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16 Ottobre 2025 - 19:31
Victoria’s Secret dice no a Bianca Balti: esclusa la modella che voleva rappresentare le donne col cancro
A vent’anni dal suo debutto sulle passerelle di Victoria’s Secret, Bianca Balti aveva deciso di tornare su quel palco che l’aveva consacrata icona mondiale di bellezza. Ma stavolta non per esibire un corpo perfetto, bensì per rappresentare tutte le donne che hanno conosciuto la malattia, che hanno lottato, perso i capelli, portano cicatrici, ma non hanno perso la propria dignità. Voleva essere simbolo di rinascita, non di estetica. Eppure, la sua richiesta è stata respinta.
La modella lodigiana, 40 anni, ha raccontato la vicenda nella sua newsletter personale: aveva contattato direttamente il marchio per offrirsi volontaria, pronta a sfilare ancora una volta, dopo la diagnosi di tumore ovarico che l’ha colpita nel 2024. Un gesto di coraggio, un atto politico e umano, un invito al mondo della moda a guardare oltre le convenzioni. Ma il brand ha risposto che il casting era già completo. Nessuna possibilità di partecipare.
Una spiegazione fredda, burocratica, quasi offensiva se si considera il significato del suo gesto. Perché la passerella di Victoria’s Secret, quella che per anni ha rappresentato la perfezione patinata, oggi si dichiara “rinnovata”: più inclusiva, più autentica, più femminile. Un’immagine che dovrebbe andare oltre il corpo ideale e il cliché della sensualità artificiale. Eppure, quando una donna che ha conosciuto la malattia, la paura e la fragilità chiede di essere parte di quel cambiamento, le viene chiusa la porta.
Bianca Balti non voleva solo tornare a indossare le ali da “angelo”, ma ridare senso a quelle ali. Farle diventare il simbolo di chi ha volato basso, di chi ha toccato il fondo e si è rialzato. La sua battaglia contro il cancro è stata pubblica e sincera, condivisa sui social e nelle interviste con una trasparenza che ha ispirato migliaia di donne. Ha mostrato il corpo segnato dalle cure, ha parlato della perdita dei capelli, dell’accettazione di sé, della paura e della speranza.
Il suo ritorno su quella passerella sarebbe stato un atto rivoluzionario, la dimostrazione che la bellezza non è intatta, ma vive anche nella cicatrice, nella fatica e nella sopravvivenza. E invece, è stata esclusa per un motivo tecnico. Il “casting chiuso” suona come una formula che maschera una rigida mancanza di coraggio.
Victoria’s Secret, che da anni tenta di scrollarsi di dosso la reputazione di brand sessista e distante, avrebbe potuto dimostrare con un gesto semplice e potente di aver davvero cambiato rotta. Invece, si è limitata a un “troppo tardi”. Come se la bellezza che sopravvive al cancro potesse essere rinviata a un’altra stagione, a una nuova collezione, a un nuovo trend.
Balti non ha reagito con rabbia, ma con lucidità. La sua delusione è evidente, ma la sua forza resta intatta. Da quando ha affrontato la malattia, ha trasformato la propria carriera in una missione di rappresentanza: dare voce a chi la società tende a nascondere, a chi non rientra nei canoni, a chi lotta ogni giorno contro un corpo che cambia.
La sua esclusione è lo specchio di un’ipocrisia ancora radicata nel mondo della moda, che parla di inclusione ma fatica ad accettare la realtà nella sua interezza. Le donne “diverse” sono ammesse solo se patinate, solo se rispondono a un’estetica della fragilità curata e accettabile. Ma la malattia, quella vera, quella che lascia il segno, spaventa ancora.
Eppure, proprio una donna come Bianca Balti avrebbe potuto incarnare il vero volto del coraggio femminile, quello che non ha bisogno di filtri. Rifiutare la sua partecipazione non è stato solo un errore di comunicazione: è stato un errore culturale. Perché la moda, se vuole davvero essere specchio del presente, deve smettere di rappresentare solo i corpi, e iniziare a rappresentare le storie.
Bianca Balti non cercava visibilità. Cercava dare senso alla sua cicatrice, renderla un messaggio collettivo. Voleva dire che la femminilità non finisce con una diagnosi, che la sensualità può convivere con la vulnerabilità, che la bellezza può essere un atto di resistenza. E invece si è trovata davanti un sistema che ancora non sa come guardare negli occhi una donna guarita ma segnata.
Il marchio che un tempo costruiva sogni di perfezione avrebbe potuto costruire questa volta un simbolo di verità. Ha scelto invece la consuetudine. Ha scelto la prudenza. E ha perso una grande occasione: quella di far sfilare non solo una modella, ma una testimone di vita.
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