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Schael vs Riboldi: "Che figura di merda!"

Il commissario torna in ufficio con la pec in mano, il nuovo direttore non è ancora ufficiale e l’assessore alla Sanità si ritrova protagonista di una farsa burocratica che fa ridere tutta la Regione

Schael vs Riboldi: "Che figura di merda!"

Schael

Città della Salute, oggi le comiche.
Chiariamoci: la vicenda Schael non è un giallo burocratico, è cabaret del lunedì sera. Le luci al neon, le risate finte in sottofondo, e sul palco l’assessore regionale Federico Riboldi nel ruolo del capocomico che entra con il copione al contrario. Doveva essere facile: si manda a casa Thomas Schael, reclutato appena cinque mesi fa per fare piazza pulita dell’intramoenia allargata, si trova l’accordo con l’Università, si nomina Livio Tranchida, e tutti vissero felici e contenti. Ma non funziona così se ti dimentichi il passaggio essenziale: firmare le carte.

Così Schael, con la calma glaciale del burocrate tedesco, annuncia: “torno al lavoro”. Perché? Perché nessuno lo ha avvisato ufficialmente che non deve più andarci. E la delibera con cui Tranchida diventa direttore generale non è neanche comparsa sul Bollettino ufficiale. Insomma: formalmente Schael è ancora al comando, mentre Tranchida stringe mani e inaugura reparti come se lo fosse.

E non solo: nella stessa comunicazione Schael avrebbe diffidato il grattacielo dal procedere alla nomina di un nuovo direttore generale. Perché, come in ogni buona farsa, dietro Tranchida c’era una “rosa” di candidati: oltre a lui, comparivano il direttore del San Luigi, Davide Minniti, e Bruno Osella, a capo dell’Asl To5, poi sostituito in corsa da Stefano Scarpetta del Maggiore di Novara per mancanza di requisiti. Una rosa piena di spine, spedita da Riboldi all’Università come se fosse la lista della spesa.

Ed eccoci a Riboldi: il Napoleone della sanità, che si immaginava a passare alla storia come l’uomo del rigore, e invece finirà nelle barzellette come quello che ha cacciato un commissario… senza cacciarlo. Voleva sembrare un generale prussiano, e invece pare un ragioniere che si è dimenticato di protocollare un modulo. Ha fatto la conferenza stampa, ha sbraitato, ha proclamato la svolta: peccato che la legge chieda firme, bolli e delibere. Roba noiosa, certo, ma indispensabile.

riboldi

Ora Schael rientra con la pec in mano – e la pec, in Italia, pesa più di qualsiasi proclama politico. È la vendetta della modulistica sulla propaganda, dell’ufficio legale sull’ufficio stampa. Schael resta, Tranchida non è, e Riboldi arranca. Un assessore che voleva far vedere il pugno duro e si ritrova a stringere il pugno nel vuoto.

La verità è che alla Città della Salute non c’è solo un pasticciaccio, c’è una disfatta politica. Perché se non sai neanche gestire il cambio di un direttore generale, come puoi pretendere di governare il sistema sanitario di un’intera Regione? E a questo punto, l’unico che potrebbe evitare a Riboldi di accumulare altre figuracce è il suo stesso presidente: Alberto Cirio, che farebbe bene a prenderlo da parte e suggerirgli, con affetto e fermezza, la via più dignitosa. Quella delle dimissioni.

E come direbbe Emilio Fede: "Che figura di merda!"

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Doveva essere l’ultimo giorno di Thomas Schael. Doveva chiudersi con una lettera di commiato, citazioni di Seneca, ringraziamenti ai medici e agli infermieri, un saluto elegante dopo sei mesi turbolenti alla guida della Città della Salute. Doveva, appunto. Perché lunedì, invece, il commissario “defenestrato” si ripresenterà al lavoro. Il motivo? Nessuno lo ha mai ufficialmente licenziato. La delibera che avrebbe dovuto consacrare Livio Tranchida direttore generale non è mai apparsa sul Bollettino ufficiale, e così Schael, formalmente, resta ancora al comando. Altro che ultimo giorno: siamo alla puntata successiva di una soap opera che neppure la Rai in prima serata.

Schael aveva persino recitato il copione dell’addio. Nella sua lettera aveva scritto che “sei mesi per qualsiasi azienda, pure piccola, sono un tempo assolutamente insufficiente”. Aveva ringraziato i dipendenti, definendoli la vera eccellenza della sanità piemontese, “che rischia di essere oscurata dagli interessi di pochi”. Aveva difeso le sue scelte impopolari – il divieto di fumo, i camici vietati al bar – come atti di igiene e prevenzione. Aveva ricordato i risultati ottenuti: un quarto di tutte le prestazioni aggiuntive del Piemonte realizzate proprio dalla Città della Salute, la proposta di diventare IRCCS per i trapianti e per l’oncologia, numeri da primato nazionale. Infine, aveva chiuso citando Seneca: “Il saggio non dice mai tutto quello che pensa, ma sempre ciò che conviene dire”. Un epilogo amaro, ma dignitoso.

E invece no. Perché Schael, da buon tedesco abituato a distinguere la cortesia dalla burocrazia, sapeva bene che un grazie non equivale a una revoca. Così, dopo la lettera, ha mandato la pec. E con quella, ha annunciato che tornerà al lavoro, diffidando la Regione dal procedere con la nomina del successore.Schael torna perché la legge dice che può.

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