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10 Novembre 2025 - 11:46
Sarkozy dietro le sbarre: oggi la Francia decide se liberare il suo ex presidente o tenerlo in cella
L’ascensore del blocco protetto della prigione di La Santé scorre in silenzio. Dietro una porta blindata, un detenuto in isolamento amministrativo attende che tre magistrati, a pochi chilometri di distanza, stabiliscano se potrà uscire oggi stesso o se resterà dentro. Quel detenuto è Nicolas Sarkozy, 70 anni, ex capo dello Stato francese, condannato in primo grado a cinque anni di reclusione per associazione per delinquere nel caso dei presunti fondi arrivati dalla Libia di Muammar Gheddafi per la campagna presidenziale del 2007. Da quando, il 21 ottobre 2025, ha varcato il portone del carcere parigino, diventando il primo ex capo di Stato di un Paese dell’Unione europea a essere effettivamente incarcerato, il tempo di Sarkozy si misura in udienze, pareri e silenzi giudiziari. Oggi, 10 novembre 2025, la Corte d’appello di Parigi decide sulla sua prima richiesta di scarcerazione. Se i giudici daranno il via libera, l’ex presidente potrebbe lasciare la cella nell’immediato, scrivendo una pagina che la giustizia francese non aveva mai osato sfogliare prima.
Al centro dell’udienza non c’è il merito del processo, che proseguirà in appello, ma la domanda se sia davvero necessario mantenere Sarkozy in detenzione durante l’iter del gravame. In Francia, dopo una condanna in primo grado, l’appello non sospende automaticamente l’esecuzione quando il giudice dispone la cosiddetta esecuzione provvisoria. È ciò che è accaduto il 25 settembre 2025, quando il Tribunale penale di Parigi ha inflitto all’ex presidente cinque anni di carcere, di cui uno convertibile in misure alternative solo a determinate condizioni, motivando l’immediata carcerazione con la gravità eccezionale dei fatti. La stessa procedura consente però al condannato di chiedere la liberazione in attesa dell’appello. La Corte d’appello ha fino a due mesi per decidere, ma può farlo anche molto prima, come in questo caso.
Il verdetto di primo grado non ha riconosciuto tutte le imputazioni formulate dall’accusa. I giudici hanno assolto Sarkozy da corruzione passiva, appropriazione indebita di fondi pubblici libici e finanziamento illecito della campagnadel 2007, rilevando l’assenza di prove sull’effettivo utilizzo di denaro libico per la conquista dell’Eliseo. Ma il tribunale ha ritenuto provata l’associazione per delinquere nel quadro di un patto corruttivo con esponenti libici tra il 2005 e il 2007, cioè l’esistenza di una rete e di comportamenti concertati per ottenere fondi dalla Jamahiriyya di Gheddafi. Per questo ha inflitto cinque anni di reclusione, un’ammenda di 100.000 euro e un divieto temporaneo dai pubblici uffici. L’ex presidente ha respinto con forza le accuse, annunciando appello e parlando di un processo politico mascherato da procedimento penale.
Dopo la sentenza di settembre, la Procura finanziaria nazionale ha notificato a Sarkozy tempi e modalità della carcerazione. Con l’ordine di presentarsi il 21 ottobre 2025, l’ex presidente è stato preso in carico dall’amministrazione penitenziaria con regole speciali per i detenuti “sensibili”, quelli di alta notorietà o con profili di rischio. È plausibile, ma non ufficialmente confermato, che sia ospitato in una sezione protetta della prigione di La Santé, con regime di movimenti limitati e contatti ridotti al minimo. Da quel giorno è scattata la strategia della difesa, che ha chiesto la scarcerazione in attesa dell’appello richiamando il principio secondo cui, con l’impugnazione, la presunzione di innocenza torna a valere fino alla pronuncia definitiva. La Corte d’appello di Parigi ha calendarizzato la discussione per la mattina di oggi, con comparizione dell’interessato in videoconferenza.
La Pubblica accusa insiste sul carattere straordinario della vicenda, parlando di fatti che hanno scosso l’ordine pubblico e compromesso la fiducia nelle istituzioni, e ribadendo la necessità di un’esecuzione non differita della pena. La difesa replica che non vi è alcun rischio concreto di fuga, di reiterazione o di inquinamento probatorio da parte di Sarkozy, e che il quadro probatorio è costruito su testimonianze controverse, documenti contestati e circostanze indirette. Oggi i giudici dell’appello non entrano nel merito, ma pesano tre criteri classici: le garanzie di rappresentazione, la proporzionalità della misura e il rischio per l’ordine pubblico. Potrebbero optare per la liberazione con obblighi – controlli, cauzione, divieti di contatto – oppure confermare la detenzione.
Il procedimento si trascina da oltre dieci anni, con snodi che hanno intrecciato politica interna e diplomazia. Gli inquirenti hanno indagato su appunti del defunto ministro del Petrolio libico Shukri Ghanem, trovato annegato a Vienna nel 2012, su viaggi a Tripoli di due fedelissimi di Sarkozy, Claude Guéant e Brice Hortefeux, su transazioni sospette attraverso società schermo e su un presunto memorandum dei servizi libici pubblicato nel 2012 da Mediapart. Il tribunale ha ritenuto di non poter collegare direttamente quei flussi alla campagna dell’UMP del 2007, ma ha visto in quell’insieme di atti un disegno criminale per ottenere denaro in cambio di contropartite politiche e diplomatiche a Gheddafi.
