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Torino terza città per numero di contribuenti Irpef, ma ancora distante dai livelli record di Milano e Roma

La fotografia della Cgia conferma il peso del capoluogo piemontese, che resta baricentro fiscale del Nord-Ovest

Torino terza città per numero di contribuenti Irpef, ma ancora distante dai livelli record di Milano e Roma

Il quadro fiscale italiano, fotografato dalla Cgia, mette a confronto numeri, territori e differenze che non passano inosservate. Nel 2023 i contribuenti hanno versato complessivamente 190 miliardi di euro di Irpef, al netto di detrazioni e oneri deducibili. Una cifra che da sola rappresenta circa un terzo delle entrate tributarie totali dello Stato.

A spiccare nella classifica dei grandi centri urbani c’è anche Torino, che con 1,7 milioni di contribuenti si colloca al terzo posto nazionale per popolazione fiscale attiva, dietro Roma (quasi 3 milioni) e Milano (2,4 milioni), e davanti a Napoli (1,65 milioni) e Brescia (941mila). Numeri che danno la misura di quanto il capoluogo piemontese sia uno dei poli più significativi della geografia tributaria italiana, un’area che da sola muove una quota importante del gettito nazionale.

Se si osserva il prelievo medio, il confronto con altre città è inevitabile. Milano si conferma la più esposta, con un prelievo medio netto di 8.846 euro per contribuente, seguita da Roma (7.383), Monza-Brianza (6.908), Bolzano (6.863) e Bologna (6.644). Qui si concentra la parte più consistente dei redditi e, di conseguenza, anche delle tasse. Torino, pur non comparendo ai primissimi posti della classifica, resta comunque tra le grandi aree urbane con una forte incidenza fiscale, in linea con il suo ruolo economico e produttivo.

Il dato sul reddito medio dichiarato conferma lo squilibrio tra Nord e Sud. Milano guida la graduatoria con 33.604 euro, seguita da Bologna (29.533), Monza-Brianza (29.455), Lecco (28.879), Bolzano (28.780), Parma (28.746) e Roma (28.643). Anche in questo caso Torino resta sotto la soglia dei primissimi, ma comunque in un contesto medio-alto, a testimonianza di un tessuto produttivo solido, pur penalizzato dalla forte competizione con Milano e dall’evidente divario interno al Nord.

All’opposto, il quadro del Mezzogiorno appare critico. Tra le 107 province monitorate, la prima realtà del Sud che compare per livello di prelievo Irpef e reddito medio è la Città Metropolitana di Cagliari, rispettivamente al 25° e al 46° posto. Percentuali ancora più allarmanti si registrano quando si osserva la quota di contribuenti che dichiarano meno della media nazionale (24.830 euro). A livello italiano, si tratta del 65,9%, ma in tutte le regioni meridionali e insulari la quota supera il 70%. In Calabria arriva addirittura al 77,7%, pari a 919.009 persone fisiche.

In termini assoluti, l’Italia conta oltre 42,5 milioni di contribuenti Irpef: 23,8 milioni di lavoratori dipendenti, 14,5 milioni di pensionati, 1,6 milioni di lavoratori autonomi e 1,6 milioni di percettori di altri redditi. Numeri che, se rapportati alle aree metropolitane, mostrano la concentrazione evidente nei grandi centri. Roma e Milano fanno la parte del leone, ma Torino resta un perno fondamentale del Nord-Ovest, capace di raccogliere quasi il doppio dei contribuenti di un’intera regione come la Calabria.

Il Def 2025 aggiunge un ulteriore tassello: la pressione fiscale è stimata al 42,7%, in aumento dello 0,1% rispetto al 2024. Un incremento che non deriva da un aumento diretto delle aliquote, ma da una serie di modifiche legislative e misure economiche che hanno rialzato la curva dal 2023 in avanti.

Torino, insomma, si ritrova in un punto intermedio tra i picchi lombardi e la fatica meridionale: non tocca le vette di reddito e prelievo di Milano, ma non scivola nemmeno nelle retrovie di un Sud che arranca. È un baricentro fiscale che racconta bene l’Italia di oggi: un Paese diviso in due velocità, con grandi città come Roma, Milano e Torino chiamate a sostenere gran parte del peso tributario, mentre ampie aree del Mezzogiorno restano schiacciate da redditi bassi e da una pressione che appare insostenibile.

Uno sguardo più ravvicinato al Piemonte conferma queste dinamiche. Oltre a Torino, che da sola concentra la maggior parte dei contribuenti della regione, il quadro provinciale mostra differenze significative. Cuneo, forte di un’economia agricola e manifatturiera in salute, si posiziona su valori medi più alti rispetto ad altre province piemontesi, anche se non raggiunge i livelli del capoluogo. Novara beneficia della vicinanza con la Lombardia e di un tessuto industriale dinamico, mentre Alessandria paga le fragilità di un’economia che alterna distretti competitivi a vaste aree di difficoltà. Le altre province, da Biella ad Asti, si collocano su valori intermedi, senza particolari picchi, segno di una regione che nel complesso mantiene un equilibrio ma che si affida al traino di Torino per restare agganciata alla parte alta della classifica nazionale.

In questo mosaico, il Piemonte appare quindi come una regione a due velocità: da un lato Torino, polo fiscale e demografico con un peso nazionale evidente; dall’altro le province minori, che pur contribuendo in maniera importante, restano lontane dai grandi numeri e soffrono di più le dinamiche di squilibrio tra Nord e Sud.

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