Cerca

Attualità

Panini da casa al posto del pasto caldo della mensa scolastica: l'ombra dei "furbetti" e il rischio di una fastidiosissima discriminazione

La Giunta Castello introduce il “pasto domestico” per i figli dei morosi, ma le opposizioni parlano di toppa peggiore del buco. Claudia Buo interroga il sindaco, Clara Marta incalza: «Chi ostenta lusso e non paga si porti i figli a casa»

Panini da casa al posto del pasto caldo della mensa scolastica: l'ombra dei "furbetti" e il rischio di una fastidiosissima discriminazione

Panini da casa al posto del pasto caldo della mensa scolastica: l'ombra dei "furbetti" e il rischio di una fastidiosissima discriminazione

Clamorosa retromarcia. È questa l’immagine che resta sul tavolo dopo l’ultima mossa della Giunta guidata da Claudio Castello. Sul caso mensa scolastica, l’amministrazione ha dovuto piegarsi alle polemiche e introdurre la possibilità per i bambini esclusi dal servizio, perché figli di "morosi", di portarsi il pranzo da casa.

Una toppa, che non convince le opposizioni. Anzi, ha riacceso ancora di più il dibattito che ora riapproderà in Consiglio comunale.

Ma facciamo un passo indietro.

Era febbraio quando la maggioranza di centrosinistra – Partito Democratico, Sinistra Ecologista e la civica Noi per Chivasso – approvava in Consiglio comunale la modifica del regolamento del servizio di ristorazione scolastica. Un giro di vite per risolvere il problema cronico dei crediti non riscossi: circa 800mila euro accumulati negli ultimi sette anni, con un buco di oltre 100mila euro solo nell’anno scolastico 2023/24. Il principio era chiaro: chi non paga, non mangia. «Fatti salvi eventuali piani di rateizzazione già approvati, qualora l’utente non abbia saldato tutti i debiti relativi all’anno scolastico precedente non sarà consentita l’iscrizione al servizio mensa per quello successivo», recitava il nuovo regolamento. Un provvedimento che colpiva non solo la mensa, ma anche servizi collegati come scuolabus, pre e post scuola, nidi e centri estivi. La giustificazione della maggioranza era altrettanto netta: secondo i dati forniti dal Comune, il 60% dei morosi apparteneva alle fasce contributive più alte. In altre parole, non famiglie in difficoltà, ma “furbetti” che potevano pagare e sceglievano di non farlo, scaricando il peso sulla collettività. Da qui il mantra ribadito in ogni comunicato: «Siamo dalla parte dei fragili e degli onesti».

Ma fin da subito le polemiche erano divampate. Perché se è vero che i debiti pesano sulle casse pubbliche, è altrettanto vero che a subire le conseguenze sarebbero stati i bambini. Non i genitori. Non i “furbetti”. I bambini. La CGIL, la segreteria regionale del Partito Democratico e Avs avevano alzato la voce. E in Consiglio comunale le opposizioni avevano accusato la Giunta di punire i più piccoli per responsabilità non loro. 

Poi, a settembre, il colpo di scena. Un comunicato ufficiale del Comune datato 8 settembre 2025 introduce una novità: chi non è iscritto al servizio mensa, o non ha ancora regolarizzato la propria posizione, potrà comunque portarsi un pasto da casa.

La decisione arriva dopo una verifica con il SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione), che ha dato l’ok a consumare panini e schiscette all’interno dei refettori scolastici, insieme agli altri alunni. Una soluzione temporanea ma significativa. Fino al 30 settembre, infatti, tutti gli alunni – iscritti e non iscritti – riceveranno comunque i pasti preparati dalla ditta Vivenda, alle tariffe ordinarie. Dal 1° ottobre, invece, chi non avrà completato l’iscrizione dovrà adottare questa misura alternativa, in attesa che i Consigli di Istituto elaborino un regolamento ad hoc.

Venendo all'oggi, tra le più critiche c'è Clara Marta, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale.

Clara Marta, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale

Le sue parole non lasciano spazio a fraintendimenti: «Sì alla linea dura. Se i genitori con il Rolex possono permettersi di pagare il servizio e non lo fanno, devono assumersi le proprie responsabilità. In quel caso che si portino i figli a casa».

Per la consigliera, l’errore della Giunta non è stato quello di adottare regole severe, ma di aver poi ceduto alle pressioni introducendo una via di mezzo che rischia di complicare le cose. La cifra da recuperare, oltre 800mila euro in sette anni, è enorme. E la scelta iniziale di escludere i figli dei morosi dalla mensa voleva essere un segnale chiaro: chi non paga non mangia. Una scelta impopolare, certo, ma chiara.

Con la retromarcia di settembre, invece, i bambini non iscritti alla mensa non saranno più esclusi fisicamente dal refettorio, ma consumeranno un pasto portato da casa, in attesa che i Consigli di Istituto scrivano nuove regole.

