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28 Ottobre 2025 - 00:22
Argentina si tinge di viola: Milei stravince le legislative, Trump rivendica il soccorso USA e Mosca rilancia il “missile infinito”
Una domenica d’ottobre si è trasformata in una radiografia impietosa del potere. Nelle scuole riconvertite a seggi, tra il conurbano di Buenos Aires e le pianure agricole di Córdoba, le urne hanno parlato chiaro: l’Argentina si è colorata di viola. La Libertad Avanza di Javier Milei ha sfondato la soglia simbolica del 40% alle elezioni legislative del 26 ottobre 2025, mandando in frantumi la mappa storica del voto e consegnando al peronismo la peggior sconfitta della sua storia recente. Province considerate roccaforti si sono arrese una dopo l’altra, mentre il nuovo caudillo libertario — tra motoseghe metaforiche e dollari veri — incassa il trionfo che cercava: potere politico e legittimazione internazionale.
Già, internazionale. Perché a festeggiare non era solo Buenos Aires. Da Mar-a-Lago, Donald Trump ha rivendicato di aver dato “molto aiuto” al suo “grande amico argentino”, trasformando un risultato elettorale in un manifesto geopolitico: l’asse tra Washington e Buenos Aires come nuova frontiera del populismo pro-mercato. E come se non bastasse, a migliaia di chilometri, Vladimir Putin ha scelto lo stesso giorno per annunciare il test del missile nucleare “Burevestnik”, definito “invincibile”. Missili e dollari, libertà e deterrenza: un cortocircuito perfetto per fotografare il mondo di oggi.
Con oltre il 90% delle schede scrutinate, La Libertad Avanza si attesta al 40,7% per la Camera, travolgendo Fuerza Patria, la reincarnazione del peronismo (ferma al 32%), e relegando le Provincias Unidas sotto la soglia del 10%. Il colpo più simbolico arriva dalla Provincia di Buenos Aires, cuore e feudo del potere peronista, dove Milei conquista il 41,5%: un sorpasso storico che ribalta i pronostici e i decenni. A Córdoba, Santa Fe e Mendoza, l’onda libertaria è diventata uno tsunami. Le proiezioni assegnano a LLA 64 seggi alla Camera e 13 al Senato, numeri sufficienti a cambiare l’agenda del Paese, anche se non a governarlo da solo.
Donald Trump volvió a felicitar a Milei por el resultado de las elecciones: “No solo ganó, sino que ganó por mucho” https://t.co/0sDXWx5K6d pic.twitter.com/Fft3WZ4CaY
— infobae (@infobae) October 27, 2025
Il voto racconta una faglia profonda. Il “cordone industriale” del Grande Buenos Aires ha resistito, ma l’interno del Paese ha scelto la terapia d’urto. Dove l’agenda di austerità e deregulation è diventata promessa di salvezza, Milei ha raccolto consensi come si raccoglie il grano: a mietitrebbia. È l’Argentina produttiva, stanca di tasse, burocrazia e inflazione, quella che ha deciso di “liberarsi” davvero. La vittoria nella Provincia di Buenos Aires, dove vive quasi il 40% dell’elettorato, vale doppio: cambia la geografia del potere e, soprattutto, il baricentro politico del Paese.
Il ribaltone è stato lampo. A settembre i peronisti dominavano i sondaggi; a ottobre sono evaporati. A spingerli giù, non solo la crisi economica, ma anche un messaggio ben calibrato: la paura del ritorno all’immobilismo. E una mano esterna, pesante. Già nelle settimane precedenti, Trump aveva avvertito che “il sostegno finanziario americano dipende dal voto argentino”. Non era una minaccia, era una condizione. Poi, dopo il trionfo, è arrivato il pacchetto da 40 miliardi di dollari: 20 di swap per blindare le riserve e altri 20 in costruzione per sostenere il debito. Washington chiama, Buenos Aires risponde. E l’indipendenza nazionale può attendere.
L’euforia dei mercati è stata immediata. Le obbligazioni in dollari sono salite fino a 15 centesimi, l’indice Merval ha guadagnato il 20%, il peso si è rafforzato del 10% contro il dollaro. Gli operatori hanno letto nel voto una “riduzione del rischio politico”, ma qualcuno l’ha detto più chiaramente: “La libertà avanza, ma il FMI corre più veloce”. È il trionfo del capitalismo terapeutico: un’ondata di fiducia finanziaria che cancella per un attimo il rumore della povertà.
Eppure, non basta per il potere assoluto. Con 64 deputati e 13 senatori in più, Milei non raggiunge la maggioranza assoluta (129 seggi alla Camera). Dovrà ancora trattare con i governatori e i moderati della “terza via”. Ma il vento è cambiato: ora la sua agenda — privatizzazioni, tagli ai sussidi, deregulation e riforma del lavoro — ha il profumo dell’inevitabile. E i mercati, per una volta, sembrano più rapidi del Parlamento.
Sul fronte opposto, il peronismo lecca le ferite. La sconfitta nella provincia simbolo è una batosta politica e identitaria. Fuerza Patria tenta di riorganizzarsi, ma i simboli contano: perdere il cuore industriale e operaio dell’Argentina significa perdere la narrativa di sempre. Milei può esultare, ma sa che la luna di miele con i mercati non basta: i salari restano compressi, la povertà cresce, i servizi pubblici arrancano. Se la disinflazione promessa non arriverà in fretta, la piazza potrebbe tornare a riempirsi — e non per festeggiare.
Intanto, da Mosca, arriva un messaggio che suona come un’eco lontana ma pesante. Il Burevestnik, missile da crociera a propulsione nucleare, è stato presentato da Putin come “invincibile”. 14.000 chilometri di gittata, 15 ore di volo, mini-reattore a bordo. “Test completato”, ha detto lo stato maggiore russo. Gli esperti occidentali, però, restano scettici: ricordano il disastro del 2019, l’esplosione, le vittime e il picco di radioattività. Un’arma “senza limiti”, forse, ma anche senza garanzie. “Non appropriato”, ha commentato Trump, senza troppa convinzione. La guerra fredda 2.0 continua, solo con i protagonisti invertiti.
E in tutto questo, cosa c’entra l’Argentina? C’entra eccome. In un mondo che si riarma, il rischio geopolitico torna a pesare su ogni flusso di capitale. Gli investitori diventano più nervosi, gli spread si allargano, il credito costa di più. E così, anche a Buenos Aires, ogni missile lanciato a migliaia di chilometri può far ballare il peso e decidere il destino del governo. Milei lo sa: la vera battaglia ora non è contro il peronismo, ma contro la percezione di instabilità.
Washington, da parte sua, ha un obiettivo preciso: evitare che l’Argentina torni tra le braccia di Pechino. Dopo anni di swap in yuan e prestiti cinesi, la Casa Bianca vuole che Buenos Aires resti sotto l’ombrello a stelle e strisce. E Milei, con la consueta disinvoltura ideologica, ha già scelto da che parte stare. “L’Argentina sarà la Florida del Sud”, ha scherzato in campagna elettorale. Ma tra l’essere libera e l’essere dipendente dal dollaro, la linea è sottile. E la libertà, anche stavolta, sembra avere un prezzo in valuta estera.
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