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Colf e badanti, dal 1° novembre il nuovo contratto: più tutele per i lavoratori, ma i datori con disabilità restano invisibili

Il rinnovo del CCNL domestico migliora stipendi e diritti, ma continua a ignorare una realtà scomoda: migliaia di persone con disabilità che assumono personalmente i propri assistenti restano intrappolate in un sistema abilista e insostenibile

Colf e badanti, dal 1° novembre il nuovo contratto: più tutele per i lavoratori, ma i datori con disabilità restano invisibili

Colf e badanti, dal 1° novembre il nuovo contratto: più tutele per i lavoratori, ma i datori con disabilità restano invisibili

Dal 1° novembre 2025 entra ufficialmente in vigore il nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per colf e badanti, che riguarda circa 817 mila lavoratori domestici in Italia.
Un rinnovo atteso da anni, che introduce aumenti salariali, più tutele e un aggiornamento automatico dei minimi in base all’inflazione. Tuttavia, dietro l’apparente equità di questo passo avanti, si nasconde una verità scomoda: il contratto continua a essere profondamente discriminatorio nei confronti di un gruppo di datori di lavoro — le persone con disabilità che assumono assistenti personali per condurre una vita soddisfacente e autodeterminata.

Le novità del nuovo CCNL

Il nuovo contratto è frutto di un lungo confronto tra le associazioni dei datori di lavoro (come DOMINA e FIDALDO) e i sindacati del settore.
Tra le principali novità introdotte dal CCNL colf e badanti 2025, spiccano:

Aumento degli stipendi: gli importi minimi retributivi crescono di circa 100 euro lordi al mese per la maggior parte dei livelli contrattuali.
Adeguamento all’inflazione: i salari verranno rivalutati ogni anno al 90% dell’indice ISTAT, garantendo un aggiornamento più rapido rispetto al passato.
Permessi per assistenza familiare: per la prima volta, viene riconosciuta la Legge 104/1992 nell’ambito del lavoro domestico, che consente ai lavoratori di usufruire di tre giorni di permesso retribuito al mese per assistere un familiare con grave disabilità certificata.
Maggiore formazione: vengono introdotti percorsi di aggiornamento obbligatori per colf e badanti, certificati dagli enti bilaterali del settore.
Tutele aggiuntive per malattia e infortunio, con tempi di conservazione del posto di lavoro più lunghi.

A una prima lettura, si tratta di un passo avanti significativo: il lavoro domestico, spesso relegato ai margini del diritto del lavoro, entra finalmente in una dimensione più regolata e dignitosa.

Ma per chi vive con una disabilità grave, il contratto resta un muro

Elisa Costantino

Come sottolinea Elisa Costantino, dottoranda in Sociologia dell’Università di Genova e studiosa del modello sociale della disabilità, il nuovo CCNL

rappresenta un progresso per i lavoratori, ma resta cieco rispetto alla figura del datore di lavoro disabile che assume personalmente i propri assistenti”.

Costantino parla anche da persona che necessita di assistenti personali nella propria quotidianità.
L’assistenza personale – spiega – non è la stessa cosa della cura familiare o domestica. Nella mia vita non ho una ‘badante’, ho assistenti personali che scelgo, formo e coordino io, secondo le mie esigenze e la mia autodeterminazione. Ma la legge mi costringe a utilizzare lo stesso contratto pensato per le famiglie che assumono badanti conviventi. È come se la mia vita indipendente fosse solo un’appendice del lavoro domestico, non un diritto.

Un sistema abilista che ignora la realtà della Vita Indipendente

Questa è la ferita più profonda del nuovo CCNL: il suo implicito abilismo.
In termini semplici, l’abilismo è la discriminazione strutturale o culturale che considera la persona con disabilità come un’eccezione, un problema da gestire, anziché come un cittadino con gli stessi diritti di autodeterminazione.
Nel nuovo contratto, l’abilismo si manifesta nel mancato riconoscimento della figura del datore di lavoro disabile come soggetto distinto dalla “famiglia datrice”.

Chi vive una disabilità e desidera gestire in autonomia l’assistenza personale deve comunque inquadrare il proprio collaboratore sotto la voce “colf o badante”, pur trattandosi di un rapporto radicalmente diverso:
non si tratta di un lavoro “domestico” nel senso tradizionale, ma di un’assistenza personale e autogestita;
• la persona disabile è datore di lavoro, ma anche “assistita”, e quindi ricopre un ruolo unico che il contratto ignora completamente;
• i costi di gestione – tra contributi, ferie, tredicesima e aumenti annuali – gravano interamente sulla persona disabile, che spesso riceve fondi pubblici inadeguati (spesso fermi da anni). In parole povere: i salari aumentano, ma i finanziamenti per chi deve pagarli restano gli stessi.

Il paradosso delle agevolazioni negate

A peggiorare il quadro c’è una disparità clamorosa.
Le famiglie che assumono badanti per un parente over 80 possono godere di riduzioni o esenzioni contributive, ma la persona con disabilità – anche se necessita di assistenza h24 – non beneficia di nessuna agevolazione analoga.
Il risultato è una forma di ingiustizia contrattuale abilista, dove chi ha meno forza economica deve comunque sostenere gli stessi, se non maggiori, costi di un datore “normalizzato”, ossia considerato standard.

Eppure, la logica dovrebbe essere opposta: una persona che vive grazie all’assistenza personale dovrebbe ricevere più tutele, non meno.

Tra buone intenzioni e vite dimenticate

Il nuovo CCNL 2025 segna un progresso in termini di civiltà lavorativa, ma continua a ignorare un principio cardine riconosciuto anche dall’ONU nella Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia nel 2009):
il diritto di ogni persona a vivere in modo indipendente e a essere inclusa nella comunità.

Finché una persona disabile sarà costretta a scegliere tra pagare l’assistente o rinunciare alla propria libertà, nessuna riforma potrà dirsi davvero giusta.

Servono politiche flessibili e un contratto dedicato all’assistenza personale”, ribadisce Elisa Costantino.
Solo così il diritto alla Vita Indipendente smetterà di essere un privilegio per pochi e diventerà ciò che dovrebbe essere: una conquista collettiva.

Il nuovo contratto domestico migliora le condizioni dei lavoratori, e questo è un bene.
Ma finché il sistema continuerà a misurare i bisogni con un metro unico – quello delle famiglie standard – resteremo prigionieri di un abilismo istituzionale che trasforma la disabilità in povertà.

Serve una riforma coraggiosa: un CCNL per l’assistenza personale gestita dalla persona disabile stessa, che valuta, sceglie, assume chi considera idoneo alle proprie necessità.
Non per ultimo, servono fondi adeguati e agevolazioni mirate.

Fino ad allora, ogni aumento di stipendio, per qualcuno, sarà solo un’altra tassa sulla propria libertà.

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