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Polmonite interstiziale, la malattia silenziosa che ruba il respiro

Dall’infanzia a Bagnoli tra amianto e musica al Conservatorio, fino alla battaglia contro un male invisibile che toglie l’aria e non lascia scampo

Polmonite interstiziale

Polmonite interstiziale, la malattia silenziosa che ruba il respiro

La morte di Peppe Vessicchio continua a risuonare come un’eco malinconica nel panorama musicale italiano. Non solo per la perdita di un direttore d’orchestra raffinato, compositore e divulgatore, ma per la storia umana che la sua scomparsa porta con sé. Il maestro, scomparso l’8 novembre 2025 a causa di una polmonite interstiziale precipitata in pochi giorni, aveva raccontato con lucidità e semplicità la sua infanzia, intrecciando nella memoria la musica e l’amianto, due elementi che avrebbero segnato la sua vita in modi opposti: uno come passione salvifica, l’altro come possibile condanna silenziosa.

«Sono nato e cresciuto a Bagnoli, papà era un funzionario dell’ex Eternit. Amianto dappertutto. Stavamo in un comprensorio di palazzine, quattro famiglie: i superstiti oggi sono pochi. Io, mio fratello e mia sorella giocavamo con le vasche d’amianto. Poi c’erano anche gli aghi di ferro dell’Italsider: noi bambini ci divertivamo a riempire dei sacchi di terriccio e poi a passarci sotto dei magneti. Vedevamo gli aghetti. Noi siamo cresciuti con la musica. Canzoni napoletane da mettere sul giradischi la domenica pomeriggio, quando venivano le zie. Un fratello che cantava sin dal mattino. Io che volevo suonare la chitarra. Ma allora al Conservatorio non c’era il diploma per chitarra, così i miei mi iscrissero al Liceo Scientifico. Però scoprii che potevo frequentare il Conservatorio da uditore: non persi nemmeno una lezione sulle tecniche di direzione d’orchestra. Ero diventato amico di un custode che voleva diventare paroliere, gli davo una mano con i testi e lui mi facilitava l’ingresso, mi indicava gli orari giusti».

Quelle parole, oggi, assumono il peso di una profezia. La polmonite interstiziale, che ha tolto il respiro al maestro, è una malattia che colpisce proprio il tessuto più profondo dei polmoni: l’interstizio, la trama sottile che separa gli alveoli e consente all’ossigeno di passare nel sangue. È un’infiammazione invisibile che, con il tempo, può trasformarsi in fibrosi, indurendo i polmoni e rendendo ogni respiro una fatica.

Vessicchio era cresciuto in un quartiere segnato dall’industria pesante, Bagnoli, dove per decenni si sono incrociati i destini dell’Eternit e dell’Italsider, con le loro scorie, le polveri sottili, le promesse di lavoro e i danni ambientali. Giocare tra vasche di amianto e aghi di ferro era, per i bambini di allora, parte della normalità. Nessuno sapeva che quell’infanzia spensierata sarebbe diventata, per molti, una condanna differita.

La polmonite interstiziale è una malattia subdola, spesso collegata a esposizioni ambientali o professionali, ma anche a fattori autoimmuni o genetici. Nel caso del maestro, la storia personale sembra disegnare un filo rosso che lega la memoria della sua infanzia alla causa della sua morte. Un legame drammatico, ma emblematico del destino di un’intera generazione cresciuta nei quartieri industriali italiani, dove la salute fu sacrificata al progresso.

Gli specialisti spiegano che questa forma di polmonite colpisce il tessuto interstiziale dei polmoni, creando infiammazioni che si trasformano in cicatrici. I polmoni perdono elasticità, l’ossigeno fatica a entrare nel sangue e il corpo, lentamente, si spegne. È una malattia che procede spesso in silenzio, con sintomi leggeri e confusi – una tosse secca, un affanno, un senso di stanchezza – fino a quando, improvvisamente, il quadro precipita. È quello che è accaduto a Vessicchio, ricoverato d’urgenza dopo un peggioramento repentino.

La polmonite interstiziale è diversa da quella batterica o virale: non è causata da un’infezione acuta, ma da una risposta anomala del sistema immunitario o da un’esposizione cronica a sostanze irritanti. Spesso è incurabile e può solo essere rallentata con farmaci antifibrotici e cortisonici. Nei casi più gravi, l’unica speranza è il trapianto di polmoni, ma il tempo, quando la malattia si manifesta in forma aggressiva, è quasi sempre troppo breve.

Il caso del maestro napoletano ha riacceso anche il dibattito sulle conseguenze ambientali dell’industrializzazione di interi quartieri. A Bagnoli, i dati sull’incidenza delle malattie respiratorie e tumorali restano tra i più alti d’Italia. L’amianto, bandito ormai da decenni, ha lasciato tracce invisibili nei corpi e nelle vite di chi ci è cresciuto accanto. Il racconto di Vessicchio – con i giochi tra i detriti e le vasche di amianto, i magneti che attiravano aghi di ferro, la polvere che si posava ovunque – restituisce un’immagine struggente di un’infanzia felice ma immersa nel rischio.

Eppure, accanto a quella dimensione ambientale, c’era un’altra eredità, quella musicale. Dalla sua casa di Bagnoli uscivano canzoni napoletane e voci di famiglia che diventavano coro. In quell’universo domestico, il giovane Peppe trovò la scintilla che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Anche se al Conservatorio di Napoli non esisteva un corso per chitarra, la sua determinazione lo portò comunque tra quelle mura: da uditore, in punta di piedi, ma sempre presente. Le lezioni di direzione d’orchestra, seguite di nascosto grazie alla complicità di un custode che sognava di diventare paroliere, furono la sua prima vera scuola di musica.

Quel ragazzo curioso e autodidatta sarebbe diventato uno dei direttori più amati della televisione italiana, il simbolo di una musica colta ma accessibile, capace di parlare a tutti. Per decenni, Vessicchio ha portato la sua arte sui palchi di Sanremo, nei programmi televisivi e nei teatri, sempre con la grazia di chi sa che la musica è prima di tutto ascolto e disciplina.

La sua malattia, come un contrappunto drammatico, è arrivata quando la vita sembrava avergli concesso tempo e serenità. Le complicanze respiratorie, sopraggiunte improvvisamente, hanno lasciato poco margine d’intervento. Gli ultimi giorni sono stati segnati da una progressiva difficoltà nel respirare, sintomo tipico di una patologia che toglie lentamente ossigeno al corpo e voce all’anima.

La polmonite interstiziale, spiegano i medici, è tra le malattie polmonari più insidiose perché non sempre riconoscibile nelle fasi iniziali. Può restare latente per mesi, perfino anni, e poi manifestarsi con violenza. Quando il processo di fibrosi diventa esteso, i polmoni perdono la capacità di espandersi, e anche un respiro semplice diventa un atto di resistenza.

La morte del maestro Vessicchio, oltre al dolore collettivo, lascia anche un messaggio: la necessità di parlare di salute ambientale e di prevenzione respiratoria. In un Paese dove le malattie legate all’inquinamento continuano a mietere vittime silenziose, la sua storia è anche la testimonianza di quanto la memoria industriale pesi ancora sulle generazioni di oggi.

Eppure, se la malattia ha spento la sua voce, la musica del maestro resta. Le sue parole, i suoi gesti e il suo sorriso appartengono a quella categoria rara di artisti che sanno unire cultura e umiltà. La sua infanzia a Bagnoli, segnata dall’amianto e dalla musica, racconta un’Italia che è passata dal rumore delle fabbriche alle melodie dei teatri, senza mai smettere di cercare respiro.

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