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Maiali geneticamente modificati, l’Oipa accusa: “Deriva etica e distrazione dal vero problema degli allevamenti intensivi”

L’associazione animalista denuncia l’arroganza scientifica dietro la creazione di suini resistenti alla peste suina classica: “Gli animali non sono strumenti, ma esseri viventi”

Maiali geneticamente

Maiali geneticamente modificati, l’Oipa accusa: “Deriva etica e distrazione dal vero problema degli allevamenti intensivi”

La notizia della creazione di maiali geneticamente modificati per resistere alla peste suina classica, annunciata come un traguardo della ricerca biotecnologica, ha suscitato reazioni forti e contrastanti. Da una parte, la comunità scientifica parla di progresso e prevenzione; dall’altra, il mondo animalista denuncia una nuova, pericolosa frontiera nella manipolazione genetica. Tra le voci più critiche c’è quella dell’Oipa, l’Organizzazione Internazionale Protezione Animali, che ha espresso profonda indignazione, definendo l’esperimento “una grave deriva etica” e “un alibi per non affrontare il vero problema: gli allevamenti intensivi”.

Secondo l’associazione, dietro la retorica della scienza al servizio della salute animale si nasconde in realtà un obiettivo economico, volto a preservare un modello produttivo ormai insostenibile. L’idea di rendere gli animali più resistenti alle malattie non avrebbe nulla a che fare con il loro benessere, ma servirebbe piuttosto a mantenere intatto il sistema industriale che da decenni produce carne a basso costo, con costi ambientali e morali sempre più evidenti.

Il progetto, sviluppato da ricercatori che hanno inserito nei suini una modificazione genetica capace di renderli immuni alla peste suina classica, è stato presentato come una scoperta destinata a rivoluzionare la zootecnia. Ma per l’Oipa, si tratta dell’ennesima prova di un approccio che considera gli animali strumenti da ottimizzare piuttosto che esseri senzienti. «L’idea che l’essere umano possa intervenire sul patrimonio genetico di un’altra specie per renderla più funzionale — osserva l’associazione — normalizza la convinzione che la vita animale sia una materia manipolabile a piacimento».

Il concetto di “animale funzionale” è, in questa prospettiva, il punto di non ritorno di una lunga storia di antropocentrismo applicato alla scienza. La modificazione genetica, spiegano gli attivisti, non nasce per garantire agli animali una vita migliore, ma per rendere più efficiente la produzione, riducendo le perdite economiche dovute alle malattie. In altre parole: il problema non si risolve, si aggira.

L’Oipa accusa la ricerca di voler spostare il dibattito etico, concentrandolo sulla tecnologia invece che sul sistema che la rende necessaria. Gli allevamenti intensivi, ricordano, sono la causa primaria della diffusione di patologie tra gli animali, e allo stesso tempo una delle principali fonti di inquinamento e sofferenza. Migliaia di suini, stipati in spazi ristretti e costretti a condizioni di vita innaturali, vivono in ambienti dove il rischio di contagio è altissimo. È proprio quel modello produttivo — fondato sulla quantità e sul profitto — a creare la vulnerabilità che la scienza pretende ora di “curare” attraverso la genetica.

Il paradosso, secondo l’associazione, è evidente: invece di ridurre la pressione sugli allevamenti, si punta a potenziare gli animali per farli resistere a un sistema che li danneggia. È una soluzione tecnologica che rischia di normalizzare l’abuso, travestendolo da progresso. «Non si può parlare di tutela della salute animale — osserva l’Oipa — quando il fine ultimo resta quello di produrre di più e più in fretta».

La riflessione non riguarda solo il mondo animalista. Anche diversi bioeticisti, in Italia e all’estero, hanno espresso preoccupazione per un tipo di ricerca che, pur avanzando in campo scientifico, sfuma i confini del rispetto biologico. La manipolazione genetica di animali destinati all’alimentazione apre interrogativi morali di ampia portata: fino a che punto è lecito intervenire sulla natura per garantire efficienza? E soprattutto, chi decide quale forma di vita può essere “corretta” in nome della produttività?

Per l’Oipa, il rischio è quello di consolidare una mentalità utilitaristica che considera l’animale come “materia prima”, adattabile a piacimento. La genetica diventa così l’ennesimo strumento di controllo economico, utile a mascherare le criticità di un sistema industriale che genera benessere per pochi e sofferenza per molti — animali e umani compresi.

Nel comunicato diffuso dall’associazione, si sottolinea che «la vita non può esistere in funzione del profitto». Le risorse investite nella ricerca genetica, si legge, dovrebbero essere reindirizzate verso un sistema alimentare alternativo, fondato su sostenibilità e rispetto per gli animali. Promuovere un modello cruelty-free significherebbe, per l’Oipa, non rinunciare al progresso, ma ridefinirne i confini morali.

Il tema, in effetti, tocca questioni più ampie di quanto appaia. La sperimentazione genetica sugli animali non è un fenomeno isolato: dai polli che crescono più in fretta ai bovini privi di corna, la scienza interviene sempre più spesso per adattare la biologia alle esigenze dell’economia. Ma questa corsa all’efficienza biologica rischia di cancellare l’idea stessa di limite, sostituendo la selezione naturale con la pianificazione industriale della vita.

Nel dibattito che ora si apre, la voce dell’Oipa si aggiunge a quella di altre organizzazioni che chiedono una moratoria sulle modificazioni genetiche negli animali da allevamento. Non una chiusura ideologica alla ricerca, ma la richiesta di una pausa di riflessione collettiva su quale tipo di progresso si voglia davvero perseguire. Perché il confine tra innovazione e abuso, avvertono gli esperti, è sottile e facilmente oltrepassabile.

Alla fine, la domanda di fondo resta la stessa: può la scienza giustificare qualsiasi intervento in nome della produttività? L’Oipa non ha dubbi: la vera sfida non è creare animali più forti, ma costruire un mondo in cui nessuna specie debba essere modificata per sopravvivere all’uomo.

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