Per Marta il rischio è evidente: un compromesso che scarica il problema sugli insegnanti e crea nuove disparità. «Il momento del pranzo non è solo nutrimento: è parte integrante del percorso educativo, un tempo di relazione e di crescita. Ogni pasto che arriva in mensa è il frutto di un processo complesso e oneroso – fatto di commissioni, riunioni, scelte nutrizionali – che rappresenta un impegno per tutte le famiglie, comprese quelle che spesso faticano persino a garantire una cena dignitosa la sera. In questo contesto, non possiamo dimenticare le insegnanti: già oggi devono dividersi tra mille compiti e rischiano di dover moltiplicare gli sforzi per gestire contemporaneamente bambini con esigenze diverse e ambienti separati. Non è giusto scaricare su di loro responsabilità che spettano agli adulti».

Per la consigliera, il problema non è punire i bambini, ma distinguere tra i casi. Da un lato ci sono famiglie che ostentano benessere e non pagano per scelta; dall’altro ci sono situazioni di reale difficoltà. «Il punto non è punire i bambini, ci tengo a dirlo con forza. Il punto è che non possiamo accettare che chi ha mezzi economici, magari ostenta il lusso e percepisce un buon stipendio, non paghi un servizio che grava sull’intera comunità. Quelle famiglie devono assumersi le proprie responsabilità. Diverso, ovviamente, il discorso per chi è davvero in difficoltà: a loro vanno garantite agevolazioni e sostegno, perché nessun bambino deve sentirsi escluso a causa delle fragilità economiche dei propri genitori». La linea è netta: tolleranza zero per i “furbetti”, ma sostegno per chi non ce la fa davvero.

A rafforzare il fronte critico ci pensa anche Claudia Buo, capogruppo di LiberaMente Democratici, che ha presentato un’interrogazione urgente destinata a riaprire il caso in aula.

Claudia Buo consigliera comunale di Liberamente Democratici

Nel documento, indirizzato al sindaco e alla Giunta, Buo mette in fila tutte le contraddizioni di una vicenda che, secondo lei, si sta trasformando in una trappola pericolosa. Ricorda che la maggioranza, pur dichiarandosi di centrosinistra, ha approvato a febbraio un regolamento in aperta contraddizione con una tradizione politica che ha sempre riconosciuto il valore educativo del tempo mensa. Una tradizione che non a caso trova conferma anche a livello nazionale, con una proposta di legge del PD depositata in Senato per garantire il diritto universale alla mensa scolastica come momento educativo e non discriminatorio.

L’interrogazione elenca i punti critici. Primo: l’uso del termine “furbetti” da parte di sindaco e assessore all’Istruzione Gianluca Vitale, che rischia di marchiare i bambini come “figli dei furbetti”. Secondo: la totale assenza di un aggiornamento sulle reali condizioni delle famiglie debitrici e sulle attività di recupero crediti. Terzo: il pericolo che il cosiddetto “pasto domestico” crei rischi igienici, organizzativi e soprattutto sociali, esponendo i minori a una stigmatizzazione pubblica. In pratica, il panino diventa un’etichetta. E non un’etichetta qualsiasi, ma quella del fallimento educativo.

La consigliera va oltre: «È concreto il rischio che bambini si trovino a mangiare panini per giorni, vanificando anni di educazione alimentare e i controlli dell’ASL». Non solo. Con la possibilità di portare un pasto da casa, anche le famiglie non morose potrebbero decidere di abbandonare il servizio, svuotando progressivamente la mensa e mettendone a rischio la sostenibilità economica. Un circolo vizioso che porterebbe inevitabilmente ad aumenti tariffari per chi resta, accentuando le disuguaglianze. L’interrogazione, in nove punti, chiede conto all’amministrazione su tutto: dalle misure di recupero crediti già adottate, agli strumenti per distinguere tra reali fragilità e chi non paga per scelta, fino alle modalità con cui si pensa di gestire la conservazione e il riscaldamento dei pasti domestici. Domande precise, che difficilmente potranno ricevere risposte semplici.

Il cuore del problema resta lo stesso: 800mila euro di crediti non riscossi. Una voragine che pesa sulle casse comunali e che la Giunta ha tentato di tappare con un regolamento punitivo prima e con un compromesso frettoloso poi. Ma i nodi irrisolti restano tutti lì. Perché se da un lato è vero che il 60% dei morosi appartiene alle fasce di reddito più alte, è altrettanto vero che dietro alle statistiche ci sono anche famiglie con storie complicate, separazioni, lavori precari, ritardi burocratici. Situazioni difficili da fotografare con precisione e che non possono essere liquidate con l’etichetta di “furbetti”.

La retromarcia di settembre, annunciata con un comunicato ufficiale dell’8 settembre, è stata presentata dalla Giunta come un atto di equilibrio. Ma a conti fatti rischia di scontentare tutti: chi difende la linea dura la considera un cedimento; chi contestava l’esclusione dei bambini la giudica una toppa peggiore del buco. Nel frattempo, nelle scuole, gli insegnanti si troveranno a gestire bambini con pasti diversi, con regole non ancora scritte e con genitori sempre più divisi. Un terreno minato che rischia di esplodere.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori