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13 Dicembre 2025 - 07:18
Mauro Durbano
ono 516 le firme protocollate in Comune contro il PalaCeresole, il progetto da mezzo milione di euro che prevede la realizzazione di una nuova struttura polifunzionale a Ceresole Reale, a due passi dal lago, in località Pian della Balma. Una petizione che arriva dopo mesi di polemiche, articoli, prese di posizione e malumori crescenti, e che segna un punto politico preciso: una parte consistente di cittadini, frequentatori abituali e amanti della montagna non vuole quell’edificio lì.
Il progetto, finanziato con fondi statali della Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso il Nucleo Resilienza e Coesione, nasce con l’obiettivo dichiarato di dotare il paese di uno spazio per attività sportive, culturali e sociali, fruibile tutto l’anno. Un’opera che l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Alex Gioannini, difende con convinzione, parlando di sviluppo, turismo e opportunità per un borgo di appena 151 residenti.
Ma la realtà, come spesso accade, è più complessa. E soprattutto più divisiva.
I promotori della raccolta firme parlano di un luogo di particolare valore naturalistico, scelto da generazioni di frequentatori come “luogo del cuore”, proprio perché rimasto intatto, aperto, libero. Un prato dove ci si fermava a guardare il lago, le tre Levanne, a respirare aria fresca sotto i larici, a fare una sosta informale lontano da asfalto e parcheggi. Secondo i firmatari, il progetto comporterebbe l’abbattimento di alberi centenari e un impatto significativo su un contesto paesaggistico delicato, al confine – geografico e simbolico – del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Ed è qui che la vicenda assume contorni che vanno ben oltre una semplice opera pubblica.
Perché Ceresole Reale è uno dei comuni del Parco Nazionale del Gran Paradiso, il più antico d’Italia. E perché il presidente del Parco, Mauro Durbano, è anche assessore comunale e tra i principali difensori del progetto. Un intreccio di ruoli che, pur formalmente legittimo, continua a sollevare interrogativi sulla coerenza istituzionale e sull’opportunità politica.
Durbano lo ripete da mesi: il PalaCeresole non sorgerà all’interno del Parco. Tecnicamente vero. La linea sulla cartina colloca l’area appena fuori dai confini dell’area protetta. Ma il punto, per chi contesta l’opera, non è una questione di centimetri o coordinate. È una questione di visione.
Perché costruire un nuovo edificio, quando a Ceresole esistono già quattro strutture inutilizzate o abbandonate? Il Palamila, il salone del Grand Hotel, quello dell’ufficio turistico, la Ca’ del Meist. Perché non investire nel recupero dell’ex Hotel Ciarforon, gioiello ottocentesco progettato da Carlo Ceppi, oggi lasciato a marcire davanti al lago? Perché scegliere la strada più semplice – costruire da zero – invece di quella più faticosa, ma forse più rispettosa della storia e del paesaggio?
Secondo l’amministrazione comunale, l’iter è stato trasparente. Il progetto ha ottenuto il via libera della Soprintendenza, della Commissione Locale del Paesaggio, della Regione Piemonte. Tutti i pareri necessari, dicono dal Comune, sono stati acquisiti. L’unico ente non formalmente interpellato è stato il Parco del Gran Paradiso, perché l’area non rientra nei suoi confini amministrativi.
Eppure il malcontento non si è placato. Anzi.
Italia Nostra ha annunciato un esposto. Le associazioni ambientaliste parlano di consumo di suolo inutile. I cittadini contestano l’idea stessa di “sviluppo” legata a un palazzetto in cemento, seppur definito “sobrio”, “integrato”, “in legno e pietra”. Un ossimoro che, a Ceresole, ha già trovato il suo nome: il cemento sobrio.
Dal canto suo, il Comune ribadisce di non avere nulla da nascondere. Entro fine mese è previsto un Consiglio comunale aperto, al quale sono invitati anche i promotori della petizione. Un confronto pubblico che arriva però a decisioni già prese, con un progetto approvato e finanziato, e che per molti rischia di somigliare più a una formalità che a un vero spazio di ripensamento.
Tra le 516 firme depositate, solo una quindicina sarebbero di residenti. Un dato che l’amministrazione utilizza per ridimensionare la protesta. Ma che per i contrari racconta altro: Ceresole non è solo di chi ci vive tutto l’anno, ma anche di chi la frequenta, la ama, la sceglie come rifugio e come simbolo di un’idea di montagna ancora non addomesticata dal cemento.
