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Spari nella notte di Capodanno 2024, chiesti un anno e sei mesi per Emanuele Pozzolo

Il deputato a processo per il porto abusivo di un’arma da collezione e di munizioni da guerra. Oggi attesa la sentenza del tribunale di Biella dopo un anno di polemiche, accuse e ricostruzioni

Spari nella notte di Capodanno 2024, chiesti un anno e sei mesi per Emanuele Pozzolo

Spari nella notte di Capodanno 2024, chiesti un anno e sei mesi per Emanuele Pozzolo

Un anno e sei mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena. È la richiesta avanzata dalla pubblica ministera Paola Francesca Ranieri nei confronti di Emanuele Pozzolo, deputato eletto con Fratelli d’Italia e oggi passato al gruppo misto dopo l’espulsione decisa dal partito nella primavera di quest’anno. Il processo, nato dallo sparo di Capodanno 2024 a Rosazza, è giunto al suo epilogo. La sentenza è attesa nelle prossime ore davanti al tribunale di Biella, dove la vicenda che un anno fa scosse la politica italiana è tornata a essere giudicata nella sua sostanza penale, tra licenze d’armi, munizioni, ricostruzioni balistiche e il peso di un ruolo pubblico finito sotto i riflettori per un gesto imprudente.

Era la notte tra il 31 dicembre 2023 e il 1° gennaio 2024 quando, durante una festa nella Pro Loco di Rosazza, nel Biellese, un colpo d’arma da fuoco partito da un piccolo revolver ferì a una gamba Luca Campana, un militare che si trovava alla festa con la famiglia e che in quel periodo lavorava come uomo della scorta del sottosegretario Andrea Delmastro delle Vedove, anche lui presente alla serata. L’episodio fece immediatamente il giro dei notiziari e diventò un caso politico: Pozzolo, che sedeva in Parlamento da poco più di un anno, fu travolto dalle polemiche e sospeso dal gruppo di Fratelli d’Italia appena quattro giorni dopo.

Le indagini, coordinate dalla Procura di Biella, si concentrarono sin dall’inizio su tre elementi: la provenienza dell’arma, la regolarità della sua detenzione e la tipologia delle munizioni utilizzate. Il revolver, un mini–arma da collezione, era detenuto legalmente da Pozzolo in forza di una licenza rilasciata dalla Questura di Biella, che però non consentiva di portarla all’esterno della propria abitazione. In pratica, il deputato poteva possederla, ma non usarla né trasportarla al di fuori del luogo di detenzione. A ciò si aggiunse il dubbio sulla natura dei proiettili, che gli investigatori classificarono come munizioni da guerra, aprendo la strada a un’ulteriore accusa di porto illegale.

Emanuele Pozzolo

Pozzolo, nel frattempo, si difese sostenendo che il colpo non fosse partito da lui e che i proiettili fossero stati acquistati regolarmente in armeria. Le accuse più pesanti, come quelle di lesioni aggravate, omessa custodia d’arma e esplosioni pericolose, vennero nel corso dei mesi archiviate o escluse dal processo. Campana, la vittima, aveva in seguito ritirato la querela, consentendo l’estinzione del reato di lesioni. Restarono però in piedi due contestazioni: porto abusivo di arma in regime di collezione e porto illegale di munizionamento da guerra.

Il deputato aveva chiesto, all’inizio del procedimento, di poter patteggiare, ma la trattativa con la Procura non andò a buon fine e Pozzolo decise di affrontare il rito ordinario. Nel novembre 2024 il giudice dell’udienza preliminare lo rinviò a giudizio, e il processo iniziò formalmente a febbraio 2025.

Durante le udienze sono stati ascoltati diversi testimoni, tra cui i presenti alla festa, alcuni esperti balistici e gli inquirenti che avevano seguito il caso. Pozzolo ha reso dichiarazioni spontanee, ribadendo di non aver violato alcuna norma: «Sul mio porto d’armi per difesa personale non c’era scritto quale arma potevo portare. E quella che avevo con me non è mai stata utilizzata per scopi diversi dalla collezione», ha spiegato davanti al giudice. In merito ai proiettili, ha aggiunto: «Impossibile che fossero da guerra: li ho comprati regolarmente in armeria. È impensabile che lì si vendano munizioni vietate».

Nelle sue argomentazioni, Pozzolo ha ricordato che la Prefettura di Biella gli aveva rilasciato da poco un porto d’armi per difesa personale, in relazione al suo impegno politico a sostegno delle donne e dei dissidenti iraniani perseguitati dal regime di Teheran. Ma la Procura ha sostenuto che quella licenza non fosse sufficiente a giustificare la presenza dell’arma alla festa, poiché il revolver apparteneva a una categoria diversa da quella indicata nel documento.

Nel corso della requisitoria di oggi, la pm Ranieri ha messo da parte la questione di chi avesse effettivamente premuto il grilletto. «Non mi interessa chi ha sparato o chi non ha sparato: interessa che il giudice valuti la legittimità del porto d’arma e del munizionamento», ha detto in aula, ribadendo che la vicenda è di natura amministrativa e penale più che balistica. La magistrata ha chiesto una condanna a un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, ritenendo provata la violazione delle norme sul possesso e il trasporto dell’arma.

Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Andrea Corsaro, il comportamento del deputato non integra alcuna fattispecie penale. Secondo il legale, la normativa non è chiara nel definire l’uso consentito per le armi da collezione e l’eventuale compatibilità con licenze di porto diverse. La difesa ha inoltre sottolineato che Pozzolo non aveva alcuna intenzione di usare l’arma, e che il colpo sarebbe partito accidentalmente, forse dopo essere stato maneggiato da un altro invitato.

Sul piano politico, la vicenda ha avuto conseguenze immediate. L’ex deputato di Fratelli d’Italia, già noto per le sue posizioni polemiche durante la pandemia — quando si era espresso contro il green pass e le misure sanitarie obbligatorie — è stato sospeso dal partito il 4 gennaio 2024 e successivamente espulso nel maggio 2025, dopo mesi di tensioni interne e dichiarazioni pubbliche che non avevano convinto la dirigenza. Oggi siede nel Gruppo misto della Camera e ha mantenuto un profilo più defilato, pur continuando a difendersi con fermezza.

L’impatto mediatico dell’episodio fu enorme, anche perché alla festa di Rosazza era presente Andrea Delmastro delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia, che in quei mesi era già al centro di un altro procedimento per rivelazione di segreto d’ufficio. Le immagini della serata, le testimonianze e le prime ricostruzioni contribuirono ad alimentare un dibattito che superò presto il confine locale, diventando un caso nazionale.

Secondo quanto emerso nel corso dell’istruttoria, Pozzolo avrebbe tirato fuori l’arma per mostrarla agli amici, in un contesto conviviale e privo di tensione. In pochi istanti, però, la situazione sarebbe degenerata e un colpo sarebbe partito accidentalmente, colpendo alla gamba il militare Campana. Un gesto che l’imputato ha sempre definito “una tragica fatalità”, ma che la Procura ritiene indice di un comportamento imprudente e contrario alle norme di sicurezza.

La discussione sulla licenza di porto e detenzione rimane il nodo centrale del processo. La legge italiana distingue infatti tra la licenza di detenzione per collezione, che consente di possedere un numero maggiore di armi ma non di portarle fuori dall’abitazione, e la licenza di porto per difesa personale, che invece permette di trasportarle in determinati contesti. Secondo l’accusa, Pozzolo avrebbe confuso o deliberatamente ignorato questa distinzione, trasportando un’arma non autorizzata a lasciare la propria residenza.

La sentenza che sarà pronunciata oggi chiuderà il primo grado di un procedimento che ha attraversato quasi due anni di indagini, polemiche e ripercussioni politiche. In caso di condanna, il deputato potrà ricorrere in appello. Ma, indipendentemente dall’esito, il “caso Pozzolo” rimarrà un precedente emblematico su come l’uso improprio delle armi da fuoco, anche in un contesto privato, possa avere conseguenze giudiziarie e istituzionali profonde.

Per la Procura, la vicenda è il simbolo di un abuso di potere e di una sottovalutazione del rischio legato al possesso di armi da parte di figure pubbliche. Per la difesa, invece, è un errore di interpretazione normativa, un incidente isolato diventato terreno di scontro politico. La verità giudiziaria, ora, è nelle mani del tribunale di Biella.

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