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Ferragni, dopo il Pandoro Gate taglia il 78% dell’organico

Da 27 a 6 dipendenti in due anni: la cura d'urto di Calabi tra tagli, ricapitalizzazione e riposizionamento per salvare il brand dopo il Pandoro Gate

Ferragni, dopo il Pandoro Gate

Ferragni, dopo il Pandoro Gate taglia il 78% dell’organico

Alla fine del 2023, quando l’onda lunga del Pandoro Gate travolgeva reputazione e numeri, Fenice srl poteva ancora contare 27 dipendenti tra un quadro, 21 impiegati e cinque contratti di altro tipo. Dodici mesi dopo, nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2024, la fotografia cambiava drasticamente: 13 impiegati in servizio. E oggi il perimetro si restringe ancora: “attualmente” l’organico risulta composto da 6 dipendenti. È il segno di una cura d’urto impostata dall’amministratore Claudio Calabi, chiamato a tamponare perdite e ricostruire fiducia in una società colpita nel cuore del proprio modello commerciale.

La sforbiciata nasce da un fatto semplice e brutale: il fatturato si è disintegrato. Il crollo dei ricavi ha imposto un intervento su ogni voce di spesa, a cominciare dal personale. Il ridimensionamento è stato gestito con un mix di non sostituzione del turnover e uscite concordate, fino a comprimere la struttura ai minimi termini. La riduzione complessiva sfiora il 78% degli organici: tre lavoratori su quattro fuori dall’azienda, con inevitabili ricadute sulla capacità operativa — dalla creatività al commerciale, passando per l’e-commerce — e sulla possibilità di presidiare il mercato con lo stesso raggio d’azione di prima.

La “ricetta Calabi” percorre tre corridoi. Primo: taglio dei costi fissi e riallineamento della macchina aziendale a un livello di ricavi realistico. Secondo: ricapitalizzazione e tutela della continuità aziendale, per evitare che la spirale delle perdite eroda definitivamente il patrimonio. Terzo: riposizionamento commerciale, con focus su produzioni speciali, licenze selettive e canali digitali. Tradotto: chiudere la falla nell’immediato, poi tentare una risalita graduale, a condizione che il brand torni a parlare un linguaggio credibile per un pubblico diventato più scettico e meno incline all’acquisto d’impulso.

L’immagine resta la variabile decisiva. Con l’eco dello scandalo ancora presente, partner e retailer chiedono garanzie: solidità finanziaria, piani di prodotto coerenti, un marketing meno rumoroso e più sostanziale. È un percorso che va oltre la contabilità: il marchio deve ricostruire fiducia, dimostrando che l’episodio non è lo standard ma un incidente da cui trarre lezioni. In questo senso, una struttura più snella può aiutare a essere rapidi nel testare capsule, accendere il canale online, misurare il sell-out e disinnescare iniziative che non performano.

La contrazione dell’organico ha però un prezzo organizzativo. Con 6 dipendenti operativi, la società deve inevitabilmente esternalizzare funzioni o ridurne il perimetro, scegliendo poche priorità e rinunciando all’onnipresenza tipica delle fasi espansive. La parola d’ordine diventa selezione: meno linee, più controllo, unit economics sotto la lente. È la logica della ristrutturazione: non si corre per crescere, si cammina per sopravvivere, in attesa che il brand recuperi trazione commerciale.

In controluce, l’operazione racconta un cambio di fase anche per l’influencer economy: quando la reputazione vacilla, la performance non la sostituisci con una campagna in più. Servono prodotto, servizi al cliente e una narrazione credibile. In altre parole, meno hype, più sostanza. Qui sta la sfida per Fenice: trasformare la gestione dell’emergenza in rilancio industriale, ridare senso e coerenza alle collezioni, riattivare relazioni con i partner disposti a scommettere sulla ripartenza e far tornare il pubblico a scegliere il marchio non per abitudine, ma per valore percepito.

La timeline aiuta a fissare i passaggi: 2023, 27 addetti; 2024, 13; oggi, 6. Nel mezzo, perdite da assorbire, costi da limare, processi da riscrivere. Sono numeri che parlano chiaro: Fenice ha lasciato il terreno della crescita per entrare in quello della resilienza operativa (chiamiamola piuttosto tenuta), dove la priorità è difendere cassa e posizionamento. Se e quando il marchio tornerà a correre dipenderà da due leve non negoziabili: la fiducia del mercato e la disciplina esecutiva nel tenere insieme conto economico e proposta di valore.

La chiusura è netta: oggi il perimetro è più piccolo, ma più controllabile. Domani il giudizio passerà dai numeri: ricavi, margini, rotazioni dell’e-commerce, ritorno dei partner. Tutto il resto è rumore. La partita, adesso, si gioca sul campo della credibilità.

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