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Riboldi: "Non sono scappato. E' una balla!”. Ma il piano sociosanitario resta un malato grave

Dopo lo scontro con Giustetto, l’assessore alla Sanità precisa di essersi solo allontanato “per un quarto d’ora”. Ma in Commissione si consuma il disastro annunciato del nuovo piano regionale, bocciato da medici, infermieri e farmacisti.

Riboldi: "Non sono scappato. E' una balla!”. Ma il piano sociosanitario resta un malato grave

Giustetto e Riboldi

Eh No, l'assessore regionale alla sanità Federico Riboldi proprio non ci sta. Non vuole passare per quello che scappa. “Mi sono assentato qualche volta e per qualche minuto… Mi sono alzato quindici minuti dopo l’intervento di Giustetto e poi sono rientrato, sono andato nella saletta a fianco. Passare per uno che scappa, no”, precisa con tono deciso, come chi si sente vittima di una ricostruzione ingenerosa. Eppure l’immagine resta: il presidente dell’Ordine dei Medici parla, e l’assessore alla Sanità si alza. Una coincidenza, forse. Ma di quelle che raccontano più di molte parole.

Tutto nasce da un’audizione che doveva essere un passaggio tecnico e invece è diventata un piccolo terremoto politico. In Commissione Sanità, si discute il nuovo Piano sociosanitario del Piemonte, la riforma che dovrebbe restituire respiro a un sistema ormai allo stremo. L’aula è piena, il clima è teso. A prendere la parola, Guido Giustetto, presidente dell’Ordine dei Medici di Torino. Poche frasi, ma pesanti come macigni: “Questo piano non è dignitoso per gli operatori e non rispetta i cittadini”.

Non lo dice un oppositore politico, ma il rappresentante di migliaia di medici che ogni giorno fanno i conti con pronto soccorso intasati, reparti al limite, e un personale che manca ovunque. Giustetto parla con voce ferma, elenca carenze, sottolinea omissioni, chiede un cambio di passo. Sul banco dell’assessorato, Riboldi si muove appena, poi si allontana per qualche minuto. Il resto è diventato cronaca: l’audizione si trasforma in un duello a distanza.

L’assessore replica: “Non abbiamo litigato. Ho solo detto che la critica va bene, ma non si può dire che i vertici della sanità, che sono suoi colleghi, siano incompetenti”. Un appello al rispetto, certo. Ma anche un segnale di quanto, dietro le formule istituzionali, stia montando il disagio di chi deve difendere un piano che nemmeno il mondo sanitario sembra voler difendere.


Giustetto non si limita alle parole di circostanza. Va al cuore della questione: "manca un piano del personale, manca una visione epidemiologica, mancano riferimenti concreti su case e ospedali di comunità, manca perfino l’ambiente". Un elenco di mancanze che più che una relazione tecnica somiglia a un referto clinico: diagnosi severa, prognosi riservata.

Il presidente dell’Ordine parla di un documento “da riscrivere” e di un percorso che “non sarebbe dignitoso per il Consiglio regionale approvare così com’è”. Parole dure, che lasciano poco spazio all’interpretazione. Ma soprattutto che danno voce a un malessere diffuso: la sensazione che il Piano 2025-2030, annunciato come la grande riforma della sanità piemontese, non sia altro che una raccolta di buone intenzioni.

Marrone e Riboldi

Marrone e Riboldi


E in effetti, di buone intenzioni ce ne sono molte. La Regione promette “una rete di prossimità”, “un sistema più vicino al cittadino”, “nuovi modelli di integrazione tra sanitario e sociale”. Ma la realtà, quella che si misura nei numeri e nei corridoi, racconta altro: liste d’attesa interminabili, ospedali al limite, pediatri e medici di base che scompaiono. E intanto il personale sanitario, quello vero, continua a fare miracoli per tenere insieme un sistema che scricchiola da anni.

A rincarare la dose, gli altri ordini professionali: farmacisti, infermieri, veterinari, ostetriche. Tutti concordi nel dire che il piano non basta. “Manca perfino la logica”, ha sintetizzato Ivan Bufalo per gli infermieri. “Nessun riferimento alle farmacie”, ha ricordato Mario Giaccone, che durante la pandemia hanno garantito milioni di tamponi e vaccini. Ugo Baldi, dei veterinari, ha segnalato l’assenza di dati epidemiologici e di attenzione all’igiene pubblica. Un coro difficile da ignorare.


Eppure, da via XX Settembre, si difendono. Gli assessori Marrone e Riboldi parlano di “piano innovativo, con solide basi tecnico-scientifiche”, e ricordano che “non è tollerabile che chi rappresenta un Ordine professionale definisca incapaci i tecnici regionali”. Aggiungono che il documento è solo una “bozza preliminare”, che sarà “migliorata in Aula” e che contiene persino un “link alla pagina 17 con tutti i dati”.
Una risposta puntuale, forse troppo: perché quando serve sottolineare l’esistenza di un link, significa che il problema non è la connessione, ma la direzione.


C’è anche chi, come Roberto Ravello di Fratelli d’Italia, ha colto l’occasione per ricordare che “quando la sinistra tagliava 2.000 posti letto e 130 strutture complesse, nessuno protestava così”. Forse vero, ma non basta a spiegare perché oggi la sanità piemontese, un tempo fiore all’occhiello, sembri un malato cronico in attesa di diagnosi.

Il Piano, sulla carta, prevede investimenti per quasi cinque miliardi di euro, nuove assunzioni e un potenziamento delle “aggregazioni territoriali” tra medici. In pratica, però, la sensazione diffusa è che manchi ancora l’essenziale: una visione. Una sanità che metta davvero al centro la persona, non come slogan ma come priorità concreta.


Alla fine, l’immagine che resta è quella di un confronto simbolico: un medico che parla di realtà e un assessore che difende un progetto ancora in cerca d’autore. Uno si alza per denunciare i problemi, l’altro si alza per non sentirsi accusato. E in mezzo, come sempre, ci sono i cittadini, che da anni aspettano di vedere la sanità piemontese rialzarsi davvero.

Magari il giorno in cui non servirà più precisare chi si è alzato per primo.

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