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05 Novembre 2025 - 10:41
Pasquale Mazzitelli
È la storia di Pasquale Mazzitelli, 57 anni, disabile da cinque, pendolare da dieci. È la storia di un uomo che ogni mattina sale su un treno con la speranza di arrivare, e troppo spesso resta invece fermo, prigioniero della sua carrozzina mentre il mondo intorno continua a scorrere, indifferente.
È successo di nuovo martedì 4 novembre 2025. Alla stazione di Volpiano, il treno regionale della linea Chieri–Rivarolo, numero 26034, si è fermato sul binario sbagliato: il binario 2, quello non attrezzato per le persone con disabilità. E così Pasquale è rimasto lì, bloccato, impotente, a guardare i passeggeri scendere, la vita andare avanti e la sua, invece, inchiodata ai binari di un Paese che parla tanto di inclusione ma dimentica cosa significhi davvero.
«Capita sempre a me – racconta Mazzitelli, sconfortato – in un anno è la quinta volta. Il convoglio arriva sul binario 2 invece che sul binario 1, dove c’è il servizio di assistenza. Gli impegni saltano. E se avessi avuto una visita medica prenotata mesi fa? L’avrei persa per colpa di un treno che sbaglia binario.»
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L’uomo vive a San Benigno Canavese e ogni giorno affronta le stesse difficoltà che molti preferiscono non vedere. «Non è ammissibile che nell’era dell’intelligenza artificiale succedano ancora disservizi per un mancato messaggio tra operatori. Sono un handicappato in carrozzina invisibile a tutto e a tutti.» Le sue parole arrivano dritte, senza rabbia, ma con quella rassegnazione che pesa più di un urlo.
Non è la prima volta. E purtroppo non sarà l’ultima. Per Pasquale il treno non è un mezzo di trasporto: è un campo di battaglia quotidiano. Ogni viaggio è una scommessa, ogni salita una prova di resistenza. Perché per chi vive la disabilità, la normalità non è mai scontata.
«Prima camminavo... adesso non cammino più», ci aveva confidato qualche mese fa, con un filo di voce. Quello che non accetta è la perdita della dignità: la dignità di poter salire e scendere da un treno come tutti gli altri. Perché la disabilità non è un limite, lo diventano invece le barriere e la disorganizzazione.
E allora, le parole che sentiamo ripetere nei convegni e nei piani strategici – “inclusione”, “accessibilità”, “diritto alla mobilità” – suonano come slogan vuoti. Perché nei binari di provincia, dove la burocrazia inciampa e la realtà è fatta di ascensori rotti, pedane che non arrivano e personale impreparato, quelle parole perdono senso.
Fino a quando Pasquale e le migliaia di persone nella sua condizione dovranno sperare che il treno arrivi sul binario giusto? Fino a quando dovranno pregare che qualcuno non sbagli una comunicazione, che l’assistenza funzioni, che la pedana non sia rotta?
Non è solo una questione di ritardi o di disagio. È una questione di diritti negati. È la fotografia di una società che si riempie la bocca di buone intenzioni ma non si china a raccogliere chi è rimasto indietro. È la storia di un’Italia che spende miliardi per la “transizione digitale” e lascia un uomo bloccato su un binario per un errore di comunicazione.
Forse un giorno Pasquale potrà viaggiare senza ostacoli, senza sguardi pietosi, senza doversi scusare per la sua stessa esistenza. Forse un giorno sarà davvero possibile prendere un treno senza dover lottare. Ma fino a quel giorno, la sua storia resterà un pugno nello stomaco, un monito che ci riguarda tutti.
Perché le barriere architettoniche si possono abbattere con un progetto, ma quelle culturali – quelle dell’indifferenza – resistono più del cemento. E finché continueremo a ignorarle, continueremo a lasciare uomini come Pasquale fermi, su un binario sbagliato, mentre il resto del mondo passa oltre.
LA VOCE DEL CANAVESE
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