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Discariche, erbacce e silenzi: il grido della frazione di Sant’Anna Boschi, dimenticata da anni

Il Consiglio di Frazione denuncia una situazione di degrado cronico e istituzioni assenti

Discariche, erbacce e silenzi: il grido della frazione di Sant’Anna Boschi, dimenticata da anni

Discariche, erbacce e silenzi: il grido della frazione di Sant’Anna Boschi, dimenticata da anni

A Sant’Anna Boschi, la frazione di Castellamonte incastonata tra colline e silenzi, il tempo non scorre: si stratifica. Ogni stagione porta con sé una segnalazione, un verbale, una mail protocollata. E poi, puntuale, un silenzio di ritorno.
Silenzio dell’amministrazione, silenzio delle istituzioni, silenzio di chi vede e fa finta di non vedere.

L’ultimo scatto, pubblicato su Facebook dal Consiglio di Frazione di Sant’Anna Boschi, è solo l’ennesimo fotogramma di un film che i cittadini guardano da otto anni. Cassonetti rovesciati, sedie rotte, sacchi neri accatastati, un tavolo capovolto: non è un set, è il piazzale del cimitero.
Dove dovrebbero esserci rispetto e decoro, c’è una discarica abusiva a cielo aperto. E dove il cittadino dovrebbe trovare un interlocutore, trova invece la burocrazia del silenzio.

A parlare – con amarezza ma senza slogan – è Lorenzo Nicotra, rappresentante del Consiglio di Frazione insieme a Marco Querio.
Dal 2018, spiegano, hanno scritto e riscritto. Non post indignati, ma atti protocollati:

«Verbale del 30 novembre 2018. Oggetto: Società e cimitero.
Verbale del 7 marzo 2019. Oggetto: Società.
Protocollo del 4 giugno 2020. Oggetto: Rifiuti cimitero.
E così via, fino al 7 giugno 2023. Dieci segnalazioni ufficiali, una più dettagliata dell’altra.»

Dieci denunce e zero risposte.
Come se un’intera frazione fosse invisibile.

Chi percorre la strada che porta a Sant’Anna Boschi lo capisce subito: l’erba alta lambisce i muri, i rovi stringono i marciapiedi, e l’edificio della vecchia Società di Mutuo Soccorso guarda il mondo con le finestre murate.
Un tempo, dietro quelle persiane, si organizzavano feste, si discuteva, si votava. Ora, al massimo, ci si ferma a scattare una foto per documentare lo stato di abbandono.
Il paradosso è che proprio chi ha la memoria lunga, in questo paese, sembra condannato a non essere ascoltato.

“Dal 2018 segnaliamo, protocolliamo, scriviamo. E da otto anni riceviamo solo silenzio”, ribadisce Nicotra.
Un silenzio “assordante”, dice. Ed è un termine che pesa.
Perché in un territorio dove la voce dei cittadini dovrebbe essere il primo strumento di partecipazione, il silenzio istituzionale suona come un’ammissione di colpa: il disinteresse amministrativo elevato a metodo.

Il degrado, qui, non è solo questione estetica. È una ferita simbolica.
Il cimitero, che dovrebbe essere luogo di cura e di memoria, è diventato un deposito di rifiuti. La vecchia società è un guscio vuoto.
E la frazione, che un tempo aveva la scuola, l’asilo, il negozio di alimentari, oggi si aggrappa a ricordi che rischiano di scolorire come le vernici sui muri.
Lo scrive un abitante, nei commenti al post:

A Sant’Anna c’era la società, la scuola, l’asilo, un negozio alimentare. Alla festa del paese c’era tantissima gente. Ora...”

Quel “ora” sospeso racconta più di mille parole. È la pausa di chi sa che le cose non torneranno com’erano. Ma che pretende almeno che qualcuno se ne accorga.

