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Telecontact, 1.500 lavoratori a rischio: in parlamento Pd e cinquestelle battono i pugni sul tavolo

La cessione della società del gruppo TIM alla neonata DNA S.r.l. accende la protesta: sindacati in allarme, interrogazioni parlamentari e 150 posti in bilico tra Ivrea e Aosta. Rossomando e Giorgis chiedono chiarimenti ai ministri Urso e Salvini, mentre il M5S invoca un’informativa urgente al governo

Telecontact, 1.500 lavoratori a rischio: in parlamento Pd e cinquestelle battono i pugni sul tavolo

Telecontact, 1.500 lavoratori a rischio: in parlamento Pd e cinquestelle battono i pugni sul tavolo

Sono circa 1.500 i lavoratori di Telecontact Center S.p.A., società del gruppo TIM, che rischiano il posto dopo l’avvio della procedura di cessione alla società DNA S.r.l., una newco controllata dal Gruppo Distribuzione S.p.A.. Tra loro, 150 addetti tra Ivrea e Aosta, un presidio industriale e sociale oggi appeso a un filo. Una vicenda che ha scatenato l’allarme politico e sindacale, tanto che la vicepresidente del Senato Anna Rossomando e il senatore Andrea Giorgis hanno portato il caso in Parlamento con un’interrogazione ai ministri Adolfo Urso e Matteo Salvini.

“Con la procedura di cessione di Telecontact sono a rischio circa 1.500 posti di lavoro in tutta Italia, di cui 150 tra Ivrea e Aosta. Per questo motivo abbiamo presentato un’interrogazione ai ministri Urso e Salvini sulla procedura di cessione della società da parte di Tim. Sarà fondamentale scongiurare pesanti ricadute occupazionali ed appurare quale sia la strategia globale di Tim, che, come denunciato dai sindacati, ha da tempo messo in campo una segmentazione del gruppo in un comparto strategico. Inoltre chiediamo urgentemente la convocazione di un tavolo con governo, sindacati, lavoratori e aziende per avere chiarimenti sul piano industriale e chiedere adeguate garanzie sulla tutela dei livelli occupazionali”.

La cessione di Telecontact non è un dettaglio amministrativo: è un terremoto sociale. TIM, colosso nazionale delle telecomunicazioni, ha deciso di cedere la sua società interamente controllata a un soggetto privato appena costituito, con un capitale sociale di appena 10 mila euro. Ufficialmente si parla di “riorganizzazione industriale” e di “maggiore efficienza nel settore del customer care”, ma nei fatti si tratta di un trasferimento di ramo d’azienda che lascia centinaia di famiglie nell’incertezza.

Anna Rossomando

Anna Rossomando

Telecontact rappresenta da anni il cuore del servizio clienti TIM: gestisce le chiamate dei numeri 187 e 191, coordina l’assistenza tecnica, tiene vivo il rapporto tra l’azienda e milioni di utenti. Un settore strategico, vitale, ora messo in discussione. TIM ha promesso che per almeno 48 mesi manterrà un rapporto di committenza con la nuova società, ma cosa succederà dopo quattro anni nessuno è in grado di dirlo. Non i lavoratori, non i sindacati, e probabilmente nemmeno il management di TIM, impegnato più a ridurre costi e personale che a consolidare un piano industriale.

Le organizzazioni SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL sono state nette: “Siamo di fronte a un’esternalizzazione mascherata. TIM cede competenze e professionalità per alleggerire i propri conti, sacrificando il futuro di migliaia di persone. È un’operazione che non rafforza il gruppo, lo indebolisce”. E i numeri danno loro ragione. 1.591 lavoratori coinvolti nella sola Telecontact, oltre 3.380 se si considera anche il ramo “GD IN” del Gruppo Distribuzione. Sedi storiche come Catanzaro (432 dipendenti), Caltanissetta (336), Napoli (oltre 300), Roma, L’Aquila, Aosta e Ivrea sono direttamente toccate.

A Ivrea, dove il nome Olivetti evoca ancora il senso di una dignità industriale perduta, la notizia è caduta come un macigno. La Telecontact, per molti, era una certezza: un lavoro stabile, qualificato, in un territorio che da anni si svuota di imprese. Oggi, invece, anche quel presidio vacilla.

Intanto la politica si muove. Dopo la presa di posizione del Partito Democratico, arrivano anche i deputati del Movimento 5 Stelle, Dario Carotenuto e Antonino Iaria, che chiedono al governo un’informativa urgente: “La gestione opaca di questa fase e l’assenza di comunicazioni ufficiali rendono necessario un atto di trasparenza immediato. Il rischio concreto è aggravare un quadro già fragile per gli addetti e compromettere ulteriormente la capacità del sistema delle telecomunicazioni di garantire continuità e qualità del servizio ai cittadini”.

Un appello che trova eco nei sindacati e nei territori, dove i lavoratori hanno già proclamato scioperi e presidi. La cessione, secondo la documentazione ufficiale, dovrebbe diventare effettiva non prima del 9 dicembre 2025, ma l’inquietudine è già diffusa. A Catanzaro si parla di “presidio economico e sociale da difendere”. A Napoli, oltre trecento famiglie vivono nell’attesa. A Ivrea e Aosta, in quelle sale dove da anni si risponde alle chiamate dei clienti TIM, si continua a lavorare con la stessa dedizione di sempre, ma con una domanda che nessuno sa sciogliere: per quanto ancora?

Dietro le parole altisonanti di “riqualificazione” e “innovazione”, resta il sospetto che questa non sia un’operazione di rilancio, ma l’ennesima tappa di un lento smantellamento. TIM ha già separato la rete, ora tocca alla customer care. E ciò che si presenta come un piano di efficienza rischia di trasformarsi in un disastro occupazionale.

Nel linguaggio aziendale, razionalizzare significa spesso licenziare, riorganizzare vuol dire esternalizzare, e rilanciaresi traduce in abbandonare. Così, mentre i vertici parlano di futuro e competitività, nei territori si respira solo paura. Perché quando un colosso come TIM decide di cedere il suo cuore operativo, non è soltanto un pezzo di azienda a sparire: è un pezzo d’Italia, fatto di lavoro vero, di voci che ogni giorno tengono in piedi un servizio essenziale e che oggi rischiano di spegnersi nel silenzio.

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