Oltre all’ex presidente, sono finiti a processo diversi uomini del suo entourage. Gli ex ministri Guéant e Hortefeuxsono stati condannati per associazione per delinquere, mentre l’ex tesoriere della campagna Eric Woerth è stato assolto. Il mosaico processuale comprende anche posizioni ancora aperte per presunte falsità e traffico d’influenze. Si aggiunge così una nuova pagina al lungo dossier giudiziario di Sarkozy, già condannato nel caso Bismuth per corruzione e nel dossier Bygmalion sulle spese della campagna 2012.
La decisione di incarcerarlo prima dell’appello ha spaccato la Francia. A destra e all’estrema destra si parla di accanimento giudiziario, a sinistra di eguaglianza davanti alla legge. Un sondaggio Elabe di fine settembre indicava che il 61% dei francesi riteneva giusta la detenzione, contro un 38% contrario. Sullo sfondo si muove il rapporto ambiguo tra Sarkozy e Emmanuel Macron, che secondo diverse ricostruzioni mantiene con lui un canale informale di consultazione. Ma la vicenda, più che un caso politico, è diventata un test sulla tenuta dello Stato di diritto.
La carcerazione del 21 ottobre ha avuto un’eco continentale: un ex capo di Stato di un Paese dell’Unione europea che entra in cella per una condanna penale legata al finanziamento politico non è cosa di tutti i giorni. Le agenzie hanno parlato del primo caso di questo tipo. È un primato scomodo per Parigi, che ama presentarsi come custode dei valori europei, ma anche un segnale che la giustizia non si ferma davanti ai vertici del potere. Ogni ordinamento, però, conserva le proprie regole: l’esecuzione provvisoria francese non coincide con il sistema italiano, dove la pena diventa esecutiva solo dopo la Cassazione.
Se l’accusa regge, la trama è paradossale: la presunta intesa con Gheddafi risalirebbe agli anni 2005-2007, ma nel 2011 la Francia guidata da Sarkozy fu in prima fila nell’intervento NATO che contribuì alla caduta del raìs. Per i giudici, questo non esclude che l’allora ministro dell’Interno e poi presidente avesse partecipato a una rete che cercò fondi libici; per la difesa, al contrario, la guerra contro Tripoli dimostra l’assurdità di un simile patto. Il tribunale ha scelto una via intermedia: nessuna prova dei flussi, ma un complotto per ottenerli.
Se la Corte d’appello accoglierà la richiesta, Sarkozy potrebbe lasciare La Santé già oggi, probabilmente con restrizioni e obblighi di firma. Se la richiesta sarà respinta, resterà in isolamento in attesa dell’appello. I giudici potrebbero anche rinviare la decisione, ma l’attesa della Francia è tutta concentrata su queste ore. Formalmente hanno due mesi per pronunciarsi, ma la rapidità con cui l’udienza è stata fissata lascia pensare a una decisione in giornata.
Sul piano politico, il destino giudiziario di Sarkozy pesa come un macigno soprattutto a destra. Nel partito Les Républicains, molti oscillano tra la solidarietà personale e la paura che il caso monopolizzi l’agenda. Il rapporto con Macron alimenta retroscena, ma la vera questione è la fiducia nelle istituzioni. La Francia, che ha già conosciuto scandali come Clearstream e Cahuzac, sembra ormai abituata a vedere la magistratura bussare ai piani alti del potere. All’estero, la notizia è letta come una prova di indipendenza dei giudici, ma anche come un riflesso delle tensioni interne francesi.
Più che una disputa su bonifici e valigette, il processo interroga il rapporto tra denaro, politica e sovranità. Se fosse confermato che attori stranieri hanno tentato di pesare sul voto del 2007, il punto non sarebbe il valore delle cifre, ma la vulnerabilità di una democrazia occidentale. L’assoluzione dal finanziamento illecito non cancella questa domanda, ma la condanna per associazione per delinquere obbliga i tribunali superiori a motivare con rigore, per evitare l’idea di una giustizia creativa.
Il meccanismo dell’esecuzione provvisoria in Francia — che consente di rendere immediatamente effettiva la condanna, salvo il controllo dell’appello — è spesso frainteso all’estero. Nel caso Sarkozy, ha prodotto l’immagine potente di un ex capo dello Stato che entra in carcere prima della sentenza definitiva, senza che ciò pregiudichi il suo diritto a difendersi. L’udienza di oggi serve proprio a bilanciare quel potere, verificando se la privazione della libertà sia ancora proporzionata.
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Dietro le mura della prigione, Sarkozy partecipa in videoconferenza, assistito dai suoi avvocati. Per ragioni di sicurezza e per evitare un impatto mediatico eccessivo, non compare in aula. La scena resta comunque carica di simbolismo: un ex presidente che si rivolge ai giudici non più da uomo di potere, ma da imputato.
Qualunque sia il verdetto, la giornata del 10 novembre 2025 entrerà nei libri di storia giudiziaria. Se la scarcerazione sarà concessa, si parlerà di un ritorno all’equilibrio garantista; se verrà negata, la Francia si troverà a convivere per mesi con un ex capo di Stato dietro le sbarre. In ogni caso, resterà l’immagine di una porta blindata che si apre o che resta chiusa. Dentro e fuori, la democrazia francese continua a fare i conti con le proprie regole — e con il peso dei simboli.
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