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L’Italia rinuncia a curarsi: il fallimento silenzioso del Servizio sanitario nazionale

Nel 2024 quasi 6 milioni di cittadini hanno detto addio alle cure per tempi, costi e distanze

L’Italia rinuncia a curarsi

L’Italia rinuncia a curarsi: il fallimento silenzioso del Servizio sanitario nazionale

Nel 2024 quasi un italiano su dieci ha rinunciato a curarsi. Sono 5,8 milioni di persone, il 9,9% della popolazione, un milione e trecentomila in più rispetto all’anno precedente. Dietro questi numeri, fotografati dall’Istat, non ci sono solo statistiche, ma storie di rinuncia, disagio e diseguaglianza. Liste d’attesa interminabili, costi sempre più alti, ospedali difficili da raggiungere: tre motivi che, messi insieme, descrivono una sanità pubblica in affanno.

L’associazione Codici parla senza mezzi termini di “fallimento sistemico”. Il segretario nazionale Ivano Giacomelli spiega che non si tratta di un problema temporaneo, ma del segnale di un collasso strutturale. «Quando il 6,8% della popolazione dichiara di non potersi curare a causa delle liste d’attesa, non parliamo di inefficienze burocratiche», sottolinea. «Parliamo di cittadini che rinunciano a diagnosi precoci, di malattie che si aggravano, di sofferenze evitabili che diventano croniche».

Il riferimento all’articolo 32 della Costituzione, che garantisce il diritto alla salute, è inevitabile. Quel principio, osserva Giacomelli, «rischia di restare solo un enunciato astratto». Il dato, triplicato rispetto al 2019, segna una frattura tra ciò che la sanità pubblica promette e ciò che realmente offre. La rinuncia alle cure non è più un’eccezione: è diventata parte del paesaggio quotidiano del Paese.

Il fenomeno colpisce soprattutto donne e anziani. Le prime rinunciano nel 7,7% dei casi, una percentuale che sale oltre il 9% con l’età. Tra gli over 65, la difficoltà di spostarsi e le pensioni limitate si sommano a un’offerta sanitaria sempre più lontana. Giacomelli parla di «un’ingiustizia dentro l’ingiustizia»: le categorie più fragili sono quelle che subiscono di più.

Nemmeno la geografia offre attenuanti. Dal Nord al Sud, nessuna area è risparmiata. Il Nord registra un 6,9% di rinunce, il Centro un 7,3%, il Mezzogiorno un 6,3%. Cambiano le regioni, ma non la sostanza: liste d’attesa e costi fuori controllo. La conseguenza è un sistema sanitario a due velocità, dove chi può permetterselo si rivolge al privato, mentre gli altri restano bloccati nelle attese o rinunciano del tutto.

Dietro questa realtà si nasconde un rischio concreto: che il diritto alla salute diventi un privilegio economico. «Ogni giorno di attesa può significare la differenza tra una diagnosi precoce e una malattia in stato avanzato», denuncia ancora Giacomelli. «Le patologie non diagnosticate in tempo richiedono poi cure più costose e complesse, appesantendo ulteriormente un sistema già al limite».

Per l’associazione Codici, la priorità è chiara: servono interventi urgenti e strutturali. Non bastano campagne di immagine o nuove piattaforme digitali di prenotazione. Occorre personale, fondi, efficienza. Occorre rimettere al centro la persona, non la burocrazia.

Da anni Codici porta avanti la campagna “Indigniamoci!”, che raccoglie le segnalazioni di pazienti e familiari in tutta Italia. Chi subisce ritardi, errori o irregolarità può rivolgersi agli sportelli dell’associazione per ricevere assistenza. Un modo per dare voce a chi, troppo spesso, resta inascoltato.

Il quadro è allarmante. Il Servizio sanitario nazionale, nato come pilastro di equità e universalità, sta scivolando verso un modello selettivo. Le liste d’attesa non sono più solo un disagio: sono la nuova frontiera dell’esclusione sociale. In un Paese che invecchia e si ammala di più, la salute è diventata la prima vittima di una macchina che non riesce più a stare al passo.

E mentre milioni di italiani aspettano, il tempo continua a scorrere. Per molti, troppo in fretta.

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