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28 Ottobre 2025 - 14:16
Tumori infantili, l’allarme FAVO: 2.500 nuovi casi l’anno
In Italia ogni anno circa 2.500 bambini e adolescenti ricevono una diagnosi di tumore. È una cifra che da sola racconta la portata di una battaglia silenziosa, combattuta ogni giorno tra corsie d’ospedale, reparti pediatrici e lunghi viaggi della speranza. A lanciare l’allarme è la FAVO, la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, che nel primo Rapporto 2025 sulla condizione assistenziale dei malati oncologici pediatrici e adolescenziali fotografa una realtà fatta di progressi scientifici, ma anche di enormi disuguaglianze sociali ed economiche.
La buona notizia è che la ricerca ha portato a risultati straordinari: oggi il tasso medio di guarigione supera l’80%, un traguardo impensabile fino a pochi decenni fa. Ciò significa che in Italia vivono oltre 50.000 persone guarite da un tumore pediatrico, una generazione di giovani adulti che testimonia la forza della medicina, ma anche il valore della solidarietà e dell’assistenza. Tuttavia, dietro questi numeri incoraggianti, si nasconde una realtà ancora drammatica per chi affronta la malattia: i costi indiretti, la mobilità sanitaria e le carenze assistenziali rischiano di trasformare la lotta al tumore in una seconda, durissima battaglia.
Secondo la FAVO, le spese a carico delle famiglie possono arrivare fino a 35.000 euro l’anno. Si tratta di costi non sanitari – viaggi, pernottamenti, pasti fuori casa, giornate di lavoro perse, trasporti, babysitter, spese scolastiche – che non trovano alcun rimborso. È una cifra enorme, che per molte famiglie significa scivolare al di sotto della soglia di povertà assoluta. “L’impatto economico del cancro pediatrico – avverte il rapporto – non riguarda solo la salute, ma anche la tenuta sociale del nucleo familiare. Molti genitori sono costretti a ridurre o lasciare il lavoro, con conseguenze devastanti sui bilanci domestici”.
A pesare ancora di più è la disparità territoriale. La mappa elaborata da FAVO mostra un’Italia spaccata in due: nel Mezzogiorno la fuga verso le strutture del Centro-Nord è la regola, non l’eccezione. I dati parlano chiaro: in Molise quasi il 90% dei piccoli pazienti oncologici è costretto a spostarsi altrove per ricevere cure adeguate; in Basilicata la percentuale è del 64,7%, in Abruzzo del 59,6%. Il fenomeno della mobilità sanitaria passiva pesa non solo sui bilanci regionali, ma soprattutto sulle famiglie, che devono affrontare lunghi viaggi, affitti temporanei e isolamento sociale.
Al contrario, regioni come Toscana e Lazio registrano i più alti tassi di attrazione: sono territori in cui la rete sanitaria è più strutturata e può garantire cure specialistiche pediatriche di alto livello. Gli ospedali di riferimento come il Meyer di Firenze, il Bambino Gesù di Roma, il Gaslini di Genova e l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano continuano a essere poli di eccellenza riconosciuti a livello internazionale, ma anche calamite per i pazienti del Sud.

Il problema, avverte la FAVO, non è solo economico ma psicologico e sociale. “La malattia di un bambino sconvolge l’intero equilibrio familiare”, si legge nel rapporto. “Quando, oltre alla diagnosi, si aggiunge la necessità di trasferirsi per mesi lontano da casa, la vita quotidiana diventa una corsa a ostacoli”. Mentre un genitore accompagna il figlio nelle cure, l’altro resta spesso a casa a lavorare o a occuparsi degli altri figli, frammentando ulteriormente la stabilità della famiglia.
Uno degli aspetti più critici riguarda proprio l’assenza di una rete uniforme di supporto psicosociale. Nelle regioni più fragili mancano servizi di accoglienza, strutture di ospitalità temporanea e centri di ascolto capaci di sostenere le famiglie nel percorso della malattia. La FAVO sottolinea che il supporto emotivo e psicologico è parte integrante della cura: non basta curare il corpo, serve curare anche la paura, lo stress, la solitudine.
L’organizzazione chiede che venga attuata in modo più esteso la rete nazionale di oncologia pediatrica, prevista dal Piano Oncologico Nazionale, e che ogni regione si impegni a garantire standard minimi di assistenza, evitando la “migrazione forzata” dei pazienti. La stessa Federazione propone di introdurre sgravi fiscali e contributivi per le famiglie, e un fondo nazionale di sostegno economico per coprire le spese indirette legate ai trattamenti.
Un altro tema emergente è quello del “dopo-cura”. I giovani guariti da tumore pediatrico rappresentano una realtà sempre più ampia, ma ancora poco considerata nelle politiche sanitarie. Molti di loro affrontano nel tempo effetti collaterali tardivi, sia fisici che psicologici, e faticano a inserirsi nel mondo del lavoro o nello studio. La FAVO chiede l’attivazione di un percorso di follow-up personalizzato, con un sistema di sorveglianza sanitaria che li accompagni anche nell’età adulta.
Non mancano le esperienze virtuose. In alcune regioni del Nord sono attivi programmi integrati tra ospedali, scuole e servizi sociali, che consentono ai piccoli pazienti di seguire le lezioni durante le cure e di mantenere un contatto costante con la propria comunità. L’associazionismo, da sempre motore di solidarietà in questo campo, continua a colmare le lacune del sistema: case d’accoglienza, borse di studio, sostegno economico diretto e progetti di reinserimento scolastico sono iniziative nate dal basso che ogni anno aiutano migliaia di famiglie.
Ma non basta la buona volontà. “Serve una strategia nazionale – sottolinea FAVO – che riconosca la specificità dell’oncologia pediatrica e metta le famiglie al centro del percorso di cura. Non si tratta solo di guarire i bambini, ma di garantire loro e ai genitori una qualità della vita dignitosa, prima, durante e dopo la malattia”.
Un appello che riguarda anche la politica, chiamata a intervenire per rafforzare i centri di eccellenza nel Sud Italia e per rendere più equa la distribuzione delle risorse. Perché non può esserci una sanità a due velocità quando si parla di bambini.
Il rapporto FAVO si chiude con una constatazione che è insieme un monito e una speranza: la sopravvivenza non può essere l’unico parametro del successo. L’obiettivo, oggi, è garantire a ogni bambino una vita piena, libera, senza il peso della malattia e senza il peso economico che spesso l’accompagna. In altre parole, curare davvero significa guarire tutto il nucleo familiare, restituendo futuro e serenità dopo la paura.
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