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Schael vs Riboldi parte seconda: "Che figura di pec!"

Tra pec retroattive, delibere nascoste e assessori che inseguono gli allegati, la Città della Salute sembra più una sit-com che un ospedale

Salvate il soldato Schael. Cirio "cacci" Riboldi

Federico Riboldi e Thomas Schael

Altro che riforma sanitaria. Quella che va in scena alla Città della Salute non è un piano di governo, è una sitcom della Rai anni Ottanta. Luci al neon, applausi registrati, e gag a ripetizione. Solo che i protagonisti non sono comici navigati, ma commissari, direttori e assessori che dovrebbero occuparsi di ospedali, malati e pronto soccorso.

Stamattina il numero di cabaret lo ha recitato Thomas Schael, commissario reclutato 5 mesi fa per rimettere ordine nell’intramoenia. Con glaciale calma tedesca ha annunciato: “torno al lavoro”. Perché? Perché nessuno lo aveva avvisato della sua destituzione. S'aggiunge che secondo lui e secondo i beninformati, la delibera con cui Livio Tranchida è stato nominato direttore generale non si è mai vista sul Bollettino Ufficiale.

Tutto chiaro? Nemmeno per sogno. Nel pomeriggio è arrivata la pec. Quella che Schael attendeva da giorni. La Direzione regionale della sanità lo informa che il suo incarico era cessato. Una pec inviata solo dopo che lui ha denunciato pubblicamente di non aver ricevuto nulla. 

Nel frattempo si è scoperto che la famosa delibera c’era, eccome. Pubblicata il 26 agosto, infilata in un allegato del Bollettino, nascosta come le clausole scritte in corpo otto nei contratti telefonici. Una pubblicazione che l’assessore regionale Federico Riboldi ha pensato bene di inviare ai giornali, come se bastasse quell’allegato dimenticato per cancellare l’imbarazzo di giorni interi.

Risultato finale: Schael silurato con pec retroattiva, Tranchida promosso da direttore per finta a direttore vero, Riboldi che dopo aver fatto la voce grossa si ritrova a inseguire i fatti con modulistica e bolli. La verità? C'è che non basta sventolare allegati per salvare la faccia. Non basta dire “era tutto regolare” se per giorni hai lasciato un commissario a comandare indisturbato. Non basta giocare al generale se poi inciampi nelle regole elementari della burocrazia.

Più che un ospedale, una sceneggiata.

Che cos’è questa storia della Città della Salute? Una pratica amministrativa, si dirà. In realtà è un manuale di auto-sabotaggio. Perché puoi anche sbandierare la riforma della sanità, ma se non riesci neppure a cacciare un commissario senza finire nel cabaret, il problema non è la burocrazia: sei tu.

Thomas Schael che aspetta la pec come un cittadino qualsiasi la raccomandata di Equitalia. Livio Tranchida che inaugura reparti da direttore fantasma. Federico Riboldi che agita un allegato nascosto come fosse un proclama napoleonico. Non serve un giurista per capire che la scena è ridicola.

È la malattia cronica della politica: annunciare prima di controllare, proclamare prima di protocollare. E poi stupirsi se un commissario cacciato al mattino torna al lavoro al pomeriggio. Nel frattempo i cittadini, che in ospedale non trovano un letto, guardano il teatrino e si chiedono: davvero questi dovrebbero organizzare la sanità piemontese?

La risposta non è nei bollettini o negli allegati. È nella credibilità. Si perde in un attimo, e non la recuperi con una pec.

Così la Città della Salute, invece di simbolo d’eccellenza, diventa l’ennesima metafora italiana: tra serietà e sceneggiata, vince sempre la sceneggiata.

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