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Chivasso senz’acqua, ancora. Ma perché si rompono sempre i tubi in città?

La politica continua a trattare il problema come un fatto episodico, invece che come una crisi strutturale

Chivasso

Il guasto all'acquedotto di questa mattina, martedì 11 novembre 2025

Perché si rompono sempre i tubi dell’acqua?

La domanda, stamattina, martedì 11 novembre, si è fatta strada tra le pozzanghere di viale Vittorio Veneto, tra i clacson e le deviazioni, mentre l’ennesimo "geyser" bucava l’asfalto e faceva saltare la colazione a mezza città.

È successo di nuovo: una condotta dell’acquedotto comunale si è spaccata all’alba, trasformando la strada in un fiume e lasciando senz’acqua un’intera porzione di Chivasso. I tecnici Smat sono accorsi in poche ore, il Comune ha diffuso un comunicato rassicurante (“servizio quasi completamente ripristinato”), ma la domanda resta: perché succede sempre?

Non è fatalità, non è sfortuna. È usura, incuria e assenza di programmazione. Da anni.

Chi abita a Chivasso lo sa bene: basta pronunciare le parole “rete idrica” per far partire un coro di sospiri. Ogni guasto è la replica di un guasto precedente, con le stesse scene, le stesse promesse, gli stessi silenzi.

La cronaca degli ultimi anni è uno "stillicidio".

Nel 2022, in piazza Carlo Noè, l’acqua esplose in due punti nel giro di dodici ore. Il sindaco Claudio Castello pubblicò un post su Facebook per dire che “la situazione stava rientrando”, salvo doverlo cancellare poche ore dopo, quando la condotta si ruppe di nuovo “un metro più in là”. In quell’occasione si scoprì che le tubature erano in gran parte in eternit, materiale bandito da decenni ma ancora sotto i marciapiedi. E nessuno, da allora, ha avuto il coraggio di dire pubblicamente quante di quelle condotte siano ancora lì, in esercizio.

Nello stesso anno, in Consiglio comunale, il consigliere Bruno Prestìa presentò una mozione dal titolo semplice e disarmante: “Il Comune convochi Smat per mettere un punto alle continue rotture dell’acquedotto cittadino”. Non chiedeva miracoli: solo trasparenza, una verifica tecnica, un piano di ammodernamento. La mozione fu bocciata.
Motivo? Un vizio di forma. Lo disse la consigliera dell'epoca Chiara Gasparri, capogruppo di Sinistra Ecologista. Forma, non sostanza. E infatti la sostanza, quattro anni dopo, è ancora lì: un acquedotto che si rompe come un vetro sottile.

Prestìa lo disse chiaro: “La maggioranza filosofeggia su forma e sostanza mentre i cittadini restano senz’acqua”. Matteo Doria, di Amo Chivasso e le sue Frazioni, rincarò la dose: “L’acquedotto è un colabrodo da anni. Ogni singola rottura è un danno economico ed energetico”. Avevano ragione entrambi, ma il Consiglio voltò pagina. O meglio: voltò le spalle.

I disagi di questa mattina in viale Vittorio Veneto

Da allora, gli episodi si sono moltiplicati. Ne citiamo alcuni.

Nel luglio 2023 una doppia rottura tra viale Cavour e via Paolo Regis allagò mezza città. Nel marzo 2024 una voragine si aprì in via Orti, davanti all’ex cinema Politeama. Nel maggio 2025 crollò un tratto di via Corti.

E oggi, 11 novembre, tocca di nuovo a viale Vittorio Veneto, il punto esatto da cui tutto era cominciato. Come un déjà-vu amministrativo.

Ogni volta la dinamica è identica: rottura improvvisa, intervento d’urgenza, chiusura del traffico, comunicato ufficiale, promesse di “verifiche approfondite”. Poi tutto tace, fino alla prossima volta.

Una catena di emergenze che è diventata la normalità, la misura di un’amministrazione che reagisce ma non previene, che mette toppe su un sistema logoro senza mai affrontarlo alla radice.

