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Negozi alimentari in fuga anche nel Canavese: 4,5 milioni di italiani senza accesso ai fondamentali

Nei piccoli comuni e nelle aree interne la chiusura dei punti vendita essenziali mina la qualità della vita e il tessuto sociale

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Negozi alimentari in fuga anche nel Canavese: 4,5 milioni di italiani senza accesso ai fondamentali

La fotografia che emerge dallo studio «Alimentare il territorio» della Fiesa Confesercenti è tanto ampia quanto drammatica: circa 4,5 milioni di italiani vivono in comuni in cui è scomparso almeno uno dei negozi alimentari essenziali – panificio, macelleria, fruttivendolo, o punto vendita di latte e derivati.

In totale i comuni coinvolti sono 598 senza panificio, 576 senza negozi di frutta e verdura, 650 privi di macelleria, 232 senza punti vendita di latte/derivati. Il commercio alimentare di prossimità tradizionale è passato da 123.095 a 115.968 attività tra il 2019 e il 2024: una perdita di 7.127 esercizi e circa 12.000 addetti. Il declino è più marcato nei comuni con meno di 5.000 abitanti (-7,8%) e anche nelle grandi città (-7,1%). Anche se i minimarket e supermercati indipendenti resistono meglio (personale in calo del solo 5% contro il –13,9% delle superfici).

L’inflazione alimentare ha aggiunto il proprio peso: l’Italia ha segnato un aumento del +24,7% fra 2019 e 2023, contro una media europea di +32,1%, ma ha comunque portato ad una contrazione nei volumi acquistati pari a –10%. Le microimprese della prossimità si trovano in difficoltà su costi fissi e margini di redditività. Per contrastare il fenomeno, Fiesa propone tre linee d’intervento: garantire l’accesso alimentare nei territori fragili, stabilizzare i margini delle microimprese attraverso riduzione dei costi fissi e strumenti compensativi, e legare il commercio alla coesione territoriale (“dove un negozio chiude non arretra il mercato: arretra la vita economica di una comunità”).

Questo fenomeno nazionale trova conferme anche nel Canavese (Piemonte) dove la desertificazione commerciale del comparto alimentare emerge come monito da non ignorare. Diversi comuni montani dell’area, già nel 2016, risultavano senza alcun esercizio commerciale: ad esempio i comuni di Canischio, Meugliano, Ingria e Trausella erano segnalati come privi di negozio. Nel settembre 2024 la chiusura dello storico negozio di alimentari di Levone, dopo 24 anni, ha suscitato commenti impietosi da parte del sindaco: «Ci mancherà la tua umanità, fatta di sorrisi e gesti quotidiani». Più in generale, in Piemonte si sono registrate oltre 13.000 imprese del commercio al dettaglio sparite fra 2012 e 2024, secondo la Confcommercio Piemonte.

Nel Canavese si registrano iniziative di contrasto al fenomeno: è stato avviato il progetto dei Città metropolitana di Torino per il riconoscimento regionale del “Distretto del cibo della pianura canavesana”. Inoltre sei comuni dell’area hanno siglato accordi per rilanciare il commercio locale e contrastare la desertificazione commerciale rafforzando identità e servizi del territorio.

La portata del fenomeno nel Canavese si inserisce in un contesto di spopolamento, riduzione dei servizi e difficoltà logistiche: piccoli borghi, aree montane o collinari, dove l’accesso ai beni alimentari assume un significato doppio, non solo commerciale ma sociale. In questi contesti la chiusura di un negozio significa non solo dover percorrere distanze maggiori per fare la spesa, ma perdere un presidio di comunità, un punto di incontro, un legame quotidiano.

L’economia delle microimprese alimentari è sotto pressione per vari fattori. In primo luogo l’inflazione dei costi (materie prime, energia, logistica) che riduce i margini operativi di botteghe e negozi tradizionali. In secondo luogo la crescente concentrazione della distribuzione moderna, con catene più grandi che assorbono spazi, favorendo economie di scala. In terzo luogo le aree interne sono spesso penalizzate da costi infrastrutturali, logistica più complessa, popolazione che diminuisce o invecchia. Tutto questo rende più difficile la sopravvivenza di negozi di quartiere o di borgo.

Nel Canavese la situazione è amplificata da specificità locali: la presenza di un territorio ampio e articolato (montagna, collina, pianura) con frazioni decentrate, popolazione spesso anziana, mobilità ridotta e una domanda di prossimità che resta, ma che non sempre viene servita. Il caso di Levone ne è simbolo: la bottega di alimentari chiusa dopo 24 anni segnala una soglia superata. Se un tempo bastava il negozio sotto casa, oggi la riduzione di accesso rischia di creare vere “zone bianche” del servizio alimentare.

Analizzando le proposte di Fiesa alla luce del contesto canavesano, viene chiaro che alcune leve sono già in buona parte sul tavolo: il riconoscimento dei negozi essenziali come infrastruttura territoriale è un concetto che può avere applicazione anche in territori decentrati come Canavese, dove un panificio, una macelleria o un negozio di frutta e verdura ha un ruolo quasi pubblico.

Il rafforzamento dei Distretti del Commercio e dei Distretti del Cibo – come quello annunciato per la pianura canavesana – rappresenta una strategia coerente. Ridurre i costi fissi per le microimprese, nel contesto piemontese, significa lavorare su incidenza fiscale, oneri locali, energia, burocrazia. Infine, l’idea di collegare commercio e coesione territoriale risulta cruciale: dove sparisce il negozio non resta solo un vuoto commerciale ma un passo verso l’isolamento sociale.

Tuttavia, le misure concrete e diffuse mancano ancora di accelerazione. I numeri nazionali sono impressionanti e, pur non disponendo di dati puntuali aggiornati a livello comunale per ogni borgo del Canavese, le segnalazioni degli ultimi anni indicano che il problema non è stato risolto. Il rischio è che i prossimi anni stabiliscano una linea di non-ritorno: se un’intera fascia di territorio «fragile» perde i suoi presidi alimentari, la difficoltà diventa “normale” e aggravata.

Lettera aperta alle amministrazioni locali: non basta intervenire con incentivi isolati o promuovere “mercatini” occasionali. Occorre un piano strutturato, integrato che ricomprenda mobilità, logistica, sostegno alle microimprese, riduzione dei costi e valorizzazione territoriale. Nel Canavese questo significa mettere in rete i piccoli centri, puntare sulla collaborazione tra negozi, valorizzare prodotti locali e filiere corte (come l’e-commerce delle piccole aziende canavesane suggerisce). L’accesso al negozio di vicinato è un elemento di vivibilità urbana e rurale: quando manca, la qualità della vita si riduce. Le comunità locali lo sanno, ma servono risorse, volontà politica e visioni di lungo periodo.

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