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L'assessore Riboldi non dice la verità: "la sanità in Piemonte fa ...!"

Dal trionfo ufficiale di Riboldi al disagio nei reparti: il Piemonte "virtuoso" tra rapporti lusinghieri e liste d’attesa, carenze di personale e digitalizzazione incompiuta

L'assessore Riboldi non dice la verità: "la sanità in Piemonte fa schifo!"

L'assessore regionale Federico Riboldi

La notizia è di quelle che scaldano il cuore (e le scrivanie degli uffici stampa): “Anche nel 2025 il Piemonte si conferma tra le Regioni italiane con le migliori performance sanitarie”.
Lo annuncia con toni trionfali l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi, citando il nuovo 8° Rapporto GIMBE.
Un documento che, a leggere il comunicato, sembrerebbe sancire il miracolo: una sanità piemontese efficiente, equa, tecnologica e perfettamente funzionante.
Insomma, un piccolo Eden tra un pronto soccorso e un cantiere ospedaliero.

Secondo Riboldi, il Piemonte “mantiene l’adempienza piena ai LEA” e si conferma “tra le prime Regioni per prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera”.
Meraviglioso. Vien quasi voglia di ammalarsi, tanto per vedere da vicino cotanta perfezione.
Peccato che i cittadini, quelli veri – non quelli dei grafici e dei report – continuino a vivere un’altra realtà: quella delle visite rinviate, dei reparti sguarniti, delle barelle in corridoio e dei turni infiniti negli ospedali.
Forse il Piemonte “adempie” davvero ai Livelli Essenziali di Assistenza, ma lo fa chiedendo ai medici di moltiplicarsi e ai pazienti di armarsi di santa pazienza.

Nel comunicato si parla di un “riconoscimento che premia il lavoro di operatori, strutture e sistema regionale nel suo insieme”.
Parole che suonano bene, ma che lette da un infermiere di guardia notturna devono sembrare satire: il “riconoscimento” è un applauso sulla carta, mentre nei reparti si lotta ogni giorno con carenze croniche di personale e risorse.
Eppure, sulla carta, tutto fila liscio: spesa privata sotto controllo, mobilità sanitaria migliorata, digitalizzazione in crescita.
Sulla carta, appunto.

Prendiamo la spesa privata sotto controllo. A giudicare dai dati, il cittadino piemontese spende meno della media nazionale per curarsi. Forse perché rinuncia. O forse perché, dopo tre mesi di attesa per un’ecografia, sceglie la via più breve: paga, e non se ne vanta. D’altronde anche questo è “equità di accesso”: tutti possono aspettare, o pagare, a seconda del portafogli e del livello di disperazione.

Poi c’è il fiore all’occhiello: la mobilità sanitaria migliorata.
Nel 2024, ci spiegano, il saldo è passato da -19 a -5 milioni. Un risultato notevole, che fa pensare a un ritorno dei pazienti da fuori regione. O forse, più realisticamente, al fatto che i piemontesi hanno smesso di spostarsi perché ormai si sono arresi.
A forza di attendere, il dolore passa da solo: cura naturale, zero costi per il sistema.

E non poteva mancare la digitalizzazione sanitaria.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico avanza, la telemedicina cresce, la tecnologia corre. Peccato che in molte ASL il fascicolo sia una specie di museo dei ricordi, pieno di referti in PDF e di “file non disponibili”. Quanto alla telemedicina, è un po’ come la banda larga: tutti dicono che c’è, ma nessuno la vede.

Riboldi, almeno, una cosa la riconosce: “Le liste d’attesa restano la prima causa di rinuncia alle cure”.
E qui, finalmente, il realismo fa capolino nel comunicato.
Peccato che arrivi sempre dopo le lodi e mai prima. È come dire: “Siamo bravissimi, peccato che i pazienti non se ne accorgano perché non riescono a prenotare”.

Ora tutto ruota attorno al nuovo Piano Socio Sanitario 2025-2030, quello che promette “equità territoriale, riforme, digitalizzazione e diritto effettivo alla salute”.
Parole grosse, certo. Ma la sanità piemontese non ha bisogno di altre promesse: ha bisogno di medici, infermieri, tempi umani e strutture aperte. Altro che “diritto effettivo”: qui serve il miracolo effettivo.