La cronologia delle segnalazioni, pubblicata dal Consiglio di Frazione, è quasi una linea del tempo della pazienza civica:
dal 2018 al 2023, cinque anni di richieste protocollate, firmate, archiviate.
Ogni documento ha un numero, una data, un oggetto. Tutto perfettamente in ordine, come si conviene in un paese che crede ancora nella forma.
Ma la forma, senza la sostanza, diventa parodia della legalità.
E così, mentre il Consiglio scrive e protocolla, il piazzale del cimitero si trasforma in un deposito di materiali abbandonati: plastica, mobili, sacchi, un tavolo rovesciato, una sedia rotta.
Fotogrammi che parlano più di un verbale.

La frazione si ritrova così in bilico tra resistenza e rassegnazione.
Da un lato chi non smette di denunciare, dall’altro chi – stanco – si volta dall’altra parte.
Il risultato? Un piccolo paese che non è né vivo né morto, come la sua vecchia società di mutuo soccorso: un edificio che sembra respirare ancora, ma a fatica.

Nessuno di noi ha mai preteso miracoli”, scrive Nicotra nel post. “Ma ricevere solo silenzi assordanti non è degno di un paese civile”.
Eccolo, il cuore del problema: la dignità.
Non quella retorica, da comizio o da festa patronale, ma la dignità dei luoghi minori, quella che dovrebbe muovere chi amministra.

A Castellamonte, come in tanti altri comuni italiani, le frazioni sono diventate le periferie morali del territorio: le strade vengono asfaltate “a metà”, i lampioni restano spenti, i rifiuti si accumulano, e ogni segnalazione viene inghiottita dalla macchina amministrativa. Ma dietro a ogni sacco lasciato per terra, c’è un cittadino che si sente abbandonato.
Dietro a ogni finestra murata, c’è una storia che si spegne.

Camminando lungo il muro imbrattato della vecchia sede sociale, si ha la sensazione che nessuno si sia accorto di nulla per troppo tempo.
Il verde, che altrove è cura, qui è invasione.
Le piante si arrampicano sui balconi, le crepe disegnano mappe di incuria, le finestre sbarrate riflettono il cielo grigio.
Ma la cosa che pesa di più è quel vuoto umano che si percepisce ovunque: nessuno che passi, nessuno che chieda, nessuno che risponda.

E allora il lavoro del Consiglio di Frazione diventa, paradossalmente, un atto di memoria collettiva.
Non un’istanza burocratica, ma un modo per dire: noi ci siamo ancora.
Noi ricordiamo cosa c’era e cosa dovrebbe esserci.

C’è chi, leggendo queste righe, penserà che dopotutto si tratti di un problema “minore”: un po’ di spazzatura, un edificio chiuso, qualche erbaccia. Ma il punto è un altro: quando un’amministrazione smette di ascoltare i suoi cittadini, smette di essere comunità. E allora non è più questione di pulizia, ma di democrazia.

Sant’Anna Boschi non chiede soldi, né opere faraoniche. Chiede attenzione, presenza, risposta. Chiede che i protocolli non restino numeri in un faldone, ma diventino azioni. Chiede che la memoria non venga soffocata dall’erba alta e dalla burocrazia.

In fondo, basterebbe poco per invertire la rotta: un sopralluogo, una pulizia straordinaria, un segnale visibile. Un modo per dire che anche le frazioni contano, che anche i luoghi minori meritano decoro.

Perché non è accettabile che un cittadino debba trasformarsi in fotografo del degrado per essere preso sul serio. E non è degno che la pubblica amministrazione, di fronte a otto anni di segnalazioni, risponda ancora con lo stesso silenzio.

Otto anni. Dieci protocolli. Centinaia di parole spese, zero gesti.
Nel frattempo, la società si sbriciola, il cimitero si sporca, la frazione si svuota.
Eppure, nel piccolo atto di pubblicare quelle foto, c’è un ultimo segno di resistenza.
Come se Sant’Anna Boschi volesse dire: non siamo scomparsi, siete voi che avete smesso di guardarci.

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