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Salute
18 Novembre 2025 - 12:01
Svolta nella cura della papillomatosi tracheale: al Mauriziano un farmaco antitumorale fa regredire quasi del tutto le lesioni in un paziente refrattario
Una patologia rara, spesso recidivante, che obbliga i pazienti a un percorso interminabile di interventi endoscopici. Una malattia che può mettere a rischio la respirazione, trasformare la vita quotidiana in una sequenza di ricoveri e controlli, e che in alcuni casi porta persino al timore di una possibile evoluzione maligna. La papillomatosi tracheale recidivante (PRR) è tutto questo: un disturbo poco noto, ma estremamente complesso da gestire, legato al papillomavirus umano (HPV) e caratterizzato dalla formazione di papillomi nelle vie aeree, soprattutto nella trachea.
Per questi motivi la notizia proveniente dall’Ospedale Mauriziano di Torino rappresenta un passo avanti significativo per la comunità scientifica. Qui, un farmaco normalmente impiegato in oncologia, un antiangiogenetico somministrato per via endovenosa, ha portato in un paziente adulto a una regressione quasi completa delle lesioni, senza effetti collaterali rilevanti. Un risultato che, secondo il team di Pneumologia diretto dal dottor Roberto Prota, apre una reale via terapeutica per le forme più aggressive e recidivanti della malattia.
Il caso, presentato negli ultimi giorni al Congresso nazionale AIPO a Verona, riguarda un uomo di 52 anni le cui condizioni cliniche erano particolarmente impegnative. In due anni era stato sottoposto a sei diverse procedure endoscopiche, tutte necessarie per liberare le vie aeree ostruitesi progressivamente a causa dei papillomi. Interventi che spesso migliorano temporaneamente la respirazione, ma che non modificano il decorso della malattia. La PRR, infatti, tende a tornare, talvolta in maniera più estesa e resistente.
Da qui la scelta del team torinese – composto dai medici Paolo Righini, Valter Gallo, Valentina Difino, Elena Rindone e Giovanni Ferrari – di tentare una strada diversa: utilizzare un farmaco antiangiogenetico, dosato a 10 mg/kg ogni quattro settimane per un totale di sei mesi. L’obiettivo era bloccare la proliferazione dei papillomi impedendo la formazione di nuovi vasi sanguigni necessari alla loro crescita.

La risposta terapeutica è stata sorprendente. «Già dopo la seconda infusione – spiega il dottor Paolo Righini – abbiamo osservato una riduzione evidente delle lesioni. Con il progredire della terapia, grazie alle valutazioni endoscopiche, questa riduzione è diventata sempre più marcata, fino a una regressione quasi completa dopo cinque mesi». Un risultato ottenuto, sottolinea il medico, senza effetti collaterali clinicamente significativi. Un dettaglio tutt’altro che secondario, visto che molti dei trattamenti alternativi sono gravati da tossicità importanti.
L’utilizzo del farmaco rientra nella categoria dell’off-label, cioè un impiego diverso da quello previsto nell’autorizzazione ufficiale. Una scelta che, nelle malattie rare, è spesso inevitabile quando le opzioni terapeutiche tradizionali si dimostrano insufficienti. Ma non si tratta di un salto nel vuoto: la letteratura scientifica internazionale, come ricorda Righini, sta già producendo dati promettenti sugli antiangiogenetici per la gestione delle papillomatosi più aggressive. Il caso torinese si inserisce quindi in un filone di ricerca in rapido sviluppo e potrebbe rappresentare uno degli esempi più chiari di efficacia clinica documentata in Italia.
La papillomatosi tracheale recidivante resta comunque una malattia complessa. Colpisce soprattutto bambini sotto i 5 anni e adulti oltre i 30, con una incidenza che varia da 2-3 casi ogni 100.000 bambini a 1 caso ogni 100.000 adulti. In molti pazienti, i papillomi possono arrivare a ostruire in modo significativo il lume delle vie aeree, rendendo difficoltosa la respirazione e richiedendo interventi frequenti. Ma ciò che più preoccupa è la possibilità, seppur rara, di una trasformazione maligna, che pone la patologia in un’area di rischio ancora maggiore.
Il caso del Mauriziano potrebbe contribuire a cambiare questo scenario. Se le osservazioni verranno confermate da ulteriori studi, soprattutto multicentrici, il farmaco antiangiogenetico potrebbe diventare un’opzione stabile per i casi refrattari. «Questo caso conferma che il farmaco utilizzato può rappresentare un’opzione efficace nei pazienti con papillomatosi respiratoria refrattaria ai trattamenti convenzionali», ribadisce Righini. «Si tratta di una scelta terapeutica non standard, ma i dati indicano prospettive solide».
La comunità scientifica guarda ora con interesse ai prossimi sviluppi. La PRR è una patologia che, a oggi, non dispone di una cura definitiva: gli interventi endoscopici servono a liberare temporaneamente le vie aeree, ma non eliminano la causa. Una terapia farmacologica capace di contenere la crescita dei papillomi e ridurre la frequenza delle recidive rappresenterebbe un cambiamento sostanziale per la qualità di vita dei pazienti.
Il risultato ottenuto a Torino mostra che la strada è percorribile. Ed evidenzia ancora una volta il ruolo della ricerca clinica italiana, capace di sperimentare soluzioni innovative anche nelle malattie rare, dove ogni singolo caso può aprire una porta, cambiare un protocollo, dare un’opportunità concreta a chi finora aveva avuto solo trattamenti ripetitivi e provvisori.
Una regressione quasi completa, nessun effetto collaterale, una terapia già disponibile nei reparti di oncologia e risultati presentati davanti agli pneumologi di tutta Italia: il lavoro del Mauriziano non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Uno di quelli che fanno sperare che, passo dopo passo, anche le malattie più ostinate possano trovare finalmente un nuovo modo per essere affrontate.
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