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04 Ottobre 2025 - 10:29
Luciana Littizzetto: “La patata si secca, ma io no”
Chi la conosce lo sa... Luciana Littizzetto non ha paura delle parole, né della vita che passa.
Quando racconta che sta scrivendo il suo primo romanzo, lo fa con quella miscela di sarcasmo e verità che la rende unica. “Parla di tre donne che sono sulla soglia dei sessant’anni, la mia età, e che si domandano: e ora che cavolo facciamo? Dobbiamo tirare i remi in barca? Davvero non abbiamo più niente e dobbiamo solo passare il tempo con i settantadue sintomi della menopausa? La felicità che ci è consentita in questa vita è appannaggio soltanto della giovinezza?”
È un grido, ma anche una risata. Una dichiarazione di guerra al tempo e al silenzio. La risposta, naturalmente, è tipicamente “lucianesca”: “Proviamo a pensare che non sia così. Dobbiamo fare le liste delle cose che ci piacciono e con queste provare a vedere se riusciamo a stare meglio. Perché il trend tra le mie coetanee è: vabbè, poteva andare peggio. Succede qualcosa di brutto e giù con le sciabolate di champagne perché alla fine poteva andare peggio.”
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Ha ragione, perché la Littizzetto non si arrende alla rassegnazione. A sessantun anni (li compirà a fine ottobre) si prepara al ritorno sul piccolo schermo con Che tempo che fa, in onda da domenica 5 ottobre sul Nove. È la terza stagione dopo l’addio alla Rai, e sarà anche il suo ventunesimo anno accanto a Fabio Fazio. Ventuno anni di “letterine”, di monologhi sferzanti, di risate amare e di libertà difesa parola per parola. «Sto bene e non vedo l’ora di ricominciare», ha detto a Vanity Fair, «anche se a volte la vita ti prende a schiaffi».
Perché la vita, quest’anno, l’ha davvero messa alla prova. “Ho vissuto bene la mia età fino a quando mi è venuta la pancreatite acuta e sono stata ricoverata. Sono dimagrita tanto, mi sono trasformata in uno spaghetto scotto.” Lo racconta così, con la solita ironia che sdrammatizza anche il dolore. Poi si ferma, e aggiunge un pensiero dolce, che profuma di affetto e malinconia: “L’altra sera ero a cena con Orietta Berti e qualche giorno prima ho fatto una lunga telefonata con Ornella Vanoni. Quelle due mi hanno dato una lezione: la passione che hanno per il loro lavoro le tiene vive, anzi ‘vive da vive’, come diceva Dario Fo. Nessuna di loro vuole andare in pensione. E neanch’io”.
Il palcoscenico, per Luciana, è una droga leggera. “Se penso di smettere di fare il mio lavoro mi viene la tristezza. Forse il palcoscenico ti dà dipendenza, c’è poco da fare.” E anche se scherza, non lo fa per finta: il lavoro è la sua linfa. Fabio Fazio non sa mai esattamente di cosa parlerà nei monologhi, e lei lo dice ridendo: “Nel dettaglio non lo sa, perché c’è grande fiducia. Anche se a volte è successo che ho detto qualcosa di troppo e lui a dirmi: domani ti querelano, domani ti scomunicano. Ma ora le querele, anche se non vorrei dirlo troppo forte, non stanno arrivando più. Fa più paura il web.”
A proposito di web, quando si parla di shitstorm, la Littizzetto alza il sopracciglio e ride: “Ho fatto un pezzo sul fatto che non siamo un popolo bravo a fare la guerra e mi hanno detto che offendevo le vittime delle famiglie dell’esercito. Un finimondo. Ma io avevo solo fatto una lettera di pace. Poi, come diceva Troisi, io sono responsabile di quel che dico, non di quello che tu capisci.”
La famigerata letterina a Ursula von der Leyen del 9 marzo, quella sull’esercito europeo, la ricordano tutti: “Noi italiani non siamo capaci di fare le guerre, facciamo cagarissimo a combattere. Da Caporetto alla campagna di Russia, sono più le volte che abbiamo perso. Ursula, sei sicura di fare l’esercito europeo?”
Apriti cielo. Militari indignati, familiari in rivolta, opinionisti in cerca di scandalo. E lei, tranquilla: “Era solo una lettera di pace.”
