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01 Ottobre 2025 - 17:07
Chivasso, il caso dei panini in mensa: il Consiglio comunale esplode sul caso dei “furbetti”
Un bambino domani a scuola mangerà il panino portato da casa. L’amichetto tornerà a casa e dirà alla mamma: “Sai che oggi Tommy aveva il panino?”. La mamma risponderà: “Ah, eccola qua la famiglia dei furbetti”.
Il Consiglio comunale di Chivasso, martedì sera, si è trasformato in un teatro di accuse, giustificazioni e repliche infuocate attorno a un tema che più quotidiano non si può: il tempo mensa. Dietro i panini e le schiscette, però, c’è una questione politica e culturale ben più profonda: può un Comune scaricare sui bambini l’incapacità di gestire i debiti accumulati dalle famiglie?
Ad aprire la discussione, un’interrogazione urgente firmata dalla consigliera Claudia Buo, capogruppo di LiberaMente Democratici, e dal consigliere comunale di "Per Chivasso", Bruno Prestìa.
Il testo non lascia spazio a dubbi sul pensiero del gruppo d'opposizione: «La maggioranza che governa Chivasso, pur dichiarandosi di centrosinistra, ha tradito una tradizione politica che ha sempre riconosciuto il tempo mensa come parte integrante del percorso educativo e non come un “servizio a domanda individuale”».
Nel documento si ricorda la proposta di legge PD depositata in Senato per rendere la mensa un diritto universale. Viene citata la senatrice dem Simona Malpezzi, che aveva bollato come “discriminatori” provvedimenti simili adottati a Cassano d’Adda. E soprattutto si denunciano i nuovi regolamenti comunali, che prevedono l’esclusione dei figli delle famiglie morose con l’obbligo del cosiddetto “pasto domestico”.
Un modello che, secondo Buo, rischia di trasformare i bambini in “figli dei furbetti”, esposti al pubblico ludibrio. «Sindaco e Assessore – ricorda l’interrogazione – hanno più volte definito le famiglie morose come furbetti, offrendo una lettura fuorviante, discriminatoria e utile soltanto a distogliere l’attenzione dalle falle nelle procedure di recupero crediti dell’amministrazione».
Da qui le domande chiare al sindaco: è coerente escludere i bambini per ragioni economiche? Quali misure sono state adottate per distinguere tra chi non può e chi non vuole pagare? Come pensa il Comune di evitare la stigmatizzazione dei minori? E soprattutto: quali strumenti sono stati messi in campo per recuperare i crediti pregressi, che negli anni hanno gonfiato il famigerato “fondo crediti di dubbia esigibilità”? Un testo accusatorio, che ha messo la maggioranza con le spalle al muro.
Il sindaco Claudio Castello ha impiegato circa venti minuti per rispondere.
Un intervento corposo, tecnico, infarcito di numeri e procedure, nel tentativo di trasformare un tema sociale in una questione di regolamenti e statistiche.
«L’amministrazione comunale ritiene pienamente coerente, sia sotto il profilo normativo che valoriale, l’impostazione adottata con il vigente regolamento delle tariffe dei servizi scolastici», ha esordito.
E ancora: «La non ammissione al servizio mensa nei casi di morosità non sanata non contraddice il valore educativo, ma lo integra e lo rafforza».
Il sindaco ha rivendicato che il diritto al tempo mensa non viene negato a chi si trova in effettiva difficoltà, grazie a una serie di strumenti: tariffe progressive basate su fasce ISEE, esenzioni e riduzioni proposte dal Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali, possibilità di rateizzare il debito anche in corso d’anno, dialogo costante con le famiglie.
«L’esclusione non è automatica né punitiva, ma costituisce l’ultima misura possibile, adottata solo in presenza di persistente inadempienza e in assenza di richieste di aiuto o collaborazione da parte della famiglia».
Poi i dati: «Oltre il 76% del debito è generato da famiglie appartenenti alla fascia ISEE più alta. Il 62% dei debitori complessivi appartiene a queste fasce. Ciò dimostra che non si tratta di povertà reale, ma di mancato rispetto degli impegni economici senza alcuna motivazione né volontà di collaborazione».
Sul pasto domestico, Castello ha assicurato che la possibilità «è stata comunque garantita, evitando l’interruzione del tempo mensa». Ma ha chiarito che le scuole non hanno strutture idonee per conservare e riscaldare i pasti portati da casa: frigoriferi, forni a microonde, personale addetto. «Non è praticabile né compatibile con le normative sanitarie vigenti», ha tagliato corto.
