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Ombre su Torino

Quando il tempo non basta: l’attentato che segnò l’architetto Mario Deorsola

Nel 1978 un equivoco sul nome di un progetto scatena l’azione armata di Prima Linea: Deorsola viene sequestrato e ferito a colpi di pistola. Un anno dopo, il terrore riaffiora davanti a un’auto sospetta: per fortuna è solo un falso allarme

Quando il tempo non basta: l’attentato che segnò l’architetto Mario Deorsola

Quando il tempo non basta: l’attentato che segnò l’architetto Mario Deorsola

A volte, nella vita, semplicemente non si ha il tempo. Ma se, quasi sempre, non avere tempo di fare una cosa la rimanda solo ad un altro momento, ci sono delle volte in cui le conseguenze possono essere molto peggiori.

Quando quei quattro giovani gli domandano se il progetto di ristrutturazione della “Lamarmora” (la caserma-bunker dove si è tenuto il processo ai capi delle BR, a Torino) sia suo, l’architetto Mario Deorsola risponde di sì.

Solo che non fa in tempo a spiegare di aver ideato il progetto di un centro servizi di Cit Turin che ha lo stesso nome: con quello della caserma non c’entra niente.

Un brutto momento per non avere tempo, perché i quattro ragazzi non sono degli studenti di architettura in cerca di informazioni ma sono dei terroristi.

Quel 17 novembre 1978 sono entrati a volto scoperto nello studio di Deorsola, in via Cosseria 1, in collina. Sono le 17,30 e, dopo aver immobilizzato e imbavagliato ragioniere e impiegata di un ufficio vicino, puntano dritto verso il costruttore.

Gli pongono la fatidica domanda e lo trascinano via dalla scrivania a cui stava lavorando. La vittima, che è stato pure un partigiano di Giustizia e Libertà trovatosi coi mitra nazisti di fronte pronti a far fuoco, non si spaventa ma non può fare niente. Viene legato e portato in corridoio, dove viene costretto a stendersi sulla moquette.

Qui gli sparano quattro colpi di 7,65 alle gambe e alle spalle, di cui uno solo per un caso non lo attinge al polmone.


L’azione dura poco più di due minuti e si conclude con Deorsola in un lago di sangue (e che si salverà e si riprenderà in breve tempo) e i terroristi in fuga dopo aver vergato con una bomboletta la scritta “Squadre Proletarie di Combattimento” su un muro.

Una sigla dietro la quale si nasconde Prima Linea di cui fa parte il gruppo di fuoco composto da Fabrizio Giai (rimasto in strada di copertura) Franco Albesano, Matteo Caggegi, Lucio Di Giacomo e Vittoriano Mega. Il più vecchio ha 20 anni.

L’architetto si ristabilirà fisicamente ma quella storia, probabilmente, non lo ha mai abbandonato.

Il 20 marzo 1979, infatti, alla vista di un’auto con dei giovani a bordo in sosta davanti al portone dello studio, quelle immagini devono essergli ripassate nella testa immediatamente.

Spaventato, decide di calarsi dalla finestra che dà sul cortile interno e di fuggire da un’uscita secondaria. Viene chiamata la polizia ma della A112 sospetta non vi è traccia.

Quella volta, per una volta, è stato solo un falso allarme.

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