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17 Settembre 2025 - 07:26
Mensa scolastica a Chivasso, marcia indietro del sindaco Castello: chi non paga può mandare i figli a scuola con il panino
Parziale marcia indietro. Non è la prima nella storia dell’amministrazione guidata da Claudio Castello, e con ogni probabilità non sarà nemmeno l’ultima. Stavolta riguarda la questione più spinosa che da mesi agita la politica cittadina: la mensa scolastica. Dopo settimane di discussioni, polemiche e accuse, la Giunta ha deciso di concedere ai bambini figli di genitori morosi la possibilità di portarsi da casa un pasto. Un panino, una schiscetta, un piatto freddo sistemato nello zaino la mattina. Tutto pur di non negare il diritto al pranzo ai più piccoli. Una toppa, certo. Ma è anche il riconoscimento implicito che qualcosa, nella linea dura adottata a febbraio, non funzionava.
La vicenda parte da lontano. Era febbraio quando la maggioranza di centrosinistra – Partito Democratico, Sinistra Ecologista e la civica Noi per Chivasso – approvava in Consiglio comunale la modifica del regolamento del servizio di ristorazione scolastica. Un giro di vite per risolvere il problema cronico dei crediti non riscossi: circa 800mila euro accumulati negli ultimi sette anni, con un buco di oltre 100mila euro solo nell’anno scolastico 2023/24. Il principio era chiaro: chi non paga, non mangia. «Fatti salvi eventuali piani di rateizzazione già approvati, qualora l’utente non abbia saldato tutti i debiti relativi all’anno scolastico precedente non sarà consentita l’iscrizione al servizio mensa per quello successivo», recitava il nuovo regolamento. Un provvedimento che colpiva non solo la mensa, ma anche servizi collegati come scuolabus, pre e post scuola, nidi e centri estivi. La giustificazione della maggioranza era altrettanto netta: secondo i dati forniti dal Comune, il 60% dei morosi apparteneva alle fasce contributive più alte. In altre parole, non famiglie in difficoltà, ma “furbetti” che potevano pagare e sceglievano di non farlo, scaricando il peso sulla collettività. Da qui il mantra ribadito in ogni comunicato: «Siamo dalla parte dei fragili e degli onesti».
Ma fin da subito le polemiche erano divampate. Perché se è vero che i debiti pesano sulle casse pubbliche, è altrettanto vero che a subire le conseguenze sarebbero stati i bambini. Non i genitori. Non i “furbetti”. I bambini. La CGIL, la segreteria regionale del Partito Democratico e Avs avevano alzato la voce. E in Consiglio comunale le opposizioni avevano accusato la Giunta di punire i più piccoli per responsabilità non loro. «Il regolamento non assicura il recupero del credito, ma punisce i bambini», aveva dichiarato Claudia Buo di LiberaMente Democratici. Le obiezioni non erano campate in aria. Si temeva, e si teme tuttora, che dietro la statistica dei “morosi di lusso” ci siano anche storie familiari più complicate: separazioni, lavori precari, ritardi burocratici. Situazioni che neanche la più scrupolosa analisi degli uffici comunali può fotografare con esattezza. E in mezzo a tutto questo ci sono i piccoli alunni, con il rischio concreto di vedersi esclusi dall’ora di pranzo, isolati dal resto della classe, discriminati senza colpa.
Claudio Castello sindaco di Chivasso
In città si è aperto un dibattito acceso anche sui costi dei servizi scolastici. La mensa può costare dai 20 ai 120 euro al mese, il pre e post scuola altri 50 euro, lo scuolabus 48 euro, il centro estivo fino a 280 euro al mese per famiglie con redditi inferiori ai 1.000 euro. Cifre che, sommate, diventano impegnative per chi fatica già a sbarcare il lunario. Da qui la domanda che serpeggia da mesi: davvero i morosi sono tutti furbetti? O almeno una parte di quei 100mila euro di mancato incasso annuo nasce da fragilità reali, magari non certificate formalmente?
L’assessore all’Istruzione Gianluca Vitale non aveva dubbi: «Occorreva dare un segnale forte. Abbiamo inserito l’obbligo di garantire l’iscrizione alla mensa solo ai soggetti che sono in regola con il pagamento dello scorso anno scolastico». Una posizione difesa a spada tratta, anche quando il dibattito è arrivato fino ai vertici regionali del Pd, dove più di un dirigente aveva storto il naso. Per l’amministrazione il provvedimento era necessario: da un lato per tutelare chi paga regolarmente, dall’altro per responsabilizzare chi non lo fa. E per i casi di vera fragilità economica, ricordava Castello, erano già previste esenzioni o riduzioni tramite ISEE e attestazioni del CISS.
Poi, a settembre, il colpo di scena. Un comunicato ufficiale del Comune datato 8 settembre 2025 introduce una novità: chi non è iscritto al servizio mensa, o non ha ancora regolarizzato la propria posizione, potrà comunque portarsi un pasto da casa.
La decisione arriva dopo una verifica con il SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione), che ha dato l’ok a consumare panini e schiscette all’interno dei refettori scolastici, insieme agli altri alunni. Una soluzione temporanea ma significativa. Fino al 30 settembre, infatti, tutti gli alunni – iscritti e non iscritti – riceveranno comunque i pasti preparati dalla ditta Vivenda, alle tariffe ordinarie. Dal 1° ottobre, invece, chi non avrà completato l’iscrizione dovrà adottare questa misura alternativa, in attesa che i Consigli di Istituto elaborino un regolamento ad hoc.
Ed è qui che si apre un nuovo fronte. Perché se è vero che il provvedimento salva i bambini dall’esclusione e dalla discriminazione, resta l’interrogativo: è davvero questa la soluzione? Un panino ogni tanto va bene. Ma ogni giorno? Sti bambini mica possono mangiarsi panini tutti i giorni, viene da chiedersi. O rischiano di trasformarsi in spettatori della mensa, con i compagni che ricevono il pasto caldo della Vivenda e loro che scartano una focaccia portata da casa. Il diritto all’inclusione è salvo sulla carta, ma le abitudini alimentari, la qualità nutrizionale e perfino l’esperienza sociale del pasto restano in discussione. La marcia indietro della Giunta Castello dimostra due cose. Primo: che la linea dura non era così solida come sembrava a febbraio. Secondo: che ancora una volta questa amministrazione si trova a fare i conti con una decisione impopolare corretta in corsa, come già accaduto su altri dossier.
È una toppa, certo. Eppure, dietro la toppa resta intatta la questione di fondo: come recuperare gli 800mila euro di crediti senza scaricare il peso sui bambini.
Perché a furia di voler colpire i “furbetti”, il rischio è di colpire indiscriminatamente anche chi non ha colpa.
La sensazione è che la vicenda non sia chiusa. Perché la domanda resta: non c’era un’altra soluzione? Un piano di recupero crediti più serio, ad esempio. O un fondo di solidarietà capace di distinguere davvero tra chi non può e chi non vuole pagare.
Per ora, la città si ritrova con un compromesso a metà: niente bambini esclusi dai refettori, ma il rischio concreto di vederli mangiare panini e schiscette giorno dopo giorno. Non proprio il massimo in termini di salute, di dignità e di integrazione.
La Giunta rivendica di essere «dalla parte dei fragili e degli onesti». Ma i fatti raccontano altro: un regolamento punitivo, polemiche infuocate, e infine un passo indietro che lascia più interrogativi che certezze.
In mezzo, come sempre, ci sono loro: i bambini. Gli unici che, in questa storia, non hanno davvero alcuna colpa.
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