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“Non ci prendono più nemmeno i rifiuti". Il dramma di un paese messo in ginocchio dall'alluvione di aprile e nessuno che interviene. Comune, Città Metropolitana, Regione, Governo alzano le spalle

I cittadini: “Paghiamo le tasse ma viviamo come fuori dal Comune”. La risposta della Città Metropolitana di Torino conferma: soldi fermi, cantieri inesistenti

Alcune delle frane che interessano il territorio di San Sebastiano da Po

Alcune delle frane che interessano il territorio di San Sebastiano da Po

«Non ci vengono più nemmeno a prendere la spazzatura».

È da qui, da questa frase che suona come una resa, che bisogna partire per capire cosa sta accadendo a San Sebastiano da Po. Perché sei mesi dopo l’alluvione del 14 aprile, che ha aperto venticinque ferite nella collina, le frane non sono solo nella terra. Sono nella fiducia dei cittadini verso le istituzioni.

Venticinque strade chiuse o semichiuse, transennate, dimenticate. Dalla via Casotto alla via Nobiei, dalla SP100 di via Rigonda alla via Ricca, passando per Case Zucca, Moriondo e le frazioni più isolate. Le piogge hanno smontato la collina pezzo dopo pezzo, ma la ricostruzione si è fermata alle carte.
Oggi, mentre le prime piogge d’autunno minacciano i versanti instabili, i cittadini si sentono abbandonati.

Non arrivano i fondi, non arrivano i mezzi, non arrivano neppure i camion dei rifiuti.

«Queste sono le foto di via Ricca, dove abito — racconta una residente —. Fino ad aprile qui passavano i mezzi della Seta e anche le persone dirette al centro prelievi, che si trova proprio in fondo alla via. Oggi è tutto fermo. La strada è come il giorno dell’alluvione: franata, piena di buche, invasa dai rovi. Il Comune ci dice che i fondi non sono ancora arrivati. Ma nel frattempo, noi, siamo rimasti soli».

Seta ha interrotto il servizio. «Non vengono più a ritirare l’immondizia — continua —. Ci hanno detto di portarla nella via sopra. Ma perché dovremmo pagare una tassa per un servizio che non esiste?».

Le parole scivolano tra rabbia e stanchezza. «I pazienti che abitano in collina non possono più raggiungere il centro prelievi. È irraggiungibile. E noi, per andare e venire, dobbiamo camminare nel fango. Da sei mesi».

A Case Zucca e in via Casotto, la scena è la stessa: transenne arrugginite, terra franata, pali storti. Le famiglie, una ventina, salgono a piedi tra i sentieri del bosco per raggiungere le case. Portano legna, pellet e bombole del gas con le carriole.
«Non chiediamo miracoli — dice un abitante —. Solo di poter arrivare a casa in macchina».

Intanto il sindaco Beppe Bava prova a tenere insieme ciò che resta del tessuto viario: «Abbiamo 25 frane su tutto il territorio e 8 milioni di euro di danni. La Regione ci ha assegnato 1,7 milioni su 16 richiesti, ma non sono ancora arrivati. E alcune zone, come via Casotto e Case Zucca, sono state escluse dai primi finanziamenti. Abbiamo chiesto la riammissione dei progetti». Due interventi da 450 mila euro ciascuno, che — sostiene Bava — «si potrebbero realizzare anche con la metà, se solo ci lasciassero usare i fondi disponibili».

Ma da Roma ancora nessuna risposta.

Via Ricca

E poi c’è la Strada Provinciale 100, quella che sale verso la frazione Villa e il ristorante Duchi d’Aosta, chiusa dal 17 aprile. È uno dei venticinque fronti di crisi, ma anche il più emblematico.
La Città Metropolitana di Torino, rispondendo all’interrogazione della consigliera Clara Marta, ha messo tutto per iscritto: la strada è interrotta da un’ordinanza del 23 aprile, e per ora non esistono i fondi per riaprirla.

Il dirigente Matteo Tizzani, nella sua nota, spiega che è stato affidato uno studio geologico e strutturale per definire gli interventi: il progetto costa 1,6 milioni di euro, di cui 600 mila solo per riaprire parzialmente la carreggiata.
Ma — si legge nel documento — «ad oggi l’intervento non risulta oggetto dei primi finanziamenti assegnati».

Eppure, nella stessa risposta, la Città Metropolitana scrive che «non risultano abitazioni o attività isolate».
Una frase che, per chi vive o lavora lì, è semplicemente inaccettabile.

«Non ci sono abitazioni isolate? Vengano a vedere» — ribatte un cittadino di via Rigonda.

Lo ammette lo stesso Tizzani: «La via alternativa non ha piazzole né spazi per il senso alternato ed è in condizioni così precarie che rischia anch’essa di franare».
Eppure, nella burocrazia, tutto sembra normale. Lo studio di fattibilità tecnico-economica è “in corso di approvazione”, i rilievi geognostici e sismici sono stati completati, ma i cantieri non partono.

Intanto, a San Sebastiano, l’inverno è alle porte e la rassegnazione cresce. Le frane sono diventate parte del paesaggio, come le transenne e i cartelli di divieto.
«Ogni volta che piove — dice un residente di via Casotto — la collina si muove un po’ di più. Abbiamo paura che la prossima pioggia cancelli anche quel sentiero nel bosco, l’unico modo per tornare a casa».

Gli abitanti si sentono presi in giro. Dopo sei mesi di promesse, sopralluoghi, lettere e ordinanze, nessuna ruspa è salita a lavorare.
E ora, con la sospensione del servizio rifiuti, la misura è colma: «Paghiamo le tasse come tutti, ma viviamo come se fossimo fuori dal Comune».

Ed è una situazione che, evidentemente, non si può accettare oltre.

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