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03 Ottobre 2025 - 00:38
Torino si ferma per Gaza: aeroporti, tangenziali e OGR sotto assedio
Torino, 2 ottobre. È stata una giornata che ha trasformato la città in un grande laboratorio di protesta, con azioni a catena che si sono susseguite senza sosta dal mattino fino a notte fonda. I cortei a sostegno della Palestina e della Global Sumud Flotilla hanno reso concreto lo slogan che da giorni risuona nelle piazze: «Blocchiamo tutto».
Il pomeriggio è iniziato con l’azione più clamorosa: una cinquantina di manifestanti ha tagliato la rete di recinzione dell’aeroporto di Caselle ed è riuscita a invadere la pista. Sventolavano bandiere palestinesi e gridavano contro Leonardo, accusata di alimentare il genocidio. L’occupazione è durata circa un quarto d’ora, ma ha messo in tilt la programmazione dei voli: il Palermo e il Catania in partenza hanno accumulato oltre un’ora di ritardo, i voli da Londra e Olbia sono atterrati con più di sessanta minuti di scarto, quello di Ryanair per Londra Stansted è decollato con quasi due ore di ritardo e l’Ita per Roma Fiumicino con cinquanta minuti. Sui social la reazione più dura è arrivata dal vicepremier Matteo Salvini, che ha bollato i manifestanti come “teppisti”, mentre sui piazzali dell’aeroporto i passeggeri mostravano frustrazione o, in alcuni casi, simpatia per il gesto.
Intanto la città era attraversata da cortei che hanno paralizzato più zone. Centinaia di studenti e attivisti hanno invaso la tangenziale, chi a piedi e chi in bicicletta, dietro lo striscione «Blocchiamo tutto». Non era che l’ultimo atto di una mobilitazione cominciata già la sera prima con l’occupazione dei binari a Porta Nuova e continuata la mattina con la partenza del corteo da Palazzo Nuovo. Al gruppo degli universitari si sono aggiunti i liceali del liceo Einstein, da giorni in occupazione, e decine di altri studenti scesi in piazza con gli slogan «Palestina libera» e «Torino sa da che parte stare».
Il serpentone ha attraversato via Po tra gli applausi di residenti affacciati alle finestre con kefiah e bandiere, ma anche tra le proteste di chi, esasperato, urlava «Basta con questi cortei». In via Accademia si è contestato il dipartimento di Scienze Biologiche per i presunti legami con università israeliane, e in via Madama Cristina si sono uniti al corteo anche gli studenti di Fisica. Sotto il sottopasso di corso Massimo D’Azeglio il ritmo dei tamburi, i fumogeni rossi e verdi e le mani battute sui guardrail hanno trasformato il corteo in una cassa di risonanza.
Il traffico in corso Unità d’Italia si è completamente fermato. Tra le auto bloccate una coppia ha applaudito convinta: «Non ci dà fastidio, anzi, servono tanti blocchi così». Poco distante, una donna disperata spiegava: «Mi dispiace per quello che succede a Gaza, ma io devo andare all’ospedale e sono bloccata qui». Quando però si sono sentite le sirene di un’ambulanza e dei vigili del fuoco, il corteo si è aperto lasciando passare i mezzi, applaudendone il transito: «Noi non siamo come Israele, gli operatori sanitari li facciamo passare» ha detto al microfono un’attivista.
Altri blocchi hanno paralizzato piazza Baldissera e la superstrada per Caselle, con centinaia di ciclisti di Extinction Rebellion che hanno rallentato la circolazione. La metropolitana è andata in tilt: stazioni come Porta Susa e Porta Nuova sono state chiuse.
La sera la mobilitazione si è spostata in piazza Castello, dove migliaia di persone hanno riempito lo spazio davanti alla prefettura. Tra studenti, sindacati, famiglie e associazioni è partito un lungo applauso quando è stato ricordato il lavoro di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu. Da lì un corteo di circa ventimila persone ha percorso via Pietro Micca fino alle OGR, simbolo della Torino che si vuole raccontare innovativa. Lì, mentre si attendevano Jeff Bezos e Ursula von der Leyen per la Italian Tech Week, un gruppo di manifestanti ha scavalcato i cancelli e sfondato un ingresso. Sono entrati ribaltando sedie, rompendo monitor e lasciando scritte contro Giorgia Meloni accusata di complicità. L’occupazione è durata meno di venti minuti, poi l’intervento della polizia ha respinto i giovani senza scontri.
Non era finita: poco prima delle 22 un centinaio di No Tav ha tentato di raggiungere l’imbocco del Frejus. La polizia li ha fermati a circa un chilometro dal tunnel, ma l’autostrada per la Francia è stata comunque chiusa parzialmente per alcuni minuti, provocando disagi pesanti a un traffico già messo alla prova dalla chiusura del Monte Bianco.
Torino è rimasta isolata a singhiozzo, ma per chi ha partecipato il senso era chiaro: costringere la città e il Paese a non voltarsi dall’altra parte. Nonostante i disagi, la protesta ha mostrato come la questione palestinese sia diventata punto di convergenza di molte realtà diverse, dagli studenti ai sindacati, dagli ambientalisti ai No Tav.
E il 3 ottobre la mobilitazione non si ferma. È in programma uno sciopero generale nazionale, indetto da Usb, Cub, Cgil e Cobas. A Torino il concentramento principale è fissato alle 10 in piazza Palazzo di Città, ribattezzata simbolicamente “piazza Gaza”. Da lì il corteo attraverserà via Pietro Micca, piazza Solferino, corso Ferrucci e corso Unità d’Italia, fino a corso Maroncelli. Gli universitari partiranno alle 9 da Palazzo Nuovo, mentre gli studenti delle scuole occupate si sono dati appuntamento in piazza Arbarello. Un altro gruppo di antagonisti si muoverà dal giardino Artiglieri di Montagna, dietro il Palagiustizia.
Disagi annunciati anche nei trasporti: GTT garantirà i servizi minimi in metro e su bus e tram urbani dalle 6 alle 9 e dalle 12 alle 15; per l’extraurbano e la linea Ciriè-Ceres i passaggi saranno garantiti dall’alba alle 8 e dalle 14.30 alle 17.30. Anche le ferrovie garantiranno solo i treni essenziali nelle fasce 6-9 e 18-21. Le aziende invitano i passeggeri a informarsi prima di recarsi in stazione.
Dopo dieci ore di blocchi, occupazioni e cortei, la Torino di ieri ha mostrato il volto di una città che non vuole rassegnarsi al silenzio. E oggi, con lo sciopero generale, la protesta è pronta a rilanciare ancora, portando in piazza non soltanto studenti e militanti, ma interi pezzi di società convinti che fermarsi sia l’unico modo per farsi ascoltare.
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