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Torino schiacciata dalla burocrazia: 2,2 miliardi l’anno di costi per le imprese

Il report della CGIA di Mestre fotografa un sistema amministrativo che soffoca l’economia. De Santis (Confartigianato): «Serve una sola istanza, una sola piattaforma, una sola risposta»

Torino schiacciata dalla burocrazia

Torino schiacciata dalla burocrazia: 2,2 miliardi l’anno di costi per le imprese

La burocrazia italiana continua a essere un macigno sulle spalle di chi fa impresa. Lo certifica l’ultimo report della CGIA di Mestre, che ha stimato in 57,2 miliardi di euro il costo complessivo sostenuto ogni anno dalle aziende del Paese per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Un fardello che non solo prosciuga risorse, ma ruba tempo e competitività a chi produce.

Nella classifica nazionale delle città più penalizzate, Torino occupa un poco invidiabile terzo posto, con 2,2 miliardi di euro l’anno spesi in burocrazia. Davanti soltanto Milano, con 6,1 miliardi, e Roma, con 5,4. Seguono Napoli (1,9 miliardi) e Brescia (1,4). Numeri che raccontano di territori vivi e produttivi, ma intrappolati nella lentezza dei procedimenti, nella moltiplicazione degli adempimenti e nella complessità di regole spesso sovrapposte e contraddittorie.

«Da sempre chiediamo che la semplificazione degli adempimenti a carico degli imprenditori passi attraverso la previsione di una sola istanza, una sola piattaforma informatica, una sola risposta e un solo controllo», commenta Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino, che da anni denuncia una macchina amministrativa inefficiente. «La semplificazione del rapporto fra fisco e contribuente è possibile, perché il Fisco possiede già le informazioni sui contribuenti, ad esempio attraverso la fatturazione elettronica».

Il prezzo della “cattiva burocrazia”, come la definisce lo studio, pesa soprattutto sulle piccole e microimprese artigiane, le più esposte a rallentamenti e costi indiretti. Secondo un’analisi di Confartigianato, un imprenditore di piccole dimensioni dedica mediamente 238 ore l’anno — quasi dieci giorni lavorativi pieni — a compilare moduli, trasmettere dati, adempiere obblighi fiscali o normativi. Sono 56 ore in più rispetto alla media dei Paesi OCSE: un divario che si traduce in perdita di produttività e competitività.

E non è solo questione di efficienza. L’eccesso di burocrazia genera anche costi per la stessa amministrazione, alimentando un circolo vizioso in cui gli uffici pubblici impiegano risorse per controllare ciò che potrebbero gestire automaticamente. Una contraddizione che mina la fiducia e allontana gli investimenti.

Per De Santis la chiave è una rivoluzione culturale: «Il successo del Pnrr dipende proprio dal dialogo con i rappresentanti del tessuto produttivo, a partire da artigiani e piccole imprese, e dalla sua sostenibilità amministrativa, con il superamento degli ostacoli e delle lentezze nella gestione dei processi della PA».

A rendere più pesante il quadro è anche la pressione fiscale: nel 2024 l’Italia è risultata sesta in Europa per carico fiscale, con 36,6 miliardi di euro in più rispetto alla media UE, pari a 620 euro per abitante. Una zavorra che sommandosi ai costi burocratici riduce drasticamente la capacità delle imprese di competere sui mercati internazionali.

«Voglio ricordare che il 6 giugno scorso abbiamo “festeggiato” il tax freedom day – aggiunge De Santis – ossia il giorno in cui, almeno in teoria, gli imprenditori artigiani hanno smesso di lavorare per lo Stato e iniziano a guadagnare, dopo 156 giorni. Va da sé che questo disequilibrio rispetto agli altri Paesi rende meno competitive le nostre imprese che operano sui mercati internazionali».

Nel frattempo, tra autorizzazioni, moduli e piattaforme frammentate, le imprese torinesi continuano a pagare il prezzo di un sistema che rende l’efficienza un’eccezione e la semplificazione una promessa sempre rinviata.

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