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Lettera razzista a una famiglia musulmana: il sindaco Mottino rompe il silenzio "un clima avvelenato dalla politica nazionale"

La missiva anonima spedita a una famiglia marocchina con insulti e minacce. Il sindaco: "Candia resta un paese civile, ma l’odio non nasce dal nulla"

Lettera razzista

Lettera razzista a una famiglia musulmana: il sindaco Mottino rompe il silenzio "un clima avvelenato dalla politica nazionale"

Una busta affrancata, infilata nella cassetta della posta come un messaggio avvelenato. Dentro, poche righe sgrammaticate, violente, intrise di odio religioso e razzismo: «Sciiti di merda... Allah vi sta punendo... vi distruggeremo... ricordatevi piangendo il 7 ottobre». Accanto, due fotografie incollate alla rinfusa, come a voler imprimere una minaccia simbolica. È accaduto davvero, qui, in Canavese, non in qualche periferia dimenticata. Una famiglia musulmana, marocchina, perfettamente integrata da trent’anni, con due figlie nate e cresciute in Italia, si è trovata a fare i conti con un razzismo che pensava appartenesse al passato.

A denunciare l’episodio è stato il sindaco di Candia, Mario Carlo Mottino, che ha definito il gesto «vergognoso e indegno di un paese civile». La giovane figlia della famiglia – laureata, lavoratrice, italiana a tutti gli effetti – aveva esposto una bandiera palestinese sul balcone, come gesto di solidarietà verso le vittime di guerra. Non una provocazione, ma un simbolo di pace e compassione. Qualcuno, nascosto nell’ombra, ha deciso che bastava questo per farli diventare bersaglio di un messaggio di odio.

Il primo cittadino, contattato da La Voce, non si nasconde dietro formule diplomatiche. «Io continuo a ritenere Candia un paese civile – spiega – ma non possiamo fingere che l’intolleranza non esista. Oggi è forte ovunque, in tutte le comunità. Non credo che Candia possa essere un’eccezione. Questa famiglia vive qui da trent’anni, è una famiglia integrata, perbene, rispettata. Ma purtroppo, ormai, basta pensarla diversamente per diventare un bersaglio».

Mottino chiarisce che la lettera non è stata imbucata, ma spedita: nel primo caso sarebbe stato possibile, con le telecamere, risalire al mittente. E invece, imbucando la lettera, è praticamente impossibile sapere chi è stato. «Potrebbe perfino non essere stata inviata da qualcuno di Candia – aggiunge – ma non cambia la sostanza. È una lettera codarda, scritta da chi si nasconde. L’anonimato è sempre l’arma dei vigliacchi».

Il sindaco sottolinea poi che la famiglia, pur colpita, ha reagito con dignità. «Non si è chiusa nella rabbia. Mi ha scritto, mi ha informato e soprattutto è andata a sporgere denuncia ai Carabinieri. Questo è il modo giusto di affrontare l’odio: renderlo pubblico, non tacere. Solo così possiamo eliminare le poche mele marce che esistono».

Alla domanda su come il Comune intenda agire concretamente, Mottino risponde: «Questa famiglia è forte, non ha bisogno di protezione nel senso classico. Ma serve vigilanza e consapevolezza. Io non metterò mai la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Quando vedo odio razziale o atteggiamenti fascisti, non taccio. E sto pensando di organizzare una serata pubblica sull’integrazione, con esperti e cittadini, per parlare apertamente delle diversità culturali e spiegare che queste persone sono una risorsa, non una criticità».

Il sindaco non si ferma qui e allarga lo sguardo alla politica nazionale. «Certo che la politica ha influito – afferma con amarezza –. Quando si leggono continuamente parole d’odio, bugie e falsità sui musulmani o sui migranti, è chiaro che qualcuno si sente autorizzato a fare lo stesso. Il confronto democratico deve essere fondato sul rispetto. Io ho amici israeliani e amici palestinesi: discutiamo, ci confrontiamo. Ma chi semina solo odio e zizzania, anche tra i politici, porta acqua al mulino dell’intolleranza».

Le parole di Mottino arrivano come un atto di accusa contro l’indifferenza. E contro un’Italia che sembra abituarsi a tutto: alle minacce, ai pregiudizi, ai rigurgiti di razzismo quotidiano. A Candia, il caso ha scosso la comunità, che nella sua maggioranza si è stretta intorno alla famiglia colpita. Ma resta una ferita aperta, un segnale inquietante di un Paese che tollera troppo e reagisce troppo poco.

Il punto, forse, è tutto qui: non basta dirsi civili, bisogna esserlo ogni giorno, anche quando nessuno guarda. Perché l’odio non nasce nei sotterranei delle città, ma cresce nell’indifferenza dei cortili, delle piazze, dei social. Candia ha scelto di non tacere. E questo, almeno, è un buon inizio.

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