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17 Ottobre 2025 - 10:43
Castagne 2025, raccolto da record nel Torinese: un anno ideale
L’autunno 2025 segna una stagione straordinaria per la castanicoltura piemontese. Nel Torinese, in particolare, il raccolto si preannuncia tra i migliori degli ultimi anni, con castagne e marroni grandi, lucenti e dal sapore intenso. Le piogge regolari di primavera e il caldo precoce di giugno hanno favorito una fioritura uniforme e una maturazione perfetta, garantendo frutti di ottima qualità sia per quantità che per pezzatura.
«L’invito ai consumatori è di assaggiare queste castagne 2025, dal gusto davvero squisito – dichiara il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici –. Si trovano nei mercati di Campagna Amica, nelle aziende agricole e nelle cooperative di produttori. Sono il risultato del lavoro e della passione di chi, in montagna e collina, continua a credere nella castanicoltura».
Nel pieno della raccolta, Coldiretti Torino invita chi percorre i boschi del territorio a rispettare il lavoro dei castanicoltori. «Quando vedete un castagneto curato, con il sottobosco pulito e le piante potate, non raccogliete le castagne che trovate lungo i sentieri – avverte Mecca Cici –. Non si tratta di frutti selvatici, ma del risultato di un anno di sacrifici. I marroneti e i castagneti sono frutteti a tutti gli effetti. Dietro ogni riccio che cade c’è l’impegno di agricoltori che mantengono vivi i territori e custodiscono un patrimonio ambientale e culturale».
In provincia di Torino si contano 194 aziende agricole che si dedicano alla castanicoltura, per un totale di 115 ettari coltivati e una produzione stimata in circa 1.800 quintali annui. Quest’anno, spiegano da Coldiretti, la resa è superiore alla media, con frutti di pezzatura maggiore e polpa compatta, molto apprezzata dal mercato. Una parte consistente della produzione è rappresentata dai Marroni IGP della Bassa Valle di Susa, con circa 500 quintali raccolti nei comuni di Villarfocchiardo, San Giorio e Mattie. Ma la castanicoltura torinese si estende anche all’Alta Valle di Susa, al Canavese pedemontano, alla Collina morenica, alla Val Pellice, alla Val Sangone e al Pinerolese.
Il valore complessivo della produzione torinese si aggira intorno al milione di euro, ma solo una minima parte rimane ai castanicoltori. «Anche per le castagne e i marroni – sottolinea Mecca Cici – valgono purtroppo le stesse storture che affliggono il mercato agricolo. Il divario tra il prezzo riconosciuto all’agricoltore e quello pagato dal consumatore è eccessivo. Dietro ogni frutto venduto c’è un anno di lavoro: rastrellamento delle foglie, potature, abbruciamento dei ricci, innesti, irrigazione. Tutto questo in zone dove la meccanizzazione è quasi impossibile. È tempo di riconoscere un giusto compenso a chi coltiva e difende la montagna».
Il castagno, oltre a essere una fonte di reddito, svolge un ruolo fondamentale nella tutela del territorio. La cura dei castagneti riduce il rischio di incendi e contribuisce alla stabilità idrogeologica. Nel Torinese si stimano circa 38.000 ettari di boschi di castagno, ma solo 115 sono coltivati attivamente: la maggior parte è abbandonata, invasa da altre specie e a rischio degrado. «Il castagneto è un bosco favorito dall’uomo – spiega Mecca Cici –. Se non viene curato, perde vigore e lascia spazio a querce e tigli. È urgente riportare gli agricoltori nei boschi e sostenere chi combatte malattie e parassiti per far rinascere la castanicoltura piemontese».
Il castagno offre molto più dei suoi frutti. Il suo legno, naturalmente resistente ai parassiti, è un’eccellenza del Made in Italy artigianale, mentre i suoi fiori melliferi sono fondamentali per milioni di api e impollinatori che trovano nutrimento proprio quando la maggior parte delle fioriture è ormai scomparsa.
Recuperare la “civiltà del castagno”, che fino al dopoguerra rappresentava una risorsa di sopravvivenza per le popolazioni di montagna, significa oggi investire in un modello di agricoltura sostenibile e di tutela del paesaggio. La castagna piemontese, simbolo di tenacia e tradizione, continua a raccontare la storia di una terra che non si arrende all’abbandono, ma che chiede solo di essere valorizzata.
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