Oggi il Comune scrive che “grazie all’intervento degli operai Smat, il servizio è stato ripristinato in quasi tutta la zona interessata”. Bene. Ma nella stessa nota si legge che un condominio di viale XXIV Maggio resta senz’acqua e viene rifornito “da boccioni di acqua potabile”. Boccioni, nel 2025. In una città di ventisettemila abitanti. È un’immagine che dice tutto: la modernità al contrario, dove la tecnologia si ferma e la sopravvivenza torna manuale.

Intanto, la viabilità è nel caos. Viale Vittorio Veneto chiuso al traffico, fermate del bus soppresse, negozi con le serrande abbassate. Un danno economico e civile che si ripete, sempre più frequentemente. Perché i tubi, quelli veri, non reggono più il peso del tempo.

Eppure, di soldi e di piani si è parlato. Nel 2022 la mozione Prestìa chiedeva di sapere “quali risorse finanziarie siano previste per l’ammodernamento della rete e per la riduzione della dispersione idrica”. Mai arrivata una risposta pubblica. SMAT, nel frattempo, annuncia investimenti generici “sul territorio metropolitano”. Ma a Chivasso, dove si rompe un tubo ogni anno, non si è mai visto un cantiere di sostituzione integrale. Solo rappezzi, riasfalti, chiusure temporanee.

La rete idrica non è solo un servizio: è una cartina di tornasole del funzionamento amministrativo. Ogni perdita d’acqua racconta una perdita di fiducia, di competenza, di serietà. E ogni comunicato stampa, con il suo linguaggio neutro (“il servizio è stato ripristinato”), serve a coprire una verità elementare: l’acquedotto di Chivasso è inadeguato, e lo sanno tutti.

In quattro anni, la narrazione istituzionale è rimasta identica. L’acqua si ferma, la Smat interviene, il Comune ringrazia, la cittadinanza si arrangia. Poi si torna alla normalità, che di normale non ha più niente.

La politica locale, intanto, si è persa nei formalismi. Quando nel 2022 la maggioranza del sindaco Claudio Castello bocciò la mozione Prestìa “perché scritta male”, dimostrò di avere un problema più grave della forma: la paura della sostanza. Parlare di acquedotto significa parlare di soldi, di priorità, di responsabilità condivise tra ente gestore e Comune. E, come spesso accade, si preferisce parlare d’altro.

Il risultato è che nel 2025 Chivasso continua a vivere un eterno presente idrico. Ogni rottura è nuova, ma anche vecchia. Ogni comunicato è lo stesso, con la sola variazione dell’indirizzo. Ogni assessore promette “un monitoraggio costante”, e nessuno presenta un bilancio degli interventi realmente effettuati.

Intanto, sotto terra, le condotte in ghisa e cemento-amianto continuano a spaccarsi.

Il clima, più secco, peggiora le cose. Le variazioni termiche stressano le tubature. E ogni perdita, oltre allo spreco di acqua potabile, significa un consumo energetico e ambientale enorme.
Ma la politica continua a trattare il problema come un fatto episodico, invece che come una crisi strutturale.

Ecco perché i tubi si rompono sempre: perché sono vecchi, e perché non c’è nessuna volontà di sostituirli davvero.
Perché i piani di manutenzione restano nei cassetti, e i soldi vanno dove si vede, non dove serve. Perché un tubo nuovo non porta voti, mentre una toppa immediata dà l’illusione di efficienza.

Il risultato è una città che vive a intermittenza, dove l’acqua diventa notizia e la normalità un evento.
Quattro anni fa l’opposizione chiedeva solo una cosa: “Convocate Smat e fate chiarezza”. Non è mai successo. E forse, più che la pressione dell’acqua, è la pressione della verità a spaventare chi governa.

Perché, in fondo, la domanda resta la stessa: perché si rompono sempre i tubi dell’acqua?
La risposta è lì sotto, nelle viscere della città, insieme alle condotte di eternit e alle promesse mai mantenute.

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