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Meglio cattivi che democristiani: la rivolta per Gaza divide la sinistra eporediese

Tra accuse incrociate e repliche al vetriolo, l’ex segretario del PD e presidente del Consiglio comunale di Ivrea finisce nel mirino dei compagni di piazza: mentre a Milano esplode la rabbia per Gaza, ad Ivrea si consuma lo scontro su cosa significhi davvero protestare.

Meglio cattivi che democristiani: la rivolta per Gaza divide la sinistra eporediese

Meglio cattivi che democristiani: la rivolta per Gaza divide la sinistra eporediese

C’è chi nasce comunista e muore democristiano. C’è chi cresce nel Pci, poi passa ai Ds, poi al Partito Democratico e magari fa retromarcia verso Rifondazione. C’è chi alla sinistra non ha mai guardato. C'è chi pensa di essere di sinistra ma con la sinistra c'entra come i cavoli a merenda. E poi ci sono i fatti di Milano: la guerriglia urbana, un’Italia pacifista che scende in strada utilizzando tutti i mezzi possibili per farsi ascoltare da un governo sordo, muto, incapace di intendere che cosa sta succedendo a Gaza e, soprattutto, di voler “reagire” con qualcosa di tangibile e reale, a cominciare dal blocco delle esportazioni di armi.

E c’è chi scrive sui social: “Se c’è un modo per delegittimare ogni posizione pro Pal, ogni tentativo seppur velleitario di incidere sul destino dei civili fratelli palestinesi è spaccare le città. Le immagini di Milano sono scandalose. Massima solidarietà alle forze dell’ordine e ferma condanna per quei metodi, che danneggiano la ragione palestinese più dell’indifferenza dei nostri governi…”

Si dirà: sarà Andrea Cantoni dei Fratelli d’Italia. Guardi meglio. Non credi ai tuoi occhi. E poi ti accorgi che è Luca Spitale. Proprio lui? Sì! Applaudono in tanti e sono tutti di centrodestra... Inutile chiedersi che bisogno mai avrà avuto di lasciarsi andare ad un commento così! 

A rispondergli per le rime ci pensa Franco Giorgio, tra i più attivi frequentatori del presidio per la pace di Ivrea:

“Spiace – commenta – vedere che l’ex segretario del PD, nonché presidente del Consiglio comunale di Ivrea, cada nella rete della destra come un pollo e non capisca che la tecnica della destra sarà quella, in queste ore, di provare a distrarre come sempre fanno. Il tutto per evitare che si discuta seriamente delle responsabilità del governo Meloni nel genocidio a Gaza. La violenza va condannata sempre, ma non farti fregare Luca: i violenti sono coloro che hanno dato copertura mediatica, politica e persino militare a chi – a detta dell’ONU, di Amnesty International, di Save The Children e dei principali studiosi di genocidio – sta realizzando un genocidio a poche centinaia di km da noi. Cosa è più grave secondo te: tentare di raggiungere i binari di una stazione per bloccare i treni o vendere armi a chi sta realizzando lo sterminio di un popolo intero? Peccato, te la potevi risparmiare…”.

La replica di Spitale non tarda ad arrivare.

“Non mi servono lezioni di solidarietà – rilancia – Sono ben cosciente di ciò che sta accadendo. Rispondere con violenza a violenza è il miglior modo per appiattire la condanna, il modo migliore per spostare il dibattito al livello della caciara da bar sport. Va condannata la violenza da me per primo, che condivido le posizioni di quelle piazze, proprio perché sento lese le mie posizioni, proprio perché quella violenza mi danneggia due volte: come persona delle istituzioni e come cittadino del mondo che intende difendere il popolo palestinese dalla violenza feroce…”.

Eh sì, perché di fronte a 70 mila morti, di cui 20 mila bambini, di fronte a un massacro di civili, occorre essere “eleganti”, senza offendere nessuno… Tutti a cantare Bella ciao.

Il botta e risposta non poteva passare inosservato. Tra i tanti commentatori c’è Luka Bolza

“Il tentativo di delegittimare manifestazioni così partecipate – stigmatizza – è uno strumento utilizzato da sempre. Me lo aspetto dalla Meloni o da Salvini. Mio figlio per la prima volta ha partecipato a una manifestazione così importante, l’ha definita intensa ed emozionante. Ha 18 anni e, forse per l’ingenuità dovuta all’età, non capisce perché la violenza di poche decine di persone possa oscurare un evento di tale portata. Luca, non dobbiamo per forza morire democristiani.”

E Spitale non demorde e ribatte: “Hai fatto un bel lavoro con tua figlia. Guarda, tutto questo bailamme si risolve facilmente se gli stessi manifestanti condannassero i disordini, non capisco le controindicazioni. Comunque so che non morirò democristiano, al massimo democratico riformista…”

Tant’è.