La parte più tecnica della risposta ha riguardato le procedure di riscossione: dal sistema “Etica” (2010-11) al prepagato online (dal 2012-13), con notifiche via sms ed email. In caso di insoluti: diffida, avviso di accertamento, intimazione, riscossione coattiva tramite ADER.
Per i debiti antecedenti al 2022-23, il Comune ha trasmesso ad ADER flussi per circa 395 mila euro. Per gli anni più recenti, invece, è in corso la lavorazione delle pratiche. E Castello ha rivendicato i risultati: «Il tasso di recupero dei crediti si è attestato al 95%, con il 92% degli utenti in regola. Nei mesi di giugno e settembre abbiamo registrato pagamenti spontanei per circa 155.844 euro».
Il Covid? Per il sindaco, un ostacolo oggettivo: «Durante l’emergenza sanitaria gli uffici comunali hanno sospeso temporaneamente solleciti e riscossioni». Infine, il richiamo all’equità: «Le risorse pubbliche sono limitate. Sostenere chi è realmente in difficoltà significa anche non consentire che il servizio venga fruito gratuitamente da chi, pur potendo, sceglie di non pagare».
Se la risposta del sindaco voleva chiudere la questione, la replica della consigliera Buo ha invece incendiato l’aula.
Interrotta più volte dalla vicepresidente Clara Marta (che tra l'altro siede all'opposizione come Buo, ma tant'è) , tra le proteste dell’assessore Gianluca Vitale e del consigliere di maggioranza Adriano Pasteris, Buo ha parlato con tono tagliente, accusatorio, ironico. «Il sindaco ci ha dato modo di ascoltare tutto e il contrario di tutto, come d’abitudine di questa amministrazione», ha esordito.
E poi: «Per rafforzare il valore educativo della mensa, voi andate avanti da mesi a dichiarare i genitori dei bambini morosi “furbetti”. E lasciate intendere di sapere chi sono queste famiglie. È gravissimo. Domani un bambino porterà un panino, l’amichetto tornerà a casa e dirà: “Sai che oggi Tommy aveva il panino?”. E subito scatterà l’etichetta: la famiglia dei furbetti. Educativo, eh? Mamma mia se educativo».
Buo ha accusato il sindaco di scaricare la responsabilità sulle scuole: «La direzione scolastica dovrebbe gestire un’invenzione dell’amministrazione. Un conto è un bambino una tantum, un altro è cento bambini col pasto da casa».
Poi l’affondo sui numeri: «Alla fine ci è stato detto che avete incassato più del 95%. Quindi i furbetti non sono così tanti. E sapete come avete fatto? Avete messo in piedi un meccanismo perverso: chi ha debiti dal 2018 non li ha pagati tutti, ma solo l’ultimo anno. Così potete dire in giro che avete incassato tutto. Ma stiamo scherzando? Abbiamo famiglie con 5.000 euro di debito e voi vi accontentate di 1.000. Perché vi servono i titoli sui giornali».
Buo ha ricordato la cifra mai smentita: «800 mila euro di arretrati, più oltre 600 mila euro di fondo crediti di dubbia esigibilità. Sono soldi pubblici messi a copertura della vostra incapacità». E ha tirato in ballo il Covid: «Non usi il Covid come alibi. Il Covid le ha salvato la sedia, sindaco. Altrimenti oggi lei non sarebbe lì». Conclusione senza appello: «Avete scaricato sui bambini la vostra incapacità di gestire un servizio».
Al netto di cifre, procedure e cavilli, resta un fatto: da ottobre 2025 alcuni bambini mangeranno un panino portato da casa, davanti agli occhi dei compagni che consumano il pasto della mensa. Il sindaco rivendica equità e rispetto per chi paga. L’opposizione denuncia discriminazione e stigma. In mezzo, i dirigenti scolastici, costretti a gestire una grana che non hanno scelto.
Una volta, la mensa era vista come parte del percorso educativo, occasione di socialità e uguaglianza. Oggi diventa il campo di battaglia di una politica che si rimpalla colpe e responsabilità. E mentre il Comune calcola percentuali di recupero e invia flussi all’Agenzia delle Entrate Riscossione, i bambini diventano inconsapevoli protagonisti di una vicenda che li trasforma, loro malgrado, in simboli di un’amministrazione più attenta ai bilanci che alla dignità educativa.
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