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05 Settembre 2025 - 17:53
Torino, nel carcere Lorusso e Cutugno arriva la "stanza dell’affettività" (immagine di repertorio)
Entro la fine di ottobre, nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, aprirà la prima stanza dell’affettività mai realizzata in un grande istituto di pena italiano. Uno spazio dedicato agli incontri intimi tra detenuti e partner, previsto dopo la storica pronuncia della Corte costituzionale che ha riconosciuto il diritto all’affettività come parte integrante della vita familiare.
I giudici hanno stabilito che «non può ritenersi che la richiesta di svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità costituisca una mera aspettativa». Una presa di posizione che obbliga le carceri ad adeguarsi, consentendo tali incontri salvo che sussistano motivi legati alla sicurezza, all’ordine interno o a procedimenti giudiziari in corso.
Il nuovo spazio è stato ricavato nel padiglione “E”, oggi sezione Arcobaleno, che ospita detenuti in semilibertà e lavoranti. La stanza misura circa 15 metri quadri ed è arredata in modo essenziale: letto, bagno e doccia. Ogni incontro durerà da una a due ore e potrà ripetersi fino a tre volte al giorno. Prima di ogni utilizzo, la stanza sarà bonificata dal personale penitenziario. Potranno farne richiesta i detenuti del distretto Piemonte-Valle d’Aosta, con esclusione dei soggetti al 41 bis o coinvolti in episodi di disordine interno. Al termine degli incontri il detenuto sarà perquisito, il partner no.
Se giuristi e associazioni accolgono la novità come un adeguamento necessario alle garanzie costituzionali, i sindacati di polizia penitenziaria si scagliano con forza contro il provvedimento. «Si rompe l’ultimo tabù: il sesso in carcere», ha dichiarato Leo Beneduci, segretario nazionale dell’Osapp. «Entro fine anno sarà concesso ai detenuti di Torino di avere rapporti sessuali intramoenia. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria applica la sentenza con fulminea velocità, garantendo l’intimità ai detenuti ma restando in silenzio sulle aggressioni agli agenti che finiscono con naso o costole rotti».
Il tono è durissimo: «Uno Stato incapace di proteggere chi lavora nelle carceri ora trasforma le celle in alcove matrimoniali. La penitenziaria, che fatica a limitare droga, telefoni e armi, dovrà gestire anche le prenotazioni delle camere a ore carcerarie».
Dietro queste parole c’è la denuncia di un corpo di polizia sempre più lasciato solo ad affrontare sovraffollamento, violenza, scarsità di personale e carenze strutturali. In questo contesto, l’introduzione della “stanza dell’affettività” viene percepita come un privilegio concesso ai detenuti mentre i problemi reali del sistema carcerario rimangono irrisolti.
La questione tocca il nucleo del dibattito sulla finalità della pena. La Costituzione italiana, all’articolo 27, parla di funzione rieducativa, ma la realtà racconta ancora sovraffollamento cronico, scarse risorse e strutture fatiscenti. La contraddizione è stata messa in luce anche dal documentario Giudizio sospeso, presentato lo scorso luglio alla Camera dei deputati. In quell’occasione la vicepresidente Anna Ascani ricordò come il modello costituzionale sia «in sofferenza» a causa della carenza di strutture adeguate e del sovraccarico delle comunità.
Il film, firmato da Alessandra Mancini e Felice Florio, racconta la vita nei penitenziari minorili di Nisida e del Beccaria, mostrando giovani in cerca di riscatto ma costretti a fare i conti con un sistema incapace di offrire reali percorsi alternativi.
Immagine di repertorio
L’arrivo della “stanza dell’affettività” a Torino è quindi molto più di una questione organizzativa. È un segnale che divide: da una parte il riconoscimento di un diritto, dall’altra la percezione di un privilegio mal tollerato da chi lavora dietro le sbarre.
Se da un lato è giusto ricordare che la vita affettiva e familiare è parte integrante del percorso rieducativo e che la stessa Corte costituzionale lo ha ribadito con forza, dall’altro resta la sensazione che la politica si muova con grande rapidità quando si tratta di applicare decisioni simboliche, ma con lentezza esasperante quando bisogna affrontare le criticità quotidiane: la sicurezza del personale, le carenze igienico-sanitarie, il sovraffollamento, i suicidi dei detenuti.
Il rischio è che la stanza dell’affettività diventi l’ennesimo specchio delle contraddizioni di un sistema penitenziario che non riesce a trovare un equilibrio tra diritti dei detenuti, tutela dei lavoratori e reale funzione rieducativa.
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