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08 Settembre 2025 - 01:32
Delia Mauro al telefono con il sindaco Matteo Chiantore
Certo, raccontare un fatto attraverso le parole di chi l’ha vissuto è già forte. Ma vederlo con i propri occhi, in televisione, lo è ancora di più. Domenica sera, 7 settembre, su Rete Quattro, nella puntata di Fuori dal Coro condotta da Mario Giordano, è andato in onda il servizio girato a Ivrea dalla giornalista Delia Mauro. E quello che si è visto ha lasciato senza fiato: di tutto e di più.
Le telecamere hanno documentato un assalto in piena regola: calci e pugni sferrati contro i cameraman, minacce urlate a pochi centimetri dal volto, sgommate folli in auto degne di un film criminale. Protagonista, ancora una volta, Giovanni Lagaren, il capo del campo rom, lo stesso che da anni vive indisturbato in una villa super-accessoriata e videosorvegliata che avrebbe dovuto essere rasa al suolo almeno dieci anni fa.
Attorno a lui una dozzina di persone, donne comprese, scese in strada armate di scope e pale. Una scena di guerriglia urbana che centinaia di migliaia di telespettatori hanno potuto vedere comodamente dal divano di casa: immagini crude, violente, difficili persino da raccontare senza togliere forza all’impatto di ciò che si è visto.
Esattamente come a marzo, quando per la prima volta la giornalista era piombata a Ivrea all’improvviso. Allora erano seguite interrogazioni, dibattiti, polemiche sui giornali e fuori, alimentate soprattutto da una dichiarazione del sindaco che aveva lasciato tutti di stucco: “Io Lagaren non lo conosco…”.
Stavolta, però, è diverso. Una denuncia partirà d’ufficio per mano della Questura, un’altra a firma della giornalista.
Ebbene sì, è stata superata ogni misura e le immagini televisive hanno avuto e continueranno ad avere un impatto che nessun giornale, nessuna interpellanza e nessuna denuncia erano mai riusciti a ottenere.
Durante il servizio si sente e si vede anche Delia Mauro tentare più volte di contattare il sindaco Matteo Chiantore, senza ricevere risposta. Poi, finalmente, è lui a richiamarla. Sa già tutto. Ha già parlato con le forze dell'Ordine. E lì arriva l’annuncio che definire una svolta è persino riduttivo: “Ivrea non è quella cosa lì. È altro… Ci costituiremo parte civile al processo. Faremo in modo che queste baracche che in alcuni casi, sono case più belle di molte altre, vengano abbattute e demolite...”.
Parole nette, che aprono uno scenario nuovo. Non più i soliti progetti affidati al settore affari sociali, che per oltre vent’anni hanno prodotto soltanto rinvii e promesse. Ora la prospettiva è diversa: si parla di ruspe. Ruspe, finalmente. Ruspe per quella villa abusiva con tanto di telecamere di videosorveglianza che continua a svettare come un monumento all’impunità. Ruspe per le altre costruzioni tirate su senza permesso, in parte su terreni privati – abusivi due volte – in violazione di ogni norma. E non si tratta di baracche o roulotte improvvisate, ma di case in muratura complete di ogni comfort.
La telenovela giudiziaria e politica di Ivrea non è ancora finita, ma il copione sembra finalmente cambiato. Dopo vent’anni di ordinanze mai eseguite, di sentenze rimaste lettera morta, di amministrazioni di destra e sinistra che hanno preferito rinviare invece di affrontare il problema, le immagini trasmesse in prima serata hanno costretto il sindaco e la giunta a uscire dall’inerzia e a mettere in chiaro che non si può più far finta di nulla.
Se davvero sarà la fine dell’eterno rimpallo tra uffici, tribunali e amministrazioni lo dirà solo il tempo. Intanto, però, la violenza esplosa davanti alle telecamere ha imposto una verità che non si può più eludere: quel campo non è soltanto un problema sociale, è una ferita aperta. Una ferita che riguarda legalità, sicurezza e dignità della città. Ed è una ferita che Ivrea non può più permettersi di ignorare.
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