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Mondiali di Calcio 2026, la Spagna minaccia: "Se c’è Israele, noi ci ritiriamo!"

Madrid valuta il ritiro della nazionale campione d’Europa in carica per motivi politici, aprendo un dibattito sul confine tra sport e diplomazia internazionale

Mondiali di calcio 2026

Mondiali di calcio 2026, la Spagna minaccia: "Se c’è Israele, noi ci ritiriamo"

Il mondo del calcio osserva con incredulità e preoccupazione quanto sta emergendo dalla Spagna: il governo iberico non esclude la possibilità di ritirare la nazionale dai Mondiali 2026, in programma negli Stati Uniti, Canada e Messico, se Israele dovesse qualificarsi al torneo. Una mossa che, se confermata, segnerebbe un precedente senza pari nella storia del calcio, intrecciando sport, politica e diplomazia in un caso unico nel suo genere.

La questione è stata sollevata dal portavoce socialista al Congresso, Patxi López, che ha collegato il possibile ritiro della Roja a precedenti decisioni governative, come l’eventuale rinuncia della Spagna all’Eurovision 2026 in caso di partecipazione israeliana. López ha sottolineato la contraddizione rispetto ad altri scenari, ponendo una domanda diretta: "Perché con la Russia sì e con Israele no? Dov’è la differenza?". Il politico ha poi spiegato che, in mancanza di sanzioni da parte degli organismi sportivi internazionali, Madrid non esclude un ritiro della nazionale guidata da Luis de la Fuente, attuale commissario tecnico della squadra.

Dal punto di vista legale, la Spagna dispone di strumenti concreti per limitare la partecipazione dei propri atleti in competizioni internazionali. Un decreto del 1982, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (BOE), stabilisce infatti che tutte le federazioni sportive necessitano dell’autorizzazione preventiva del Consiglio Superiore dello Sport (CSD) per partecipare a eventi fuori dai confini nazionali. Il via libera è subordinato a comunicazioni dettagliate sull’evento, sui partecipanti e sul budget, previa consultazione con il Ministero degli Esteri. La normativa, che deriva dalla Legge 13/1980, garantisce al CSD la possibilità di regolare la rappresentanza della Spagna senza interferire con le competenze delle federazioni o del Comitato Olimpico, coordinandosi con i ministeri competenti.

Nonostante la cornice legale consenta a Madrid di esercitare un potere di veto, la reale applicazione di un ritiro dai Mondiali comporterebbe inevitabili frizioni con la FIFA. L’organismo internazionale ha storicamente mostrato grande rigidità nel mantenere la separazione tra politica e calcio, sanzionando ingerenze governative e difendendo il principio della neutralità sportiva. Al momento, la possibilità resta quindi teorica: né la Spagna né Israele hanno ancora ottenuto la qualificazione definitiva al torneo, e il dibattito rimane aperto e complesso.

Storicamente, il ritiro di una nazionale dai Mondiali per motivi politici è stato raro e quasi sempre legato a conflitti interni o tensioni geopolitiche, ma mai direttamente alla presenza di un altro Paese specifico già qualificato. Alcuni precedenti ricordano episodi parzialmente simili:

  • Nel 1974, la Corea del Nord rinunciò alle qualificazioni per non affrontare Israele, ma ciò avvenne prima del torneo, non con la squadra già ammessa.

  • Nel 1982, Polonia e URSS boicottarono gare di qualificazione contro il Cile dopo il golpe di Pinochet.

  • Episodi africani e asiatici nel 1966 videro nazionali rinunciare per protesta contro il sistema FIFA, ma sempre prima del torneo, non dopo la qualificazione.

La prospettiva di vedere la Spagna rinunciare ai Mondiali 2026 apre una riflessione profonda: il calcio internazionale, che dovrebbe essere un linguaggio universale e un veicolo di unione, rischia di diventare un’arena di scontri politici. Il dibattito tra sostenitori e critici è già acceso: da un lato chi sostiene che decisioni di questo tipo tutelino valori morali e principi di solidarietà internazionale; dall’altro chi denuncia un rischio di strumentalizzazione politica dello sport e di penalizzazione dei giocatori e dei tifosi, che vedrebbero compromessa la possibilità di partecipare a un evento globale per motivi esterni al campo di gioco.

Nei prossimi mesi, il confronto tra la Spagna e gli organismi sportivi internazionali sarà inevitabile. La qualificazione ufficiale di entrambe le nazionali, la reazione della FIFA e il giudizio dell’opinione pubblica internazionale potrebbero trasformare questa vicenda in un caso emblematico per il futuro del calcio globale.

Al centro della discussione, restano i giocatori: la Roja, campione d’Europa in carica, potrebbe trovarsi costretta a rinunciare a un palcoscenico che rappresenta la massima aspirazione sportiva, non per mancanza di meriti, ma per decisioni governative che travalicano il campo. Per la Spagna e per l’intero mondo calcistico, l’eco di questa scelta sarebbe inevitabile, tracciando un precedente destinato a essere discusso per anni.

In assenza di decisioni definitive, resta chiaro che il 2026 potrebbe trasformarsi in un crocevia di sport, diplomazia e valori etici, e che la storia dei Mondiali potrebbe vivere un capitolo unico, segnato dalla complessa intersezione tra politica e pallone.

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