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Cronaca
18 Ottobre 2025 - 18:16
Gianluca Gavazza. Sullo sfondo il campo rom di Torrazza Piemonte (foto archivio)
A Torrazza Piemonte c’è una storia che sembra una barzelletta ma non fa ridere nessuno. È una di quelle vicende che spiegano meglio di mille leggi come funziona davvero questo Paese: l’amministrazione finge di non vedere gli abusivi e se la prende con chi è in regola. Da una parte il Comune, che da decenni tollera un campo nomadi cresciuto in parte su terreni privati; dall’altra una cittadina, Mariangela Tonatto, proprietaria di quell’area, che invece di essere tutelata viene perseguita come fosse lei la colpevole.
La Tonatto – moglie dell’ex consigliere regionale della Lega Gianluca Gavazza – è diventata suo malgrado il simbolo della giustizia a doppia velocità: quella che punisce chi paga e assolve chi viola le regole. Sei anni di carte bollate, bonifiche, ordinanze e sentenze. L’ultima, del Tar Piemonte, ha dato ragione al Comune. Ma lei non si arrende e porterà il caso davanti al Consiglio di Stato.
Il sequestro del 2019
Tutto comincia il 9 agosto 2019, quando i carabinieri di Leini e Verolengo, insieme all’Arpa e a tecnici comunali, arrivano in via Caduti per la Libertà, in località Borgoregio. Cercano armi, ma trovano tutt’altro: una discarica lunga 65 metri e accanto un campo rom presente da oltre trent’anni. L’area è in parte privata, e tra i proprietari c’è anche Tonatto. Non ha costruito nulla, non ha mai accumulato rifiuti, ma per l’amministrazione comunale la responsabilità è comunque sua. Il Comune, guidato dal sindaco Massimo Rozzino, affida la bonifica a Seta per 48 mila euro e decide di rivalersi sui privati.
Mariangela Tonatto non aspetta neppure la scadenza: versa la sua quota di 24.063 euro, allegando il bonifico e inviandone copia ai consiglieri comunali per dimostrare la propria buona fede. In una lettera indirizzata al sindaco scrive parole durissime: “I miei sudori di anni sono serviti a pagare il danno ambientale causato dall’incapacità delle amministrazioni comunali torrazzesi.”
Un’accusa che pesa come un macigno: quella discarica era lì da una vita, visibile a chiunque, e nessuno aveva mai agito.
Ma a Torrazza, quando sembra finita, è solo l’inizio. Nel 2021, chiusa la partita dei rifiuti, arriva un’ordinanza di demolizione delle costruzioni abusive presenti nell’area, da eseguire entro 90 giorni. In caso contrario il Comune interverrà e presenterà il conto: altri 50 mila euro. Peccato che le costruzioni non siano della Tonatto, ma delle famiglie rom che vivono lì da decenni, in un insediamento che non è certo nato per caso.
E tutto nasce negli anni Ottanta con l’allora sindaco Bruno Cena che decise di istituire proprio lì un accampamento temporaneo, portando acqua, luce e fosse settiche. Un “provvisorio” diventato eterno. Lo ricordava Gavazza qualche tempo fa...
“Lì vivono famiglie torrazzesi da quarant’anni - ci aveva detto - Molti sono nati lì, hanno studiato nelle nostre scuole. L’acqua e la corrente non se le sono portate da soli: chi le ha installate, se non il Comune?”
Arriviamo al 2024. Il Tar respinge il ricorso della Tonatto e conferma la legittimità dell’ordinanza di demolizione. I giudici Marco Costa, Martina Arduino e Alessandro Fardello scrivono che il Comune ha agito correttamente “sotto ogni profilo procedurale e sostanziale”.
Rozzino esulta, convinto di aver difeso la legalità. Ma la realtà è un’altra: da quarant’anni il Comune chiude gli occhi su un campo che lui stesso ha contribuito a creare, e oggi pretende che la proprietaria paghi per abbattere case che non ha costruito.
Un paradosso da commedia all’italiana, se non fosse una tragedia per chi la vive. Gavazza lo aveva detto con ironia: “È come il ballo della scopa. Per trent’anni la musica ha continuato a suonare. Ora si è fermata e con la scopa in mano ci siamo rimasti noi.”
La Tonatto non ha mai beneficiato di quei terreni, non ha autorizzato occupazioni, eppure continua a pagare. Prima la bonifica, poi le spese legali, ora la prospettiva di dover demolire costruzioni altrui. Così ha dato mandato al suo avvocato, Marco Yeuillaz, di impugnare la sentenza davanti al Consiglio di Stato. Il ricorso è stato notificato l’8 agosto, mentre il Comune ha deciso di “resistere in giudizio”, affidandosi allo Studio Vivani e Associati di Torino, con gli avvocati Fabio Dell’Anna e Claudio Vivani. Tutto naturalmente a spese dei contribuenti.
E mentre la battaglia legale continua, in via Caduti per la Libertà non cambia nulla: le famiglie rom restano, le baracche anche. L’acqua scorre, la luce è accesa, la vita va avanti come sempre. Chi ha costruito resta indisturbato, chi ha solo un titolo di proprietà continua a pagare.
A Torrazza Piemonte, la legge è davvero uguale per tutti. Solo che per qualcuno costa molto di più. È l’Italia capovolta, dove le amministrazioni si lavano la coscienza con le multe e la giustizia diventa un esercizio di logica inversa. Qui la legalità non è più un valore, ma un pretesto. E chi ancora pensa che sia normale forse ha smesso da tempo di distinguere la giustizia dall’assurdo.
Il sindaco Massimo Rozzino
A Torrazza Piemonte vogliono buttare giù le case dei rom. Giusto, per carità. Sono abusive, e la legge va rispettata. C'è pure una direttiva europea che lo suggerisce...
Ma chi dovrebbe farlo? Il Comune? No. I servizi sociali? Nemmeno. I diretti interessati? Figuriamoci. Secondo l’ultima trovata amministrativa, a demolire le baracche dovrà essere la proprietaria del terreno.
È un’idea geniale, di quelle che solo certa burocrazia italiana riesce a partorire. Prima lasci crescere un insediamento per quarant’anni, porti acqua, luce e fosse settiche, poi ti svegli e scopri che tutto è abusivo. E, come se niente fosse, mandi la bolletta al cittadino.
C’è una strana poesia in questa storia. Da un lato l’amministrazione che finge fermezza, dall’altro un privato che dovrebbe trasformarsi in impresa di demolizione. E nel mezzo, famiglie rom che – piaccia o no – sono lì da decenni, con bambini, scuole, abitudini, vite. Pensare di risolvere tutto con una ruspa è come curare una febbre con un bazooka.
Perché se davvero le butti giù, dove vanno? Chi se ne occupa? Non basteranno due verbali e un comunicato stampa per farli sparire. E quando la prima famiglia resterà senza casa, indovina chi dovrà spiegare tutto ai cittadini indignati? Il sindaco, ovviamente. Magari dal salotto, con qualcuno che nel frattempo gli dorme sul divano.
Demolire senza un piano sociale non è legalità, è teatro. Perché la giustizia non è un atto di forza: è un esercizio di responsabilità.
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