La questione, alla fine, non è solo il PalaCeresole. È il modello che rappresenta. È l’idea che la “valorizzazione” passi ancora una volta da una nuova colata, da un nuovo edificio, da un nuovo parcheggio. Anche in uno dei luoghi più iconici e fotografati del Piemonte.
E così, mentre le carte parlano di efficienza energetica e materiali naturali, sul prato che costeggia il lago si immaginano già i picchetti del cantiere. Lì dove si sostava per guardare le montagne, potrebbe sorgere una struttura “polifunzionale”. Funzionale, forse, ai bandi. Meno, secondo molti, allo spirito del luogo.
Insomma, 516 firme non sono solo un numero. Sono il segno che la partita è tutt’altro che chiusa. E che, a Ceresole Reale, il confine più delicato non è quello tracciato sulle mappe, ma quello – molto più fragile – tra tutela e trasformazione, tra bellezza e sviluppo, tra ciò che resta e ciò che si perde.
A Ceresole Reale hanno risolto un problema che affligge l’Italia da decenni: il consumo di suolo.
Non lo si consuma più. Lo si interpreta. Se poi lo si interpreta con legno, pietra e buone intenzioni, allora non è nemmeno suolo: è un concetto astratto.
Il Comune lo spiega con pazienza: il PalaCeresole non è nel Parco del Gran Paradiso. È solo in uno dei comuni del Parco, davanti al lago, nel paesaggio che tutti associano al Parco, promosso da chi il Parco lo presiede. Ma non è nel Parco. E questa, tecnicamente, è la cosa più importante. Come dire che non piove perché l’acqua cade un metro più in là.
Il progetto costa mezzo milione di euro. Arrivano dallo Stato, quindi non sono soldi di nessuno. E quando i soldi non sono di nessuno, diventano molto più facili da spendere. Meglio ancora se per costruire qualcosa di nuovo, perché restaurare l’esistente richiede fatica, idee e una vaga idea di futuro. Costruire, invece, è rassicurante: lasci una traccia, possibilmente in cemento.
Le 516 firme depositate in Comune sono state accolte con compostezza istituzionale.
Solo quindici sono di residenti, fanno notare da palazzo civico. Gli altri sono affezionati, frequentatori, persone che hanno eletto Ceresole a luogo del cuore. Una categoria sospetta: chi ama un posto così com’è tende a non volerlo cambiare. Un atteggiamento poco collaborativo.
Il Comune, va detto, non ha nulla da nascondere.
Lo dice spesso. Talmente spesso che viene da chiedersi a chi stia parlando. Tutto è trasparente, tutto è condiviso, tutto è già approvato. Ci sarà anche un Consiglio comunale aperto, quando ormai il progetto è deciso. Una forma avanzata di dialogo: si ascolta, ma senza disturbare l’iter.
Il vero capolavoro, però, è linguistico.
Il PalaCeresole non è un cubo di cemento. È una struttura sobria. Il cemento non impatta, si integra. Gli alberi non vengono abbattuti, al massimo “tre”. Tre alberi, come se gli alberi fossero intercambiabili, come se il paesaggio fosse un numero e non una storia.
E così scopriamo che il problema non è costruire in montagna, ma come lo racconti. Se dici che è sviluppo, lo è. Se dici che è sostenibile, diventa verde. Se dici che è fuori dal Parco, allora il Parco può anche guardare, purché faccia finta di non vedere.
In fondo, a Ceresole Reale stanno solo facendo scuola.
Hanno dimostrato che si può tutelare un luogo spiegando che il confine è salvo, anche se il senso no. Che si può amare la montagna costruendoci sopra, purché con garbo. Che il paradiso non si perde: si riorganizza.
E se proprio qualcuno insiste nel dire che una volta lì c’era un prato, la risposta è semplice e definitiva: era solo un prato. Ora sarà un progetto.
Commenti all'articolo
Sovietico Eporediese
13 Dicembre 2025 - 14:19
Interessante che se si costruisce una murata davanti ad una proprietà ostruendo la visuale e la luminosità succede sempre un disastro, se invece si costruisce una cattedrale davanti al deserto considerato Parco Naturale se ne fregano altamente. Nulla di nuovo della Destra Italiana a questo punto.
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