E allora sì, il Piemonte è virtuoso. Ma lo è come lo studente che prende dieci in teoria e rimanda l’esame pratico da cinque anni.
Riboldi parla di “consolidare ciò che funziona” e “riformare ciò che rallenta”.
Forse dovrebbe iniziare dal CUP, che funziona a giorni alterni, e dai primari in intramoenia che se ne fottono e di pomeriggio lasciano gli ospedali per andare a far soldi fuori... Tanti bancomat che strisciano...
Perché la vera sanità, quella che non entra nei grafici, è fatta di persone in attesa, non di parole in maiuscolo.

Insomma, un’altra fanfara per una sanità che – quando funziona – lo fa per merito di chi ci lavora, non di chi la racconta.
Virtuoso, il Piemonte? Certo.
Nel trasformare ogni emergenza in conferenza stampa, ogni ritardo in “sfida da affrontare”, ogni problema in comunicato.
Un capolavoro di sanità narrativa: quella sì, perfettamente funzionante.

ssfg

L’assessore non dice la verità

C’è un assessore alla Sanità, in Piemonte, che si chiama Federico Riboldi. Dice che la nostra è “una delle Regioni con le migliori performance sanitarie d’Italia”. Non specifica in quale universo, ma dev’essere un posto bellissimo, dove gli ospedali funzionano, i medici abbondano e il CUP risponde al telefono prima ancora che tu lo chiami.
Un luogo mitico, come Atlantide o l’Italia dei film del dopoguerra, quella dove il treno arrivava sempre in orario e la salute era un diritto, non una caccia al tesoro.

Ecco, Riboldi quel posto lì lo descrive con entusiasmo. Peccato che i piemontesi vivano altrove. Vivano in quella regione d'Italia dove, per una risonanza magnetica, si aspetta da Natale a Pasqua, e se ti serve un cardiologo, meglio morire subito.

Non è cattiveria, è che Riboldi crede davvero che basti raccontare le cose per farle accadere. È la sindrome del politico di nuova generazione: pensa che la realtà funzioni come un post su Facebook, che se scrivi “la sanità piemontese è un modello”, il problema si risolve con 500 like e due emoticon col cuore.
Invece fuori, nei pronto soccorso, non mettono cuoricini: mettono pazienti su barelle.

Il nostro assessore, generoso, ammette che “le liste d’attesa restano un problema”. Bravo.  
Poi aggiunge che serve “più equità territoriale”.  Certo: così almeno, invece di aspettare otto mesi a Torino e dieci a Cuneo, ne aspetteremo nove ovunque, per non far torto a nessuno.

E non manca la parte tecnologica: “Stiamo innovando con il Fascicolo Sanitario Elettronico e la telemedicina”.
In effetti è vero: tra un referto che non si apre e un portale che non si carica, si fa un’esperienza digitale completa.
La telemedicina, poi, è geniale: non trovi il medico in ospedale? Ti visita via webcam. Se solo ci fosse il Wi-Fi.

Il problema di Riboldi, insomma, è che è un ottimista di vocazione. Scambia la propaganda per speranza e le parole per risultati.
Ma c’è una piccola regola che forse gli è sfuggita: quando racconti un fatto vero, la gente ci crede. Quando racconti una verità che nessuno vede, la gente fischia.
E non perché sia cattiva, ma perché è stanca di sentirsi spettatrice di una fiction su una vita che non è la sua.

Forse l’assessore dovrebbe spegnere un attimo il computer, uscire dal palazzo, e fare un giro nei pronto soccorso che considera “virtuosi”. Magari scoprirebbe che i cittadini non vogliono sentirsi dire che va tutto bene. Vogliono solo che, per una volta, qualcuno dica che va male, ma che ci si sta provando davvero. È poco, ma è vero.
E in tempi come questi, la verità — anche senza applausi — sarebbe già un enorme passo avanti.

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