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Caffè Novanta, addio al limite dei 15 minuti: la città vince la sua battaglia social

Dopo la pioggia di recensioni negative, il locale di corso Duca degli Abruzzi fa marcia indietro. I clienti: “Al bar non si va con il cronometro”

Caffè Novanta

Caffè Novanta, addio al limite dei 15 minuti: la città vince la sua battaglia social (foto di repertorio)

Entrando nel caffè Novanta di corso Duca degli Abruzzi, a Torino, la prima cosa che viene spontaneo fare è guardare l’orologio. Non per controllare l’ora, ma per capire quanto resta prima che qualcuno inviti ad alzarsi.
Per fortuna, il tempo del “caffè a tempo” è già finito.

Il cartello delle polemiche — quello che imponeva un limite di 15 minuti per consumare al tavolo — non c’è più. È stato rimosso dopo un weekend di critiche, recensioni negative e ironia virale sui social.

Tutto era iniziato con un avviso appeso accanto alla cassa.
“Tempo massimo di permanenza al tavolo: 15 minuti per un caffè, 20 per la merenda, un’ora per il pranzo”.
Un regolamento che ha scatenato un’ondata di indignazione online.

Sotto la lente del web, il locale è diventato in poche ore il simbolo della fretta urbana, il posto dove non si chiacchiera più, ma si corre anche per bere un espresso.

Le recensioni su Tripadvisor e Google Maps sono arrivate a decine: “Il caffè a tempo dimostra che hanno già troppi clienti e troppo lavoro. Propongo di disertare questo posto per un po’”, scrive un utente.
Un altro aggiunge: “Avere un limite per consumare è agghiacciante. Si perde il piacere del bar come luogo d’incontro”.

Da lì, la valanga.
Su Facebook e Instagram, tra meme e battute (“Ordinerò un decaffeinato per guadagnare minuti”), il nome del caffè Novanta è diventato un caso virale.
Molti hanno evocato l’assurdità di un “espresso a orologeria” in una città che ha fatto del bar una tradizione culturale.

Non sono mancati i paragoni ironici con le catene internazionali, dove il tempo di consumo è libero, o con le vecchie caffetterie torinesi “dove nessuno ti mandava via nemmeno dopo tre ore e due brioche”.

Dopo il clamore, il locale ha scelto di fare marcia indietro.
Il cartello è stato rimosso nella mattinata di oggi e, a detta dei clienti, “nessuno più controlla il cronometro”.
Le bariste del caffè Novanta, pur mantenendo la riservatezza, confermano che la richiesta di limitare la permanenza era nata da un’esigenza pratica: i tavolini troppo pochi, la clientela sempre numerosa.

“È questo il bar con il limite di tempo?”, chiede qualcuno entrando.
Loro sorridono, servono il caffè e vanno avanti.

A Torino, però, il bar non è solo un luogo dove si consuma. È un rito quotidiano.
Dal banco di via Garibaldi ai tavolini del Quadrilatero, il caffè resta un pretesto per parlare, leggere, incontrarsi.
Per questo l’idea di un “tempo massimo” è sembrata a molti una provocazione contro la socialità stessa.

In realtà, nessuna norma vieta ai gestori di fissare un limite di permanenza, purché sia segnalato e motivato da esigenze organizzative. Ma la percezione pubblica è tutt’altra: cronometrare un caffè, per molti, significa snaturarne l’essenza.

Il “caso caffè Novanta” è durato lo spazio di un weekend, ma ha riacceso un tema più ampio: il confine tra efficienza e accoglienza. Può un locale sopravvivere alla viralità di un cartello? Forse sì, se sa leggere il messaggio dei clienti.
Perché, come scrive qualcuno nei commenti, “a Torino, anche per un caffè, serve tempo — ma soprattutto umanità”.

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