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22 Settembre 2025 - 21:30
Piazze in fiamme per Gaza: tra manganelli e lacrime, l’Italia si ribella
È bastato uno sguardo, un cartello sollevato tra la folla, per capire il senso di questa giornata: una bambina con un disegno colorato che recitava “fermate le bombe, salvate i bambini di Gaza”. In Italia, oggi, decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello dei sindacati di base e delle associazioni pro Palestina, scendendo in piazza nonostante la pioggia, i rischi e la tensione crescente. Lo hanno fatto perché da quasi un anno la striscia di Gaza è un cimitero a cielo aperto: madri che piangono figli strappati dalle macerie, bambini che non vanno a scuola ma imparano troppo presto il linguaggio della guerra, ospedali ridotti a scheletri e campi profughi trasformati in trappole di morte.
Gli italiani che hanno manifestato non hanno dimenticato tutto questo. A Milano, Roma, Bologna, Torino, Napoli, Genova, Livorno, Marghera e in decine di altre città, il messaggio è stato lo stesso: “Cessate il fuoco subito, stop al genocidio”.
È stato a Milano che la tensione si è trasformata in scontro. La città ha rivissuto momenti che ricordano i cortei No Expo del 2015: un corteo partito pacifico dalla stazione Cadorna, con famiglie, studenti, giovani palestinesi e associazioni, è degenerato all’arrivo alla stazione Centrale. Una frangia di incappucciati ha lanciato pietre, transenne, bidoni della spazzatura, bastoni. Hanno perfino strappato gli idranti alle forze dell’ordine, usandoli come armi. Dentro la stazione, i passeggeri sono rimasti intrappolati nella paura, testimoni involontari di una battaglia che ha trasformato il principale scalo ferroviario della città in una trincea improvvisata.
Il bilancio è pesante: circa 60 poliziotti feriti, di cui 23 portati in ospedale, e otto persone condotte in Questura. Via Vittor Pisani, il lungo viale che porta alla stazione, è rimasto bloccato per ore, trasformato in un teatro di scontri. Cubetti di porfido, biciclette in sharing lanciate come proiettili, vetrate distrutte: immagini che hanno fatto il giro del mondo. Ma dietro la cronaca della violenza restano le migliaia di persone che avevano sfilato in modo pacifico, sotto la pioggia, chiedendo nient’altro che un futuro di pace per un popolo massacrato.
Non solo Milano. A Bologna quattro persone sono state arrestate, tra cui un minorenne. Le accuse: disordini, blocco dell’autostrada e della tangenziale, resistenza a pubblico ufficiale. Altri tre denunciati per lesioni. A Marghera, i manifestanti che hanno provato a forzare l’ingresso all’area portuale sono stati dispersi con idranti e cariche. A Torino e a Napoli i cortei hanno tentato di arrivare sui binari delle stazioni, riuscendo in alcuni casi a fermare i treni e a bloccare la circolazione.
E nei porti di Genova e Livorno i lavoratori hanno scioperato per impedire il traffico di merci destinate a Israele, convinti che tra quelle casse ci possano essere armi. Scene che richiamano alla memoria la grande stagione delle lotte operaie contro le guerre, quando i portuali italiani si rifiutarono di caricare i convogli destinati ai fronti di conflitto.
La reazione politica è stata immediata. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato di immagini “indegne” e ha sostenuto che gli scontri di Milano “nulla hanno a che vedere con la solidarietà per Gaza”. Il sindaco Giuseppe Sala ha condannato il vandalismo e auspicato che i responsabili vengano individuati al più presto: “Non aiutano la causa palestinese”.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha fatto eco, avvertendo che quanto accaduto è “una deliberata e violenta azione di attacco verso le forze di polizia”. Ha parlato di “professionisti del disordine”: black bloc, antagonisti, giovani radicalizzati. Ha ricordato che al Viminale già il 10 settembre era stato discusso il rischio di infiltrazioni nei cortei d’autunno, con un calendario che culminerà nella manifestazione nazionale per Gaza del 4 ottobre a Roma.
Piantedosi ha promesso che la strategia non cambierà: garantire a tutti la libertà di espressione, ma colpire chi sceglie la violenza. “Chi organizza queste manifestazioni deve distinguersi da chi vuole solo creare caos”, ha detto. Ma resta il nodo centrale: come si fa a distinguere il ragazzo con il volto travisato che lancia pietre, dal padre che regge la foto di un bambino palestinese ucciso da un bombardamento?
Perché è questo il cuore della vicenda. Se oggi in Italia migliaia di persone hanno lasciato lavoro, scuole, famiglie per riversarsi in piazza, non lo hanno fatto per il gusto dello scontro. Lo hanno fatto pensando a Gaza, a quelle immagini di ospedali colpiti, di madri che scavano a mani nude tra le macerie, di bambini senza più famiglia. Lo hanno fatto perché mentre qui si discute di ordine pubblico, là si continua a morire, ogni giorno, nell’indifferenza di governi che preferiscono firmare protocolli o blindare piazze piuttosto che alzare la voce contro un massacro.
E allora sì, oggi l’Italia si è divisa tra chi vede solo i vetri rotti della stazione Centrale e chi piange per i corpi senza vita dei bambini di Khan Yunis. Tra chi invoca la repressione e chi invoca la pace. Tra chi si scandalizza per un bidone della spazzatura scagliato contro un cordone di polizia e chi non si scandalizza più per le bombe che piovono sulle scuole dell’UNRWA.
Il 4 ottobre Roma sarà il centro della protesta nazionale. Il Viminale teme l’escalation, i manifestanti temono il silenzio. Perché senza una soluzione politica, senza una voce forte che dica basta alle stragi, le piazze continueranno a ribollire. Lo faranno pacificamente, come la stragrande maggioranza dei manifestanti di oggi, ma lo faranno. Perché la rabbia cresce e la solidarietà non conosce divieti.
Oggi l’Italia ha visto i suoi portuali incrociare le braccia, i suoi studenti marciare sotto la pioggia, le sue famiglie stringersi attorno a una causa lontana solo sulla carta geografica. Gaza è qui, tra i nostri slogan, nei nostri cartelli, negli occhi delle nostre piazze. E mentre qualcuno parla di “professionisti del disordine”, altri non smettono di ricordare i veri innocenti: i bambini che muoiono sotto le bombe.
Insomma, il grido che è salito dalle strade italiane non riguarda solo la Palestina. Riguarda tutti noi. Perché non c’è ordine pubblico che possa mettere a tacere le lacrime di una madre che stringe il corpo senza vita di suo figlio.
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