La Littizzetto non chiede scusa per le opinioni, ma sa riconoscere gli errori. Come quando prese in giro Carmen Russoper la gravidanza in età avanzata: “Si era offesa, e aveva ragione. Le ho chiesto scusa. Quella battuta potevo risparmiarmela. Non volevo ferire.”
Eppure la libertà rimane il suo faro. Parlando del caso Jimmy Kimmel, sospeso dalla ABC per una battuta su Trump, dice: “L’America è sempre stata il posto più libero del mondo e l’idea che si stia perdendo la libertà mi ha molto turbato.”
E sull’Italia aggiunge: “Forse, ma abbiamo comunque la possibilità di scegliere reti come il Nove, dove la libertà ha più respiro.” Poi chiude il discorso con la sua ironia tagliente: “Già. Non mi faccia dire, infatti ce ne siamo andati.”
Nel suo nuovo monologo di apertura stagione, affronterà anche il tema di Gaza, un argomento che non teme: “Da spettatrice vivo quello che sta succedendo con un sentimento di incredulità. La reazione di Israele è fuori dal normale. Mi fa tristezza che siamo tra i pochi Paesi che non hanno ancora riconosciuto lo Stato della Palestina.” E annuncia che userà la parola “genocidio”, perché “le cose vanno chiamate col loro nome”. Non è andata alla manifestazione, racconta, solo perché “dovevo stare con mia mamma, ma appoggio il movimento di pace”.
Poi c’è la menopausa, l’altra protagonista del suo romanzo e della sua vita. “Ci sono mille sintomi e devi stare dietro al fisico, perché i muscoli si afflosciano, le ossa si svuotano, la pelle si assottiglia e la patata si secca. E che cacchio! Vivi per tenerti insieme. È faticoso, infatti non faccio quasi niente.”
Ma subito dopo butta lì un’altra delle sue battute geniali: “Io con la menopausa ho perso sei chili e guadagnato cento vampate.”
E ancora: “Il fisico cambia, ma la testa no: quella continua a frullare come una centrifuga.”
E mentre racconta di bustine di magnesio, ormoni, insonnia e nervi tesi, scappa il sorriso: “Ormai ho più bustine di magnesio che paia di scarpe.”
Non manca la stoccata di classe: “Gli uomini invecchiano e diventano affascinanti. Noi? Rottamate con l’Iva al 22%.”
A casa, invece, la vita è semplice. Vive con Svetlana, la ragazza ucraina che accoglie da quando aveva sei anni, oggi 28enne, disegnatrice e studentessa a Torino. “Vanessa e Jordan ormai vivono per conto loro, ma tornano sempre a cena. Che madre sono? Un po’ rompipalle. Voglio sempre tenerli d’occhio, loro un po’ meno… ma l’importante è che ci sia dialogo, anche se scazziamo.”
Quando le chiedono se si senta sola, risponde con disarmante sincerità: “So che l’amore potrebbe anche non arrivare più. Quando arrivi ai sessant’anni hai questa epifania. Ma non sto così male da sola. Mi mancherebbe qualcuno solo nei momenti difficili, come durante la pancreatite. Per il resto, sto bene. L’unico problema è che non è facile stare con me. Sono respingente. Faccio paura perché ho un’immagine aggressiva, che poi non è vera. E poi sono famosa. L’altro giorno sono andata a teatro e la platea mi ha salutato con un applauso. L’amico che era con me mi ha detto: io con te non potrei mai stare, che imbarazzo. Ecco, non ci avevo mai pensato, ma devi essere molto risolto per stare con una persona nota.”
In tutto questo, Luciana ride. “Invecchiare non è una tragedia, è un mestiere. Le donne della mia età dovrebbero avere la tessera punti della pazienza.”
E quando le chiedono se abbia paura del futuro, si concede un’ultima stoccata ironica: “Dicono che la menopausa sia una nuova primavera. Ma la mia, per ora, è ancora sotto la neve.”
Una Littizzetto così non si legge spesso: pungente, autoironica, fragile e feroce. Capace di passare dalla satira politica alla confessione più intima, dalla risata alla malinconia.
E se davvero il suo romanzo sarà pieno di questa verità, sarà più che una storia di tre donne di sessant’anni: sarà un atto d’amore verso tutte le donne che non vogliono più sentirsi finite, ma “vive da vive”.
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