, sulla sua integrità visiva, sulla pressione antropica indotta da nuove funzioni, nuovi flussi, nuove sistemazioni pertinenziali.
Ed è qui che Italia Nostra pone una domanda che finora è rimasta senza risposta pubblica: la variante al PRGC approvata dal Comune di Ceresole Reale è stata formalmente validata in conformità al Piano Paesaggistico Regionale?
Di questa validazione, scrive l’associazione, “nulla ci è noto”. Una frase apparentemente neutra, ma che in realtà pesa come un macigno, perché chiama in causa il rapporto tra pianificazione locale e strumenti sovraordinati.
C’è poi un altro aspetto che attraversa l’intero esposto ed è forse quello più politicamente scomodo: l’esistenza di alternative concrete. Nella stessa zona, e più in generale nel patrimonio comunale, esistono edifici storici di pregio oggi sottoutilizzati o abbandonati. Italia Nostra cita esplicitamente l’ex Albergo Ciarforon, edificio firmato dall’architetto Carlo Ceppi, di proprietà comunale, mal conservato ma perfettamente idoneo – almeno sulla carta – a ospitare le stesse funzioni che si vorrebbero concentrare nel nuovo palazzetto.
La domanda, in questo caso, non è ideologica ma amministrativa: perché scegliere una nuova edificazione in un’area sensibile, quando le risorse disponibili – circa mezzo milione di euro provenienti dal Fondo per la Valorizzazione delle Aree Territoriali Svantaggiate confinanti con la Valle d’Aosta – potrebbero essere destinate al recupero e alla conservazione del patrimonio esistente? È una domanda che tocca il cuore delle politiche pubbliche in montagna e che chiama in causa il concetto stesso di “valorizzazione”.
Dopo l’invio dell’esposto, qualcosa si è mosso. Italia Nostra ha già ricevuto una risposta dalla Soprintendenza e una dalla Regione Piemonte – Settore Pianificazione. Non è arrivata, invece, alcuna risposta dal Comune di Ceresole Reale. Un silenzio che colpisce, soprattutto alla luce delle ripetute dichiarazioni di trasparenza e disponibilità al confronto. Perché un conto è ribadire che “non c’è nulla da nascondere”, un altro è rispondere formalmente a un atto che chiede verifiche puntuali e conformità normative.
A questo punto, il PalaCeresole non è più soltanto un progetto contestato da una parte della cittadinanza. È un caso amministrativo che interroga il rapporto tra finanziamenti straordinari e pianificazione ordinaria, tra fretta di realizzare opere e dovere di scegliere dove e come intervenire. È una vicenda che mette in tensione due idee opposte di montagna: quella che vede nello spazio libero un valore in sé e quella che ritiene necessario “lasciare un segno”, possibilmente tangibile, possibilmente nuovo.
Insomma, non si tratta più di essere favorevoli o contrari a un palazzetto. Si tratta di capire se, in uno dei luoghi simbolo del Piemonte alpino, il confine più importante sia davvero quello tracciato sulle mappe o piuttosto quello – molto più fragile – che separa la tutela dalla trasformazione irreversibile. Perché le carte, oggi, parlano chiaro. E quando parlano le carte, prima o poi, qualcuno deve rispondere.
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