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Agricoltura

Crollano le aziende agricole in Piemonte: cinque anni di emorragia, nuovi rischi e un’agricoltura che prova a cambiare pelle

Tra cali produttivi, mercato instabile e comparti in trasformazione, il report di Confagricoltura racconta un territorio in bilico tra crisi e nuove opportunità

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Crollano le aziende agricole in Piemonte: cinque anni di emorragia, nuovi rischi e un’agricoltura che prova a cambiare pelle

Il mondo agricolo piemontese sta cambiando rapidamente. Lo certifica l’ultimo rapporto di Confagricoltura Piemonte, che fotografa un quinquennio complesso, segnato da chiusure, riconversioni e una progressiva riduzione delle superfici coltivate. I numeri delineano con chiarezza il perimetro del cambiamento: le aziende del settore sono passate da 40.152 a 30.293, una diminuzione vicina al 20%. Le superfici coltivate scendono invece da 947.964 a 903.392 ettari, un arretramento meno netto ma comunque significativo.

Le cause sono molteplici. Il clima, pur meno aggressivo rispetto agli anni precedenti, resta un avversario imprevedibile. A questo si sommano i dazi statunitensi, le malattie delle colture e le tensioni internazionali che incidono sui costi e sui mercati. Sullo sfondo pesano anche gli annunciati tagli alla Pac, che secondo le stime potrebbero raggiungere il 22%.

Il presidente di Confagricoltura Piemonte, Enrico Allasia, parla senza giri di parole: «La parola che abbiamo scelto quasi come slogan per definire l’andamento di quest’anno, non a caso, è resilienza». Una definizione che racchiude il tentativo degli imprenditori di restare competitivi pur in un quadro di crescente complessità. Allasia richiama anche le criticità legate al Green Deal: obiettivi condivisi, ma modalità di applicazione che rischiano — secondo l’associazione — di mettere in difficoltà molte realtà produttive.

Il tema ambientale resta centrale. Il Piano per la qualità dell’aria, spiega ancora Allasia, impone vincoli che pesano soprattutto sul comparto dell’allevamento, già obbligato a confrontarsi con mutamenti radicali nelle abitudini dei consumatori.

Osservando i singoli comparti emergono luci e ombre. Il mais migliora rispetto al 2024 ma rimane lontano dai livelli di dieci anni fa (da 170mila ettari a 127mila). Calo evidente anche per il frumento tenero, oggi attestato sui 70mila ettari. L’eccezione positiva dell’annata arriva dai vigneti: i 43mila ettari distribuiti sul territorio regionale hanno prodotto un raccolto considerato dagli esperti tra i migliori dell’ultimo decennio, complice un andamento climatico favorevole.

Il settore della frutta vive una stagione doppia: buoni risultati per mirtilli, pesche e albicocche, mentre mele, pere e kiwi mostrano segnali di difficoltà. Simile il quadro dell’ortofrutta, con il peperone in crescita e pomodori e patate in frenata.

Spostando lo sguardo sugli allevamenti, il comparto avicolo registra una fase positiva sia per uova sia per carne, con circa 700 allevamenti attivi tra Torino e Cuneo. La carne bovina, eccellenza storica del territorio, si scontra invece con un calo nei consumi. Nel settore suinicolo resta l’allerta per la Peste africana, contenuta ma sempre presente.

Nonostante i segnali di fragilità, il settore primario piemontese mostra anche capacità di reinventarsi. Crescono le produzioni bio: sono 3.078 le aziende certificate, pari al 6,3% del totale. Una percentuale inferiore alla media nazionale, ma in linea con quella del Nord Italia. Aumenta anche la spinta verso l’agriturismo, oggi rappresentato da 1.400 attività. È qui che si registra una componente femminile significativa: il 40% delle attività è guidato da donne, una presenza che rafforza un settore dove l’imprenditoria “in rosa” pesa complessivamente per il 24,5%.

«Il nostro mondo sta andando verso una forte diversificazione», osserva Allasia. Un processo che non riguarda soltanto i modelli produttivi, ma la capacità di intercettare nuove richieste e nuovi stili di consumo. La fotografia conclusiva è quella di un Piemonte agricolo che arretra in quantità ma prova a guadagnare terreno in qualità, innovazione e nuove forme di redditività.

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