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01 Ottobre 2025 - 12:12
Caterina Greco
In politica ci sono le parole e poi ci sono i fatti. E a Settimo Torinese, quando si parla di Partito Democratico, le parole sono sempre le stesse: etica, trasparenza, legalità. A cui seguono, evidentemente le visioni della sindaca Elena Piastra sulla "mobilità", sulla "sostenibilità", sulla città bella da vivere ... Tutto altisonante, da mettere nei comunicati stampa e nei post social per raccogliere applausi. Ma quando tocca guardarsi allo specchio, il copione cambia. L’etica si smarrisce, la trasparenza diventa opacità, e la legalità resta un argomento buono soltanto per accusare gli altri.
Prendiamo il caso Caterina Greco. Non una militante qualsiasi: dirigente di primo piano del Pd di Settimo Torinese, in prima fila alle iniziative locali e con un ruolo di peso anche a Torino, dove il sindaco Stefano Lo Russo le ha affidato in Città Metropolitana la delega alle scuole. Un incarico delicato, che richiederebbe limpidezza assoluta, perché riguarda la formazione dei ragazzi, la fiducia delle famiglie, il futuro di un intero territorio.
Eppure il nome di Greco compare, nero su bianco, nelle carte del processo “Echidna”. Non come imputata – sia chiaro – perché non è indagata. Ma come beneficiaria di quel sistema clientelare orchestrato da Salvatore Gallo, appena condannato a 4 anni e 4 mesi per peculato, corruzione elettorale e spese allegre con i soldi di altri. Gallo dispensava tessere autostradali come fossero biglietti del Luna Park, pagava pranzi e gomme dell’auto con fondi pubblici, e in cambio pretendeva voti. Non uno o due: pacchetti interi, da piazzare sui candidati amici, tra cui appunto Greco, insieme ad Anna Borrasi e Antonio Ledda. Nel suo giro anche Alessandro Scopel, consigliere comunale a Settimo Torinese.
Le intercettazioni raccontano di pressioni, favori e promesse. “Se non mi trovi 50 voti ti tolgo il saluto”, diceva Gallo. Era un mercato elettorale all’ingrosso, dove il consenso si misurava a colpi di tessere e cortesie. Un sistema che i giudici hanno riconosciuto come corruzione elettorale. E in quel sistema c’era anche il sostegno a Caterina Greco.
Ora, la domanda è semplice: in un partito che si riempie la bocca di principi morali e a Settimo scatta foto in consiglio comunale sottolineando l'etica degli altri, non dovrebbe essere proprio lei la prima a dimettersi? Non per ammissione di colpa, ma per rispetto verso i cittadini e verso quelle istituzioni che dice di servire. In qualunque altro Paese europeo, una dirigente politica il cui nome spunta fuori in un’inchiesta del genere – anche solo come “beneficiaria” – avrebbe già fatto le valigie. Qui no. Qui si tira dritto, come se nulla fosse.
Il Pd di Settimo? Zitto. Il Pd torinese? Pure. Del resto, chiedere a Greco di fare un passo indietro sarebbe come aprire il vaso di Pandora. Perché a Torino Stefano Lo Russo ha già i suoi problemi: la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l’assessore Mimmo Carretta sono entrambi indagati nell’indagine Rear. Chiedere le dimissioni a Greco significherebbe riconoscere che il castello di governo della città traballa dalle fondamenta. E allora meglio restare immobili, nella speranza che i cittadini si distraggano.
Il paradosso è evidente: la politica che a parole pretende “discontinuità” si aggrappa invece alle vecchie logiche. La politica che parla di “fiducia” la tradisce ogni volta che difende la poltrona invece della credibilità. La politica che dovrebbe educare al senso civico preferisce dare l’esempio opposto, con il silenzio complice.
Eppure il punto non è giudiziario. Non serve una condanna per capire che c’è qualcosa che non torna. Greco oggi siede nelle istituzioni perché i voti, in quell’elezione del 2021, li ha presi anche grazie al sistema di favori che Gallo teneva in piedi. Non è un dettaglio, è il cuore del problema. Se davvero il Pd ci crede quando parla di etica, il coraggio sarebbe quello di dire: “Basta, facciamoci da parte, restituiamo dignità alla politica”. Se davvero a Settimo resta un minimo di dignità, dignità vorrebbe che si dicesse a Greco di dimettersi dalla segreteria. Lo dovrebbe fare la sindaca Elena Piastra, il segretario Nicolò Farinetto, il capogruppo in consiglio Elena Ruzza.
Ma qui nessuno batte un colpo. E così a Settimo, la città che dovrebbe essere laboratorio di buona amministrazione, e a Torino, il capoluogo che dovrebbe dare l’esempio, resta soltanto l’ennesima scena di quel vecchio teatrino: predicare bene, razzolare male.
Insomma, la lezione di etica che i cittadini si aspettavano dal Pd non è mai arrivata.
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