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L’Ordine dei Medici smonta il Piano Sanitario Regionale: “Critiche tecniche, non politiche”

L’Ordine dei Medici di Torino smonta punto per punto il Piano socio-sanitario regionale 2025-2030. Mancano dati epidemiologici, strategie per il personale e una visione sulle disuguaglianze. “Non vogliamo scontri, ma serve riscriverlo da capo”.

L’Ordine dei Medici smonta il Piano Sanitario Regionale: “Critiche tecniche, non politiche”

L’Ordine dei Medici smonta il Piano Sanitario Regionale: “Critiche tecniche, non politiche”

Non è una resa dei conti politica, assicurano i medici. È una questione di metodo, di serietà, di rispetto per i cittadini piemontesi e per chi, ogni giorno, lavora nei reparti, nei pronto soccorso e negli ambulatori. Dopo le polemiche seguite all’audizione in Consiglio regionale, l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino (OMCeO) chiarisce la propria posizione sul Piano socio-sanitario regionale 2025-2030 voluto dall’assessore alla sanità Federico Riboldi.

“Nessun attacco politico o personale — scrivono — commentare un documento anche in modo critico e deciso non equivale a mancare di rispetto. Se le nostre parole sono state percepite diversamente, abbiamo sbagliato la forma, non la sostanza.”

La sostanza, in effetti, è durissima. Secondo l’OMCeO, il Piano presentato dalla Giunta Cirio e difeso con orgoglio da Riboldi è un documento fragile, incompleto e privo delle fondamenta su cui si costruisce qualsiasi politica sanitaria seria: i dati.

“Nel documento manca un intero capitolo dedicato ai dati epidemiologici — scrivono i medici —, anche i più semplici: prevalenza delle patologie, cause di morte per età, andamento nel tempo, differenze tra Asl, utilizzo dei servizi.”

Numeri che servono a stabilire le priorità d’intervento, ma che non ci sono. Così, osservano, resta inspiegabile la scelta di concentrarsi solo su tre patologie – fibromialgia, fibrosi cistica ed endometriosi – citate nel capitolo dedicato alle reti clinico-assistenziali, mentre tutto il resto scompare nel silenzio.

Un piano che vorrebbe ridisegnare la sanità piemontese ma dimentica di dire con quali forze e risorse intenda farlo.

“Non è definita alcuna strategia per affrontare la carenza di personale”, denuncia l’Ordine.

Nessun confronto tra la distribuzione attuale di medici e infermieri nelle varie Asl e i fabbisogni previsti nei prossimi cinque anni. Un buco nero che rende impossibile capire se e come le strutture potranno garantire i livelli di assistenza dichiarati sulla carta.

Non va meglio sul fronte della prevenzione. L’OMCeO sottolinea che nel Piano la parola “ambiente” compare appena, rimandando tutto al Piano Regionale di Prevenzione. Tutto l’impianto resta schiacciato su vaccini, screening e corretti stili di vita. “Ma la salute — avvertono i medici — non si tutela solo con le buone abitudini. Occorre affrontare i fattori ambientali, sociali e strutturali che influenzano la qualità della vita.”

Manca anche un capitolo sulle disuguaglianze di salute, che in Piemonte restano drammatiche: chi vive in montagna o in periferia ha meno accesso ai servizi, chi è povero o detenuto spesso rinuncia a curarsi. L’unico accenno nel documento riguarda un generico “potenziamento dell’assistenza penitenziaria con il supporto delle nuove tecnologie”e qualche riferimento a interventi per i senza dimora o alcune categorie di migranti. Troppo poco, troppo vago.

C’è poi un silenzio ancora più grave, quello sul fine vita.

“Il Piano non affronta le tematiche complesse legate alla dignità del paziente e alle cure palliative”, scrive l’Ordine, ricordando che la centralità della persona non può restare uno slogan. In un sistema sanitario che invecchia insieme alla popolazione, ignorare il diritto a morire con dignità è una ferita profonda.

Anche le Case della Comunità, fiore all’occhiello del PNRR e perno della riforma territoriale, vengono citate ma non spiegate. Non si sa chi farà cosa, come dialogheranno medici di famiglia, pediatri, distretti, servizi sociali, assistenza domiciliare. Stessa confusione per gli ospedali di comunità, che dovrebbero servire a stabilizzare i pazienti e favorire la deospedalizzazione precoce: il Piano non definisce ruoli né relazioni operative. Tutto resta sospeso.

E infine, un’altra grande omissione: la rete ospedaliera. L’Ordine chiede chiarezza sul futuro dei nuovi poli previsti a Torino e provincia — quattro strutture di diversa scala — e sul modo in cui si integreranno con gli ospedali esistenti. “Non è indicata la dotazione delle singole specialità, né la previsione dei flussi di ricovero. Senza queste informazioni, è impossibile capire come saranno organizzate le reti cliniche”.

Per tutte queste ragioni, l’OMCeO rivolge una richiesta precisa al Consiglio regionale: rivedere il Piano, prendersi quattro o cinque mesi di tempo, e riscriverlo alla luce delle osservazioni tecniche. Nessun sabotaggio, assicurano, ma un contributo costruttivo. “Il nostro intento è offrire elementi di riflessione e suggerimenti utili per rendere il Piano più aderente ai bisogni della popolazione e sostenibile per gli operatori”.

La chiusura del comunicato, tuttavia, non lascia dubbi sul malessere che attraversa la categoria. “Ribadiamo la piena disponibilità a collaborare con la Regione Piemonte, con spirito costruttivo e non di parte, orientato al bene della salute pubblica.” Un messaggio che suona come un invito alla serietà, ma anche come una stoccata a un assessore che, secondo molti, tende più agli annunci che al confronto.

Dietro i sorrisi di circostanza e le dichiarazioni istituzionali, la frattura tra i medici e la Regione è ormai evidente. Da una parte, Federico Riboldi, che promette una sanità “universale e moderna”, dall’altra chi quella sanità la tiene in piedi tutti i giorni, e che chiede solo una cosa: meno slogan, più sostanza.

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