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Agrivoltaico sotto accusa: Cia Agricoltori delle Alpi contro i maxi impianti nel torinese

Il presidente Rossotto: “Così si uccide l’agricoltura, i terreni diventano strumenti finanziari e non risorse produttive”

Stefano Rossotto, presidente Cia, ex consigliere comunale di Cinzano

Stefano Rossotto, presidente Cia, ex consigliere comunale di Cinzano

Un nuovo fronte si apre nel dibattito tra energia rinnovabile e tutela del suolo agricolo. A Poirino, nel Torinese, la Cia Agricoltori delle Alpi ha annunciato la sua ferma opposizione al progetto di due lotti agrivoltaici di dimensioni colossali: 75 e 69 ettari, da realizzare in un’area adiacente a un impianto fotovoltaico già operativo di venti ettari. In totale, un’enorme distesa di pannelli solari che, secondo gli agricoltori, rischia di trasformare un territorio a vocazione agricola in un deserto industriale dell’energia.

Il presidente provinciale Stefano Rossotto non usa mezzi termini: «Si tratta di dimensioni insostenibili e incompatibili con la vocazione agricola del territorio». E aggiunge che la superficie complessiva «supera ogni criterio di buon senso e rappresenta un consumo di suolo senza precedenti». Parole dure che riflettono il malcontento diffuso tra gli agricoltori del Torinese, già provati dall’aumento dei costi di gestione e dalla crescente competizione per l’uso dei terreni.

Rossotto spiega che il problema non è la tecnologia in sé, ma l’approccio con cui viene calata sul territorio. «Non siamo davanti a impianti pensati per supportare l’agricoltura, ma a operazioni speculative che sottraggono terreno fertile alle aziende agricole, alterano il mercato fondiario e mettono gli agricoltori in una posizione di totale svantaggio. A queste condizioni, il rischio è che i terreni diventino strumenti finanziari e non più risorse produttive, con un impatto devastante sui prezzi e sulla sopravvivenza delle imprese agricole».

Per Rossotto, la questione non è nuova. A Carmagnola, ricorda, «un paio d’anni fa abbiamo condotto una battaglia analoga e alla fine il progetto venne bloccato. È la dimostrazione che, quando ci sono criticità evidenti, è possibile intervenire e riportare equilibrio tra esigenze energetiche e tutela dell’agricoltura».

La Cia Agricoltori delle Alpi ci tiene a precisare che non si tratta di un rifiuto ideologico delle rinnovabili. «Siamo favorevoli agli impianti che integrano e potenziano l’attività agricola, come il fotovoltaico su capannoni, tettoie e stalle — sottolinea Rossotto — perché permette alle aziende di ridurre i costi energetici senza sottrarre terreno produttivo». Ciò che viene contestato è invece la logica dei mega-impianti calati dall’alto, che «compromettono l’ambiente, riducono la disponibilità di suolo agricolo e contrastano con le finalità stesse dell’imprenditoria agricola».

A Poirino, dove il progetto è ancora in fase di valutazione, il clima è di crescente tensione. Gli agricoltori temono che la trasformazione di centinaia di ettari in aree fotovoltaiche possa segnare un punto di non ritorno. E il messaggio di Rossotto appare chiaro: «Il Piemonte non può diventare il parco solare d’Italia a discapito dei suoi campi».

Agrivoltaico, la promessa (e il rischio) di un futuro a doppia vocazione

Il dibattito sull’agrivoltaico è tra i più accesi del momento. In teoria, la soluzione dovrebbe rappresentare una sintesi virtuosa tra agricoltura e produzione energetica, consentendo di coltivare la terra sotto i pannelli solari e di generare energia pulita senza sottrarre suolo. Nella pratica, però, il confine tra sostenibilità e speculazione è sempre più sottile.

Il principio dell’agrivoltaico nasce da un’intuizione semplice: sfruttare la superficie agricola per installare impianti fotovoltaici sollevati da terra, lasciando filtrare la luce necessaria alle coltivazioni e garantendo al contempo una resa energetica significativa. In Italia il tema è esploso con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che destina 1,1 miliardi di euro al settore con l’obiettivo di installare almeno 1,04 gigawatt di potenza agrivoltaica entro il 2026.

Il vantaggio potenziale è duplice. Da un lato, le aziende agricole possono integrare il proprio reddito grazie alla produzione di energia e all’autoconsumo, riducendo i costi di bollette e carburanti. Dall’altro, il Paese compie un passo avanti verso gli obiettivi europei di decarbonizzazione, riducendo la dipendenza dalle fonti fossili. Alcune sperimentazioni, come quelle in Puglia, Toscana e Veneto, hanno dimostrato che un’agricoltura sotto i pannelli può perfino beneficiare dell’ombra parziale, utile nei mesi estivi per mitigare gli effetti della siccità.

Ma le criticità restano. Il problema, sottolineano le associazioni di categoria, è la scala dei progetti. Quando gli impianti superano decine di ettari e richiedono vaste aree di suolo fertile, il rischio è che l’agricoltura diventi solo un pretesto. Gli agrivoltaici “puri”, in cui si continua realmente a coltivare, sono ancora pochi: molti progetti prevedono campi coperti da pannelli ravvicinati, praticamente incompatibili con qualsiasi attività agricola significativa.

C’è poi la questione del mercato fondiario. I terreni agricoli, una volta destinati all’uso energetico, vedono lievitare il valore di mercato, attirando investitori che non hanno alcun legame con l’agricoltura. Gli agricoltori, spesso, si trovano costretti a vendere o ad affittare i propri terreni a condizioni imposte da soggetti esterni, perdendo la possibilità di pianificare a lungo termine. È il paradosso di una transizione ecologica che rischia di diventare una nuova forma di consumo di suolo.

Sul piano normativo, il governo ha introdotto alcune regole per distinguere i veri impianti agrivoltaici da quelli mascherati. Per ottenere i finanziamenti del PNRR, gli impianti devono garantire un uso agricolo continuativo e dimostrabile, con pannelli rialzati da terra e sistemi di monitoraggio della produttività agricola. Ma in molte regioni, le procedure autorizzative restano lente, e i controlli sull’effettiva compatibilità agricola quasi inesistenti.

I favorevoli sostengono che l’agrivoltaico possa rappresentare una nuova frontiera per l’autonomia energetica delle campagne, un modo per rendere le aziende agricole più competitive e resilienti ai cambiamenti climatici. I contrari temono invece che dietro la bandiera verde si nasconda una colonizzazione industriale dei campi, in cui la terra non produce più cibo ma solo elettricità.

Il caso di Poirino, dunque, non è isolato. È lo specchio di una tensione che attraversa tutto il Paese: quella tra l’urgenza di accelerare la transizione ecologica e il bisogno di preservare il suolo agricolo come bene comune. Una sfida che, se non affrontata con equilibrio e visione, rischia di trasformare la transizione energetica in una nuova corsa all’oro — con i pannelli al posto dei pozzi.

Stefano Rossotto, presidente Cia, ex consigliere comunale di Cinzano

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