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17 Settembre 2025 - 11:52
Bronchiolite da virus sinciziale: crollano i ricoveri con il monoclonale ma c'è un'Italia di serie A e una di serie B
Un farmaco che cambia il volto della bronchiolite nei reparti pediatrici italiani, ma anche una fotografia che rivela ancora una volta quanto la sanità nazionale viaggi a velocità diverse. È quanto emerge dal primo studio real life sul nirsevimab, l’anticorpo monoclonale a lunga durata d’azione somministrato in dose unica ai neonati per proteggerli dal virus respiratorio sinciziale (VRS). I dati, presentati al congresso della Società italiana per le malattie respiratorie infantili (Simri) a Verona, parlano chiaro: i ricoveri per bronchiolite sono calati del 71% rispetto alla scorsa stagione epidemica, con un taglio netto anche degli accessi in pronto soccorso (-48%) e dei trasferimenti in terapia intensiva pediatrica (-61%). Numeri che, se confermati, segnano una svolta storica nella prevenzione di una delle infezioni più insidiose dei primi mesi di vita.
Lo studio è stato condotto dall’Osservatorio nazionale specializzandi in pediatria (Onsp) e ha coinvolto 30 centri universitari in 15 regioni, sotto il coordinamento di Mattia Spatuzzo della Sapienza di Roma. A presentare i risultati preliminari è stato il coordinatore scientifico Fabio Midulla del Policlinico Umberto I, che ha sottolineato come la protezione offerta dal monoclonale abbia modificato in maniera sostanziale il profilo dei pazienti ricoverati. Quest’anno, infatti, sono stati soprattutto i lattanti più grandi e i bambini con patologie croniche a finire nei reparti: segno che l’immunizzazione ha funzionato in modo più capillare tra i neonati sani, lasciando in esposizione le fasce più fragili e i piccoli nati fuori stagione.
Il dato più eclatante riguarda le differenze regionali. In Toscana, dove la profilassi è stata avviata tempestivamente e con copertura estesa, i ricoveri si sono ridotti di oltre l’80%. In Abruzzo, invece, la partenza tardiva del programma ha determinato inizialmente un aumento dei casi, prima che l’impatto del farmaco si facesse sentire. Queste disomogeneità, spiegano gli esperti, rappresentano oggi il vero punto critico: non tanto l’efficacia del trattamento, ormai consolidata, quanto la capacità del sistema sanitario di renderlo accessibile in modo uniforme.
Il VRS è noto come il principale responsabile della bronchiolite e di gravi infezioni respiratorie nei primi due anni di vita. Ogni anno, prima dell’introduzione del monoclonale, migliaia di bambini finivano nei pronto soccorso italiani durante i mesi invernali, con picchi di ricoveri che mettevano in crisi i reparti pediatrici. Non è solo una malattia acuta: un’infezione precoce può lasciare conseguenze a lungo termine, predisponendo a bronchite asmatica e a riduzione della funzionalità respiratoria nel 35-40% dei casi. È per questo che il crollo dei ricoveri rappresenta una doppia vittoria: meno pressione immediata sugli ospedali e meno rischi di complicanze nei due anni successivi.
Il consigliere nazionale della Società italiana di pediatria (Sip), Renato Cutrera, ha ribadito come i risultati confermino l’efficacia del nirsevimab, ma ha richiamato l’attenzione sulla necessità di colmare le disparità territoriali. Se nei lattanti più piccoli i ricoveri si sono ridotti del 90%, nei bambini più grandi – soprattutto quelli nati fuori stagione, quindi non coperti dalla finestra di profilassi – la riduzione è stata soltanto del 40%. Un divario che rischia di tradursi in nuove disuguaglianze sanitarie, con i piccoli pazienti esposti in base alla regione di nascita o al periodo dell’anno.
La discussione sollevata dai pediatri va oltre il dato numerico e tocca il nodo politico e organizzativo: come garantire che il monoclonale diventi parte integrante e strutturale della prevenzione nazionale? L’esperienza recente dimostra che la rapidità di attuazione dei programmi regionali è determinante. Dove si è partiti subito, con strategie coordinate tra ospedali, pediatri di libera scelta e consultori, la curva dei ricoveri è crollata. Dove invece le procedure hanno subito ritardi burocratici o carenze logistiche, i risultati sono arrivati tardi e in forma attenuata.
Un altro elemento da sottolineare è il costo sociale della bronchiolite. Non si tratta solo di letti occupati in ospedale, ma di famiglie costrette a sospendere la vita quotidiana, di genitori che affrontano giorni o settimane di ansia, di un sistema sanitario che spende risorse per ricoveri che oggi possono essere evitati. Il nirsevimab, se applicato in maniera uniforme, ha il potenziale per alleggerire tutto questo carico, liberando energie da destinare ad altre aree critiche della pediatria.
Gli esperti mettono però in guardia da facili entusiasmi. Il monoclonale non cancella la bronchiolite, ma ne riduce drasticamente l’impatto. Alcuni bambini continueranno a contrarre il virus, in particolare quelli con malattie croniche respiratorie, cardiache o immunitarie, e su queste fasce vulnerabili serviranno strategie aggiuntive di protezione e monitoraggio. Inoltre, la sostenibilità economica della profilassi su larga scala andrà garantita con investimenti stabili e con un’organizzazione che includa anche la formazione del personale sanitario sul territorio.
L’Italia, nel frattempo, si trova a essere apripista in Europa con un’analisi su larga scala condotta in condizioni reali e non solo in studi controllati. Questo aspetto rende i dati ancora più rilevanti: la riduzione del 71% dei ricoveri non è un risultato di laboratorio, ma la fotografia di ciò che è accaduto davvero nei reparti pediatrici tra il 2024 e il 2025.
Ora l’attenzione è rivolta alla prossima stagione epidemica. La speranza è che le lezioni apprese portino a una maggiore uniformità di accesso, evitando che il luogo di nascita o il calendario delle vaccinazioni influenzi la probabilità di ammalarsi. La sfida sarà integrare il monoclonale in un sistema nazionale che riesca a garantire a tutti i bambini lo stesso livello di protezione.
In una fase storica in cui la fiducia nella medicina è spesso messa in discussione, il caso del nirsevimab mostra cosa significa scienza applicata con metodo e rapidità: meno ricoveri, meno complicanze e più serenità per le famiglie. Restano i nodi organizzativi, ma la direzione sembra tracciata: la bronchiolite non è più un destino inevitabile dei primi inverni di vita.
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