“Io invece morirò comunista – gli risponde Franco GiorgioE francamente capisco che gridare alla violenza lo facciano i fascisti, ma che questa falsificazione trovi orecchie disponibili anche fra chi dice di voler rappresentare gli interessi di chi lavora e di chi non può più assistere in silenzio al genocidio di un intero popolo, sicuramente indigna fortemente ogni persona che possa essere definita tale. Andate a vedere la stazione di Milano questa mattina: è stato sufficiente un nobile lavoro delle imprese di pulizia per rimettere tutto in ordine, altro che distruzione! Credo invece che dovremmo pensare che non tutti i mali vengono per nuocere, perché anche questa ulteriore occasione ci serve a ricordare come gli avversari più infidi si annidano spesso dove meno te lo aspetti…”.

E poi ancora: “Voglio essere ancora più chiaro, sugli scontri di Milano. Dopo due anni di massacri, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutta Italia decisamente arrabbiate. E ci mancherebbe. ‘Sedicenti pro Pal’, come qualcuno li chiama con intento dispregiativo, ‘sedicenti antifa’, orgogliosamente pro Palestina e antifascisti. Ma soprattutto voglio dirlo forte e chiaro: chi non cambia di una virgola le condizioni dei palestinesi è il governo italiano, un governo afono, pavido, complice e pure furbacchione, come quando la Presidente stessa si è presa gli applausi al Meeting di CL criticando Netanyahu. Pensano di salvarsi la coscienza portando in Italia qualche decina di bambini per curarsi, ma la Storia un giorno chiederà conto di ben altro. Sono le opinioni pubbliche di mezzo mondo, oggi, dalla parte giusta, altri governi se ne stanno accorgendo. E se in piazza si sfila anche con chi pensa che vada bene spaccare una vetrina, non sarà questo che ci impedirà di guardare la luna, anziché il dito. Ne riparliamo magari quando chi oggi è attento solo ai disordini mostrerà per i morti di Gaza metà dello sdegno che prova per gli scontri di Milano. E che sia solo l’inizio di una più grande ribellione contro chi oggi ha ancora il coraggio di schierarsi con il governo sionista…”.

Applausi a scena aperta per Franco Giorgio, senza se e senza ma.

Protestare sul serio significa essere cattivi

Protestare, nella visione edulcorata di molti, significa alzare un cartello scritto con pennarello colorato, intonare cori da stadio con rime baciate e, possibilmente, chiedere permesso alla Questura per non disturbare troppo il traffico. Una roba ordinata, pulita, che si conclude con quattro selfie e un post su Facebook: “Che bella giornata di democrazia!”.

Eppure la storia, quella vera, non l’hanno mai scritta i cortei con il volantino plastificato e la bandierina arcobaleno. La storia la scrivono gli urli che spaccano i timpani, i corpi che si mettono in mezzo, le mani che si sporcano. La scrivono le piazze cattive, quelle che non accettano di essere ignorate. Se non si è cattivi, non si ottiene niente.

Non lo dico io, lo dicono i secoli. I diritti dei lavoratori non sono arrivati con le marce della domenica, ma con gli scioperi duri, gli scontri, le barricate. Il voto alle donne non è piovuto dal cielo per cortesia maschile, ma conquistato a pugni chiusi. 

Il Vietnam non l’hanno fermato i sit-in silenziosi nei campus con le candeline accese. L’hanno fermato le città paralizzate dagli scioperi, i ragazzi che hanno incendiato le cartoline di leva davanti ai tribunali, gli studenti che hanno occupato università e bloccato ponti. L’hanno fermato i cortei che si sono scontrati con la polizia, le manifestazioni oceaniche che costringevano Johnson e Nixon a guardare dalle finestre della Casa Bianca un’America che non ne poteva più di bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce. Non è stata la “pacifica convivenza” a fermare quella guerra, ma la rabbia di milioni di persone che, con il loro essere cattivi, hanno reso la guerra insostenibile anche per chi la stava facendo.

Oggi invece ci raccontano che la protesta deve essere “civile”, “educata”, “pacifica”. Tradotto: innocua. Caro Luca Spitale una protesta che non dà fastidio è la più grande vittoria del potere. E infatti i governi la amano: lascia sfogare la gente, tanto poi tutto torna come prima. Una protesta che non morde, non cambia. Una protesta che non ferisce, non segna. Una protesta che non lascia cicatrici, non serve.

E allora sì, bisogna essere cattivi. Cattivi significa non accontentarsi di battere le mani sotto il palco. Significa disturbare, far rumore, creare disagio. Perché se il potere non trema, se i governanti non si sentono costretti a reagire, la protesta è solo scenografia.

Lo sanno bene quelli che oggi riempiono le piazze per Gaza: gridare non basta più, bisogna costringere chi governa a vedere, ad ascoltare, a smettere di fingere. E se per farsi notare serve bloccare una strada, fermare un treno, rompere qualche vetrina, pazienza. Non è la vetrina la notizia: è il genocidio che si consuma a poche centinaia di chilometri da qui.

Protestare significa dire no con la forza del corpo e della voce, significa diventare spina nel fianco, granello nell’ingranaggio. Protestare significa rompere l’incantesimo dell’indifferenza.

Chi vuole proteste docili, ordinate, pacifiche, non vuole proteste. Vuole parate. E le parate servono al potere, non a chi lotta.

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