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Sanità col bancomat: cacciato Schael, i primari tornano a incassare e i malati a soffrire

La riforma più coraggiosa – obbligare i medici a restare negli ospedali – viene spazzata via. Dopo la sentenza del TAR, Riboldi e i nuovi vertici riaprono le porte alle cliniche private: vincono i baroni, perdono i cittadini

Sanità col bancomat: cacciato Schael, i primari tornano a incassare e i malati a soffrire

Federico Riboldi e Livio Tranchida

Quella di obbligare i medici a svolgere l’intramoenia dentro gli ospedali pubblici era stata, senza mezzi termini, la migliore riforma mai tentata nella sanità piemontese. Finalmente qualcuno aveva provato a dire: basta con la fuga pomeridiana dei primari, basta con i corridoi deserti negli ospedali mentre nelle cliniche private si fanno visite a pagamento a ritmo serrato. Insomma, si era aperto uno spiraglio verso una sanità senza “bancomat”, dove il pubblico non fosse solo una vetrina mattutina ma un luogo vivo, funzionante, capace di rispondere davvero ai bisogni dei cittadini.

Per la prima volta dopo decenni si era affermato un principio tanto semplice quanto rivoluzionario: i medici, pagati dal sistema sanitario pubblico, devono curare nei reparti pubblici. Punto. Una linea netta, che aveva spezzato l’ipocrisia del doppio binario: di mattina il camice bianco in ospedale, di pomeriggio lo stesso camice in clinica privata, ma con tariffe da capogiro.

Poi è arrivato il “siluramento” del commissario Thomas Schael ad appena 5 mesi dalla nomina e, come in un film già visto, il nastro si riavvolge. Altro che riforma, si torna indietro di mesi, forse di anni. Il messaggio è chiaro: i camici bianchi non devono preoccuparsi, le porte delle cliniche private sono di nuovo spalancate. I cittadini, invece, possono tornare ad armarsi di pazienza, ticket e code infinite, consapevoli che la mattina si è malati e il pomeriggio si diventa clienti.

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La retromarcia ha preso forma in una comunicazione asciutta, datata 9 settembre, firmata dal direttore sanitario Lorenzo Angelone e dall’amministrativo Giampaolo Grippa, i due uomini che affiancano il nuovo direttore generale Livio Tranchida. Poche righe che pesano come macigni: “In conformità a quanto disposto dal Tribunale del Lavoro – si legge – è nuovamente possibile richiedere l’autorizzazione per effettuare visite ambulatoriali in doppia fatturazione presso poliambulatori esterni già utilizzati da altri professionisti”. Fine. Nessun ghirigoro linguistico, nessuna formula diplomatica: è la resa dei conti. I primari possono tornare a fare quello che facevano prima del 1° aprile, quando Schael aveva osato dire basta.

La precisazione finale è la ciliegina sulla torta, anzi sullo scempio: “La convenuta dovrà consentire ai professionisti di continuare ad operare secondo le modalità preesistenti ad aprile, finché non siano adempiuti gli incombenti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Insomma: come se nulla fosse successo. Schael aveva rotto il giocattolo, ora il giocattolo è stato aggiustato. Non importa se quel giocattolo è costato ai cittadini anni di liste d’attesa interminabili e milioni di euro sottratti al pubblico: ciò che conta è che la casta sanitaria abbia potuto riappropriarsi del suo monopolio.

Tutto questo non nasce da un atto di volontà politica, ma – dice l’assessore regionale Federico Riboldi – da una sentenza del Tribunale del Lavoro che, su ricorso del sindacato Cimo-Fesmed, aveva condannato l’ex commissario per condotta antisindacale. Una sentenza che è stata l’arma perfetta per ribaltare la tavola e riportare tutto indietro. Schael è diventato il capro espiatorio, l’uomo da sacrificare pur di riportare la quiete tra i baroni della sanità. Così la Regione e la nuova direzione si presentano come ligi esecutori della legge, quando in realtà il risultato è uno solo: si ritorna alla sanità dei “doppi binari”, pubblico di mattina e privato di pomeriggio.

Ufficialmente si parla di “dialogo”, di “correttezza”, di “trattativa con i sindacati”. Lo stesso assessore Riboldi ripete come un mantra che “il dialogo è sempre un valore”. Certo, un valore per chi deve difendere i privilegi, non per chi aspetta mesi per una visita oncologica. E allora viene da chiedersi: ma a chi è rivolto questo dialogo? Ai cittadini che si vedono respinti da sportelli saturi e liste di prenotazioni chiuse? No. Ai primari che hanno vinto il ricorso e che possono tornare a fare affari. È questo il dialogo che conta, quello che porta pace nei corridoi del potere, non nei reparti degli ospedali.

Il nuovo direttore Tranchida, dal canto suo, si affretta a precisare che lui sarebbe anche favorevole a reinternalizzare la libera professione, ma che servono più personale e più apparecchiature. Insomma, una promessa che suona come un alibi: intanto lasciamo che i primari tornino a fare il bello e il cattivo tempo, poi un giorno, chissà, forse, si penserà a riportarli in ospedale. Nel frattempo, il tappo è saltato e i signori dell’intramoenia possono tornare a riempire le loro agende private.

Tant’è! Così funziona in Piemonte. La verità è che mentre i pazienti restano al palo, il vero assillo di chi governa questa Regione non sono i malati, ma il bilancio 2024 della Città della Salute, che ancora manca all’appello tra tutti quelli delle aziende sanitarie piemontesi.

E qui il fantasma di Schael ritorna con forza. È lui ad aver rifiutato di firmare conti che non tornavano e ad aver affidato a una cordata di advisor esterni (Intellera Consulting con Deloitte, Arthur D. Little e altri) la verifica del bilancio e dei dodici anni precedenti. Un incarico da quasi 3 milioni di euro, che ha fatto tremare più di un ufficio e che ha sollevato la polvere nascosta sotto i tappeti. Ora tocca a Tranchida gestire questa eredità: ha chiesto supporto alle ragionerie dell’Asl di Cuneo e del Santa Croce di Carle, ha avviato un confronto con gli advisor per rinegoziare tempi e costi, e nel frattempo deve chiudere i conti in fretta per non mettere a rischio l’intero bilancio regionale della sanità.

È l’ennesima prova che Schael ha pagato non solo per aver osato fermare la fuga dei medici, ma anche per avere alzato il velo sui bilanci, mettendo in imbarazzo chi da anni preferisce firmare alla cieca. Il suo peccato originale è stato dire la verità: che i conti non tornano e che i medici devono curare i malati negli ospedali, non i clienti nelle cliniche.

La morale è crudele ma chiarissima. Schael aveva provato a scardinare il sistema, obbligando i medici a restare negli ospedali pubblici. Ha osato guardare nei bilanci e pretendere trasparenza. È stato cacciato. E ora, con buona pace dei cittadini, tutto torna come prima. I primari festeggiano, la politica si lava le mani dietro il paravento della “sentenza del Tribunale” e i malati restano a pagare due volte: con le tasse e con le parcelle.

Altro che riforma della sanità. Questo è il ritorno al vecchio bancomat, quello che funziona sempre, dalle 8 alle 20, purché si abbia la carta giusta: non la tessera sanitaria, ma quella di credito. Amen!

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